Cavalcanti, Alberto (propr. Cavalcanti De Almeida, Alberto)
Scenografo e regista cinematografico brasiliano, nato a Rio de Janeiro il 6 febbraio 1897 e morto a Parigi il 23 agosto 1982. Personalità artistica multiforme, lavorò nel cinema francese d'avanguardia, nella produzione documentaristica inglese, e seppe stimolare e aggregare diverse energie culturali manifestando sempre un'uguale attrazione per il documento e la fiction, il realismo e il surrealismo, l'autentico e il fantastico, l'osservazione e la visionarietà.
Di famiglia benestante, venne mandato a studiare architettura in Europa, prima a Friburgo, quindi alla Scuola di Belle Arti di Ginevra. Subito però la sua formazione d'architetto, trascurando i consueti sbocchi professionali, incrociò il cinema. A Parigi incontrò Marcel L'Herbier ed entrò nella sua casa di produzione, la Cinégraphic, come scenografo-decoratore. Nell'intento di valorizzare l'arte francese di avanguardia attraverso il cinema, L'Herbier aveva riunito sul set di L'inhumaine (1924; Futurismo) Robert Mallet-Stevens, Fernand Léger, Pierre Chareau, Claude Autant-Lara, oltre a C., affidando a ciascuno di loro l'ideazione di uno o più ambienti. C. progettò la scenografia della cosiddetta sala della resurrezione (il luogo in cui lo scienziato Norsen riporta in vita la protagonista Claire), una semplice composizione di cubi squadrati, a effetto monumentale, valorizzata da un uso raffinato di luci radenti. L'anno successivo, sempre per L'Herbier e con l'aiuto di un giovanissimo Lazare Meerson, che sarebbe poi diventato uno dei più famosi scenografi francesi, disegnò le scene per Feu Mathias Pascal (Il fu Mattia Pascal) dal romanzo di L. Pirandello: in esse furono utilizzate case, torri e mura di San Gimignano (per le sequenze relative al paese di Miragno) e scorci reali di Roma (Trinità dei Monti, Ponte Cavour), insieme agli ambienti ricostruiti in studio (la fatiscente biblioteca di Miragno, i saloni del Casinò, la pensione Paleari ecc.), in una fusione originale di documentaristico e fantastico. Caratteristiche, queste, che risultano presenti nel primo film di cui C. firmò la regia, Rien que les heures (1926): un documentario (il risveglio di Parigi, lo svolgimento delle attività quotidiane ecc., su una linea che l'anno dopo avrebbe seguito anche Walter Ruttmann con Berlin, die Sinfonie der Grossstadt) che slitta impercettibilmente verso la fiction, narrando la storia del delit-to di una prostituta e di un ruffiano. E a tal proposito bene ha scritto G. Pescatore (1990, p. 197): "La presenza di una vera e propria narrazione è solo uno dei motivi per cui Rien que les heures non può essere considerato un semplice documentario. Esso assembla materiali diversi, creando una serie di rimandi interni e di costanti tematiche e figurative: così, per es., i rimandi costanti al cibo e all'alimentazione determinano un percorso di senso che tende a caratterizzare la città come una sorta di macrorganismo, dotato di funzioni biologiche proprie, di un proprio ciclo metabolico". Nel successivo En rade (1927) avvenne l'incontro di C. con un'attrice come Catherine Hessling, allora moglie di Jean Renoir. E se En rade si riallacciava alle esperienze dell'Impressionismo francese (Louis Delluc, Jean Epstein ecc.) e prefigurava il realismo poetico degli anni Trenta, film come La p'tite Lili (1928) e Le petit chaperon rouge (1929), interpretati ancora dalla Hessling e dallo stesso Renoir, testimoniano in effetti, nello stile visivo, forti influenze renoiriane.
Il rarefarsi delle occasioni di lavoro in Francia, in coincidenza con l'avvento del sonoro, indusse l'artista a trasferirsi in Inghilterra, dove la sua attività si volse al documentario grazie all'incontro con John Grierson, coordinatore della General Post Office Film Unit e padre del documentarismo inglese. C. affiancò Grierson come produttore esecutivo, stimolando e coordinando il lavoro di nuovi registi inglesi, e girò due cortometraggi, Pett and Pott (1934) e Coal face (1935), in cui l'intento documentaristico si lega allo sperimentalismo formale.
Catturato di nuovo dall'attrazione per la fiction, alla fine della guerra partecipò per gli Ealing Studios alla realizzazione del famoso Dead of night (1945; Incubi notturni, noto anche come Nel cuore della notte). Il film non è un semplice collage di episodi horror, ma un'opera dalla struttura intrecciata e complessa, all'interno della quale non è facile distinguere gli apporti dei singoli registi. L'episodio-cornice (la vicenda dell'architetto Craig, che arriva in una villa di campagna che deve restaurare e vi incontra alcuni invitati, ciascuno dei quali racconta una storia) fu diretto da Basil Dearden, ma alcune fonti attribuiscono a C. il coordinamento generale degli altri episodi (dello stesso Dearden, di Charles Crichton, di Robert Hamer) e la regia della parte in cui una ragazza racconta di aver incontrato, a una festa mascherata, il fantasma di un bambino ucciso dalla sorella alcuni secoli prima. Sicuramente fu diretto da C. l'episodio in cui Hugo, il pupazzo di un ventriloquo, acquista un tale ascendente sul suo padrone da indurlo a tentare di uccidere un collega. Alla fine è Hugo a essere 'ucciso' (calpestato) dal padrone, non senza essersi prima impossessato della sua personalità (il tutto è raccontato da uno psichiatra, che ha in cura Craig). Nella sarabanda finale tornano tutti i personaggi delle varie storie a perseguitare l'architetto, finché questi non si sveglia da quello che sembrava solo un incubo. Una telefonata da parte di un cliente lo induce però a partire e a ritrovarsi nella villa dell'inizio del film, così che tutto ricomincia, nella perfetta circolarità dell'incubo. Dopo aver diretto, sempre per gli Ealing Studios, una riduzione da Ch. Dickens (Nicholas Nickleby, 1947, I misteri di Londra), spinto forse dalla nostalgia e dall'idea di contribuire a una rinascita del cinema brasiliano, C. tornò in patria nel 1950, dove diresse, tra mille difficoltà organizzative ed economiche, la compagnia cinematografica Vera Cruz. L'esperienza fu tutt'altro che felice, tuttavia il regista pose alcune basi per quello che sarà il futuro cinema brasiliano (per es. di Glauber Rocha) e girò due film, Simao o caolho (1952) e O canto do mar (1954), oltre a scrivere un libro di riflessioni sul cinema, Filme e realidade (1951). Deluso, tornò in Europa e, dopo aver girato nel 1956 il suo ultimo film notevole, Herr Puntila und sein Knecht Matti, da B. Brecht, ormai stanco delle vicissitudini di una vita di battaglie, si occupò soltanto di produzioni televisive.
Alberto Cavalcanti, Zusammenstellung und Redaktion W. Klaue, Berlin 1962.
G. Rocha, Revision critica del cine brasilero, La Habana 1965, pp. 37-47.
J.-P. Jeancolas, Alberto Cavalcanti, Paris 1971.
E. Sussex, The rise and fall of British documentary, Berkeley 1975.
P. Pilard, Cavalcanti à Londres, in "La revue du cinéma", 1983, 388.
R. Abel, French Cinema. The first wave, 1915-1929, Princeton 1984.
L. Pellizzari, C.M. Valentinetti, Alberto Cavalcanti, Locarno 1988.
G. Pescatore, Rien que les heures, in La città che sale. Cinema, avanguardie, immaginario urbano, a cura di G.P. Brunetta, A. Costa, Trento 1990, pp. 196-97.