COLANTUONI, Alberto
Nacque a Trieste il 25 apr. 1874 da Faustino, discendente da nobile famiglia irpina originaria di Dentecane in provincia di Avellino, e da Adele Bugno.
Trascorse la giovinezza e frequentò le scuole nella città natale; l'ambiente irredentista studentesco lasciò un'impronta sulla sua formazione. Cominciò presto a collaborare a riviste e giornali, e a vent'anni si trasferì a Milano. Nella sua carriera di giornalista si annoverano tra l'altro La Giornata di Firenze, l'Adige di Verona, Il Popolo di Cesare Battisti, e Vita italiana,L'Italia del Popolo e Il Tempo di Milano e Guerin Meschino. Sempresui fogli cui collaborò, si gettò in vivaci polemiche. Amante delle discussioni affrontate con calore ("un po' Don Chisciote e un poco moschettiere" scriverà di lui C. Terron), passava per intollerante e scorbutico; l'asprezza dei suoi umori, unita alla buona fede delle sue passioni, è rivelata anche dai duelli in cui venne coinvolto, per difendere idee politiche e letterarie. La scherma, con l'equitazione, fu una delle passioni ereditate dal padre, ufficiale di cavalleria. A Milano lavorò sino alla guerra, conducendo la sua campagna di acceso interventista. Dopo il "maggio radioso" si presentò volontario e dette tutto se stesso, come letterato e come soldato, sino al momento in cui restò ferito. Più volte decorato, il C. venne quindi promosso per meriti di guerra.
Sue sono moltissime delle epigrafi dei cimiteri di Redipuglia e del Carso come quella incisa sul bronzo del monumento ai caduti di Napoli: "Fu seme il Fante e la vittoria il Fiore". A lui si devono anche molti canti di trincea.
Nell'immediato dopoguerra lavorava a Milano al Popolo d'Italia. A Milano il C. visse per tutta la sua vita e si sposò con una insegnante, Iole Cigarini. Nella città di Gaetano Sbodio, di Cletto Arrighi e soprattutto di Ferravilla egli venne subito attratto dal teatro dialettale. Così se un suo testo in lingua, Il germe rappresentato al Filodrammatici il 28 febbr. 1900, vinse un premio indetto da alcuni critici milanesi, i suoi primi successi si intitoleranno I sbarbatei,Dal barbee (teatro Fossati, 3 febbr. 1907) e A rebelott (teatro Filodrammatici, 3 ott. 1907).
Autore prolifico e pieno di idee, attratto da qualsiasi forma di comunicazione e di spettacolo, il C. è ricordato come uno degli inventori del teatro musicale di rivista. Legata a temi politici e di costume, la sua La rava e la fava (Milano, teatro Carcano, 25 genn. 1902) anticipa di molto la famosa Turlupineide di R. Simoni. Improvvisatore straordinario e capace di un umorismo di sicura presa, egli lavorò ad almeno cinque "riviste", e se Paris-Berlin-Méditerranée (Milano, teatro Eden, trasformato nella Taverna Rossa, dal nome della compagnia, la prima stabile italiana di rivista, 25 maggio 1914), che terrà il cartellone per due mesi e mezzo, era stato scritto in tre giorni, Di palo in frasca (ibid., 30 agosto) vide la luce in una notte per una scommessa tra l'autore e il pubblico che gli aveva indicato i temi.
Sono inoltre da ricordare vari libretti d'opera, quello del Macigno di V. De Sabata (1917) e quello dell'Albatro, scritto eccezionalmente su una musica già composta da U. Pacchierotti. Musiche furono previste anche per La sagra dei fringuelli (Venezia, teatro Goldoni, 6 dic. 1915), successivamente tradotta in veneziano nel '23 col titolo La sagra dei osei, e per La passione di Cristo, tragedia biblica ricavata dalle Sacre Scritture in occasione dell'anno santo del 1925 e rappresentata il 31 maggio 1924 nel palazzo dello Sport trasformato in teatro (musica di Gerosi). Dello spettacolo il C. fu anche regista. Se a Milano era stato un trionfo, a Roma la Passione venne ferocemente stroncata da S. D'Amico e il Vaticano arrivò a farne cessare le recite.
Molte sono poi le commedie: ricordiamo Ornella Butterfly (Milano, teatro Arcimboldi, 20 marzo 1926), Il colosso di Rodi (Torino, 19 nov. 1926), il breve Beethoven (Milano, teatro Arcimboldi, 14 apr. 1927) che piacque tanto a Simoni, Il destino in tasca (Torino, teatro Alfieri, 14 ott. 1929) e quindi I fratelli Castiglioni, che, dopo la prima a Venezia con la compagnia Pavlova il 24 ott. 1930, girò tutto il mondo e fu tradotta in ventuno lingue.
Il suo successo fu tale che in Italia venne volto in quasi tutti i dialetti; si ricordano in particolare le messe in scena di G. Govi ed E. Petrolini, la versione cinematografica e quelle radiofoniche. È la storia comica e quasi surreale della beffa giocata daun morto, e da un amico che vuole vendicarlo, ai suoi avidi eredi.
Dopo Cieco di guerra, presentato dalle sorelle Gramatica il 26 marzo 1934, tragedia dell'onore di chi è sacrificato in guerra e chiede poi pace e rispetto, arrivò un altro successo del C., La guarnigione incatenata, messo in scena sempre dalla Pavlova con L. Picasso (Milano, teatro Olimpia, 12 marzo 1935).
Il lavoro, cui nel 1935 andarono sia il premio Olimpia sia il premio Firenze, è scritto su diversi livelli linguistici per "superare il dissidio fondamentale tra lingua parlata e scritta" in nome "della verità e non del verismo", come si legge nella prefazione. Storia umana di viltà e eroismi, di paura e coraggio di un gruppo di prigionieri italiani in un campo di concentramento austriaco, quando arrivò all'Argentina di Roma, venne vietata da Starace, proprio a causa dei suoi pregi, per i suoi chiaroscuri non retorici.
Sfortuna ebbe invece Lettere a nessuno (Roma, teatro Eliseo, 11 febbr. 1939). Dopo la seconda guerra mondiale qualche successo ottenne Un sigaro avana (Milano, teatro Excelsior, 21 luglio 1950), incentrato su un equivoco pochadistico, ma in cui si innesta un'analisi non del tutto superficiale dei caratteri. Un vero fiasco fu Tra le due vite, riproposta nel 1946 di temi oramai vecchi (la prima guerra, i caduti, le famiglie e l'angoscia della vita) in un mondo mutato e alla ricerca di una cultura diversamente impegnata (Milano, teatro Nuovo, 20 febbraio).
I dialoghi tra i caduti del Grappa e i parenti vivi sono mal risolti, retorici e solenni, con una eccessiva ripetitività di situazioni che risultò nociva, come rilevarono anche le cronache del tempo. R. Radice riferì che il C. chiese più volte alla Martinelli di interrompere la recita, che quasi dall'inizio aveva suscitato nella platea rumorose disapprovazioni, quindi, durante l'intervallo, si presentò di persona alla ribalta per dire, piangendo: "non chiedo i vostri lauri, ma chiedo il vostro rispetto". Unico difensore vigoroso del testo sembra sia stato F. Palmieri, che ne parlò alla radio.
Accanto all'attività di autore vi fu prima della guerra quella di capocomico, svolta con la compagnia della Taverna Rossa. Nel corso del 1921 il C. assunse invece la direzione della Compagnia dialettale lombarda e preparò un programma che iniziava con Jeanne di S. Lopez, recitata in meneghino; ciò provocò un polemico intervento di M. Praga in favore del teatro dialettale autentico, contro quello impropriamente dialettizzato con risultati a dir poco ridicoli. Negli anni seguenti il C. successe a G. Zorzi nella guida del teatro di Venezia.
Si vogliono ancora ricordare del C. i due bei volumi editi dal Corbaccio e illustrati da M. Vellani Marchi, che raccolgono le conversazioni radiofoniche tenute puntualmente per cinque anni, dal 1925 al '30, e Una casa qualunque (1945), un volume di racconti in cui si rivela però una certa vena mondana e superficiale anche nei brani più riusciti, come in certe pagine de "La Richina e il suo hidalgo", o quando tenta la caricatura crudele come in "Un giovane carico d'ingegno". Le sue prove migliori restano comunque quelle teatrali, in cui alla trovata divertente o spettacolare si unisce un certo lirismo alla Betti.
Nel 1929 il C. fu uno dei tre fondatori del premio letterario Viareggio. Sempre attivo e impegnato in mille iniziative, non cessò di lavorare nemmeno quando la malattia e l'età lo costrinsero a una vita isolata e casalinga.
L. Repaci ci parla delle duecentocinquanta pagine di una sua autobiografia, intitolata Poltrone rosse: "la storia delle sue idee, dei suoi sentimenti, delle sue speranze, delle sue attese; la storia di Colantuoni sempre pronto a battersi per una buona causa, del fante, del rapsodo, del moralista che è Colantuoni". Il suo appartamento in via Gustavo Modena, dove erano raccolti molti dei quadri del fratello Costante, oltre alle tante testimonianze della sua vita di uomo di teatro, fu sino alla fine frequentato da amici.
Morì a Milano il 26 dic. 1959.
Opere: Albatro, Milano 1905; Il signor Ruy Blas, ibid. 1916; La bardana, ibid. 1923; La passione di Cristo, ibid. 1924; Ornella Butterfly, ibid. 1926; Beethoven, ibid. 1927; Di tutto un po', ibid. 1929; Il destino in tasca, in Comoedia, dicembre 1930; La sagra dei fringuelli, Milano 1931; I fratelli Castiglioni(tragicommedia), ibid. 1932; La guarnigione incatenata, ibid. 1935; La sagra dei osei, ibid. 1939; Una casa qualunque, ibid. 1945; Il sigaro avana, ibid. 1950.
Fonti e Bibl.: M. Praga, Cronache teatrali 1920, Milano 1921, pp. 187 s.; T. Rovito, Letter. e giornalisti contemp., dizionario bio-bibliografico, Napoli 1922, pp. 107, 435; M. Praga, Cronache teatrali 1924, Milano 1925, pp. 312 s.; Id., Cron. teatrali 1927, ibid. 1928, pp. 177-79; C. Pellizzi, Le lettere ital. del nostro secolo, Milano 1929, p. 99; S. D'Amico, Il teatro ital., Milano 1937, pp. 191 s., 221, 303, 311, 323; R. Simoni, in A. Colantuoni, La sagra dei osei, Milano 1939, pp. 7-12; R. Radice, Tra le due vite, in Il Dramma, marzo 1946, pp. 21 s.; G. Lanza, Tra le due vite, in Illustrazione ital., 3 marzo 1946, p. 152; G. Trabucco, La guarnigione incatenata all'Ateneo, in Il Popolo, 14 genn. 1951; A. Capasso, Realismo di C., in Teatro-Scenario, 1951, n.7, pp. 10-12; F. B., Un sigaro avana, in La Nuova Stampa, 31 ott. 1951; E. Q., Un sigaro avana, in Stampa Sera, 31 ott. 1951; C. Terron, Rapsodia eroica, in Corr. lombardo, 18 sett. 1952; Nota biografico-critica, in A. Colantuoni, La guarnig. incaten., Roma 1954; R. Simoni, Trenta anni di cronaca dramm., Torino 1952-1960, I, pp. 136, 318; II, pp. 438, 458, 471, III; pp. 56, 321, 383; IV, pp. 127, 211, 410; V, p. 161; C. Terron, Uno scrittore con la spada, in Corr. lombardo, 29 dic. 1959; L. Repaci, Compagni di strada, Rieti 1960, pp. 121-135; F. Palazzi, A. C. un maestro, in Realismo lirico, gennaio-giugno 1960, pp. 22-27; C. Bertieri, Caffè concerto,varietà,rivista,in Sentimental - Alman. Bompiani 1975, Milano 1974, p. 11; Enc. dello spett., III, coll. 1047 s.; Diz. enc. della lett. ital., II, Bari 1965, sub voce; Diz. gen. degli autori italiani contemp., I, Firenze 1974, sub voce.