BERDINI, Alberto (in religione Alberto da Sarteano)
Nacque a Sarteano (Siena) nel 1385 (tale datazione fu contestata dal Voigt con argomenti poi ritenuti non validi), da famiglia localmente piuttosto nota. Nel 1405, pare, era già stato accolto come novizio tra i minori conventuali; studiò a Firenze dove, secondo l'ipotesi del Bicellari, seguì per la prima volta i corsi del Guarino (che insegnò colà dal 1410 al 1413); passò poi nel 1415 ai minori osservanti per influenza del suo conterraneo s. Bernardino da Siena, del quale divenne fidato discepolo e amico.
Oratore di dotta eloquenza, volle mettere al servizio del suo apostolato la cultura classica acquistata nelle scuole degli umanisti; e quindi ripetutamente difese, e con varietà di argomenti, la validità di quella cultura dal punto di vista cristiano.
Così, in una lettera del 1422 a Niccolò Niccoli, rivendicò - per bocca dei Guarino - la gioia che dà la vera scienza "digna libero homine", dichiarando come essa valesse non solo a intendere le opere dei grandi dei passato ("ad maioruni scripta aptius capessenda"), ma altresì ad ottenere una più agegevole comprensione della Sacra Scrittura ("ad sacrarum literarum... eruditionein facilius comparandam", Opera omnia, ep. VIII, pp. 174-176);in una lettera del 1430, da lui diretta a Poggio Bracciolini, gli dirà ancora che gli eroi del cristianesimo superano Cicerone, Demostene e gli altri sommi oratori classici "non verbis, sed rebus", perché i classici vanno ammirati per la forma del loro eloquio e i santi cristiani per la sostanza dei loro discorso, sì che "illorum dicta praestantiora, istorum facta nobiliora" (ibid., ep. XXI, pp. 203-19).
Questa sua convinzione lo indusse a recarsi nel settembre 1422 a Verona, dopo aver ottenuta l'autorizzazione, in un primo momento, a quanto pare, negatagli dal provinciale di Toscana, Angelo di Civitella di Arezzo, per seguire nel "Contubernium" del Guarino i corsi di greco frequentati già da tanti giovani umanisti. Tuttavia, dopo alcuni mesi, nel luglio 1423, incontratosi a Treviso con s. Bernardino da Siena che lì predicava, s'indusse a lasciare la scuola e scrisse al Guarino una commossa lettera di addio.
Fu quindi a predicare in varie città d'Italia svolgendo spesso il tema della pace, caro alla predicazione francescana, e particolarmente opportuno date le continue controversie che agitavano le città, per placare le quali intervenne personalmente a Modena, Perugia, Arezzo, Brescia, Ferrara (Pratesi); in particolare, di quanto operò a Modena nel 1424, si conserva la relazione che il B. fece in un'epistola indirizzata a Niccolò III d'Este, marchese di Ferrara, con la quale iniziò le sue relazioni amichevoli con gli Estensi (ibid., ep. X, pp. 180-183). Nel 1427, quando s. Bernardino da Siena fu accusato di eresia., il B. ne scrisse ad Ambrogio Traversari chiedendo anche di andare a predicare a Firenze; ciò che il Traversari, pel fervore delle polemiche, allora gli sconsigliò ("existimo sane rem duram fore et non facile tractandam"). A Firenze, tuttavia, il B. andò poi più tardi e anzi nel 1433 fu incaricato da Cosimo de' Medici di recarsi a Napoli per ricercare e acquistare codici latini e greci ("urgentibus maiorum. iussionibus Neapolim. accessurus" dice il B. in una lettera a Niccolò Niccoli del 1433, ibid., ep. XXV, pp. 227-252). L'anno dopo intervenne presso Lionello d'Este con una lettera contro il lusso delle donne di Ferrara, ricordando che già egli aveva persuaso Niccolò III a vietare con un editto lo strascico degli abiti femminili e che occorreva ora ripristinare quella norma, solo "si aliqua est mulier quae se malam haberi velit aut si quis est maritus qui malit scortum suani coniugeni quam uxoreni putari" (ibid., ep. XXXIV, pp. 244-46). L'attiva predicazione, cui il B. si era dedicato e che gli valse presso gli storiografi francescani gli appellativi di "magnus orator" e "excellentissimus orator et predicator" - nel 1431, a quanto riferisce Mariano da Firenze (p. 709), era stato esentato da ogni ufficio per essere disponibile "ad predicandum in diversas orbis provincias" secondo i voleri del pontefice non lo allontanò né lo estraniò dai suoi studi e dal suo gusto di umanista: frequenti sono infatti le sue richieste, ad esempio, di pareri agli amici letterati sulla forma delle sue orazioni e delle sue epistole (ne chiede a Francesco Barbaro, a Niccolò Niccoli e ad Ambrogio Traversari); e grandi le lodi, tributate al B. da parte degli umanisti ("philomela coelestis", eloquenza "sicut Padus inundans", nella parole del Guarino; "invictissimus Dei praeco, angelica illa tuba" in quelle di Lodovico Carbone). La sua amicizia fu sempre d'altro canto ritenuta preziosa: quando Ambrogio Traversari nel 1432 in una lettera a Niccolò Niccoli fece sul B. delle riserve "(dicendi facilitas verborumque ac sensuurn gravitas pro maiestate rei et materiae dignitate requiritur", A. Traversari, II, c. 351) si riprometteva di farle presenti all'interessato nel tono più benevolo possibile perché la sua amicizia col B. non ne avesse a soffrire; quando Poggio Bracciolini nel 1430 attaccò i francescani per una questione di proprietà terriera (eccettuando dall'attacco solo lui e s. Bernardino), il B. gli scrisse un'epistola in difesa del suo Ordine; e Poggio ne diede notizia al Traversari: "Albertus satis acriter me reprehendit sed bono animo"; ed anni dopo concludeva una sua lettera al B. con un accenno di bonarietà scherzosa: "i Vale et ora pro Poggio tuo, hoc est ut fiat bonus". Analogo atteggiamento si può rilevare da parte del B.: di fronte all'Hermaphroditus di Antonio Beccadelli, la cui pubblicazione aveva suscitato vivaci reazioni, il B., invece di schierarsi tra i critici demolitori, ricordava in una lettera al vicentino Cristoforo da S. Marcello, vescovo di Rimini, di non aver mai scritto contro alcuno, salvo che per la difesa del suo Ordine nella polemica con Poggio Bracciolini ora menzionata (ibid., ep. XLVIII, pp. 281-285); raccomandava poi in un'altra epistola da Rovigo del 1434 a Francesco Marescalchi e Filippo Bendedeo di non agire con violenza contro l'opera del Panormita, pur qualificata "sceleratissimus libellus", ma di imitare invece il medico che prima allevia ungendo la ferita e poi finisce per adoperare il bisturi quando si tratta ormai di evitare che l'infezione si estenda maggiormente (ibid., ep. XXX, pp. 238-40).
Tale è il prelato umanista che nel 1435 fu inviato da Eugenio IV, insieme con Bartolomeo da Gaino, in missione presso l'imperatore bizantino e le Chiese cristiane di Oriente per invitarle a intervenire al concilio, convocato non più a Basilea ma a Bologna (e che doveva, in definitiva, essere poi il concilio di Firenze), e indurle a riunirsi alla Chiesa di Roma. Gli amici del B. cercarono di distoglierlo dall'accettare l'incarico come appare in due lettere di Francesco Barbaro.
Il Barbaro chiese a Lionello d'Este il 4 ag. 1435 d'impedire la partenza del B., che si trovava allora a Ferrara, e dell'accettazione dell'incarico da parte del B. dice "laudo propositum, non laudo consilium", prevedendo addirittura che "apud Syrios prius martyr futurus est quam orator", anche per l'ignoranza dell'arabo cui il B. non poteva rimediare perché "res magno etiam ingenio suo difficillima erit et ita diuturni temporis ut illi incertae spei" (Biccellari, Missioni del B. Alberto..., pp. 159 s.); ed al Guarino, ancor più apertamente, nello stesso giorno scriveva: "Quid enim eius sapientia aut memoria commune habet cum Syriis? et quid Syriis cum eo?" (ibid., pp. 160 s.).
Ma né Lionello d'Este intervenne né il B. rinunziò alla missione e partì da Venezia nel settembre 1435 per il suo primo viaggio nel Levante. Il B. passò per la Palestina e stabilì contatti con le Chiese d'Oriente, ma Eugenio IV, cui egli nel 1436 aveva inviato a riferire in suo nome Ludovico da Bologna, insistette perché fosse prima risolta la questione della partecipazione dei Greci al concilio. Il B. era di ritorno a Venezia il 21 ag. 1437; e l'anno dopo, il 9 febbr. 1438, Giovanni VIII Paleologo, imperatore di Bisanzio, sbarcava a Venezia e proseguiva per Ferrara dove si trovava allora il papa. Trasferitosi poi il concilio da Ferrara a Firenze e proclamata l'unione con la Chiesa greca (6 luglio 1439), Eugenio IV affidò al B. un nuovo, delicato incarico: quello di annunziare l'avvenuta unione, con l'indiretto e velato invito di aderire ad essa, ai Copti e al loro clero in Gerusalemme (lettera del 7 luglio 1439) e al patriarca dei giacobiti Giovanni (Giovanni XI, patriarca copto d'Alessandria; lettera del 26luglio 1439), nominandolo, il 22ag. 1439, commissario apostolico "in partibus Orientalibus" (specificamente in India, Etiopia, Egitto e Terra Santa) con le funzioni inoltre di ministro generale dell'Ordine francescano; munì il B. anche di messaggi per l'imperatore d'Etiopia, denominato ancora "presbyter Iohannes" (28 agosto 1439) e per l'imperatore leggendario, Tommaso delle Indie (28 ag. 1439), affiancandogli infine, perché fungesse da interprete, Pietro di Catalogna, superiore del convento francescano di Beirut (lettera del 13 sett. 1439).
Agli inizi del 1440, con ogni probabilità, il B. iniziò la sua seconda missione in Oriente, recandosi dapprima a Gerusalemme: qui s'incontrò con Nicodemo, l'abate della comunità etiopica di Gerusalemme, che accettò di inviare suoi rappresentanti a Firenze. Da Gerusalemme il B. si recò al Cairo, dove trattò con Filoteo I, patriarca melchita di Alessandria, e con Giovanni XI, patriarca copto, e poté anche incontrarsi con il patriarca armeno Gregorio, che visitava allora le comunità armene di Palestina ed Egitto: questi scrisse il 4 sett. 1440 ad Eugenio IV, accettando l'unione che era stata proclamata al concilio di Firenze con bolla del 22 nov. 1439. Il patriarca copto accettò di mandare a Firenze una sua delegazione di cui fu capo Andrea, abate di S. Antonio (probabilmente del monastero di S. Antonio del Rif, nella valle del Nilo). Il B. non poté però proseguire la sua missione in Etiopia e in India poiché il sultano d'Egitto Ǧaqmaq si rifiutò di dargli il permesso. Dei risultati della sua missione al Cairo diede notizia ad Eugenio IV, prima, mandando in Italia, come suo messo, Domenico da Siena, e poi, partito a sua volta dall'Egitto, con una lettera da Rodi del 10 dic. 1440. Di lì, riunite le delegazioni etiopica e copta giunte a gruppi per la via di Creta e di Cipro - per non destare troppa diffidenza tra i musulmani -, il B. si diresse verso l'Italia nel giugno 1441 e giunse ad Ancona sulla nave del capitano Angelo Morosini. Da Ancona, per Pesaro, si recò a Perugia dove il 23 ag. 1441 predicò nella piazza di S. Lorenzo avendo seco le delegazioni africane, come attesta il cronista perugino Graziani ("certi ambasciatori de Etiopia et de Egypto, et uno dei ditti inbasciatori era Patriarca e gli altri pure erano gran maestri"); e la curiosità dovette concorrere nel fare agli ospiti i maggiori onori ("E alla venuta de' ditti inbasciatori fuor sonate le campane del Comune al doppio"). Ancor maggiori onori ebbero Copti ed Etiopi al loro arrivo a Firenze, con il B., il 26 ag. 1441; ed anche lì popolarmente li si ritenne ancor più importanti di quel che erano ("un Re il quale portava una croce d'oro su la palma della mano per lo lungo et in su le dita; un Cardinale cioè un Abate loro, che è tanto quanto un Cardinale; et un Cavaliere", così li descrive il cronista fiorentino del codice Magliabechiano, II, 1, 313). Il 31 agosto la delegazione copta fu solennemente ricevuta dal papa Eugenio IV in S. Maria Novella; ed il 2 settembre fu la volta degli Etiopi. Entrambe le delegazioni furono presentate al pontefice dal Berdini.
Il riquadro della porta bronzea della basilica di S. Pietro, a Roma, nel quale il Filarete scolpì la scena della presentazione dei Copti ed Etiopi, tramanda anche l'immagine del B. al fianco del trono papale. L'intera porta fu poi inserita nella nuova basilica vaticana, dove tuttora si ammira, durante il pontificato di Paolo V; non furonoconservate, invece, le altre porte in legno dove anche fra' Antonio di Michele da Viterbo, domenicano, nel 1473aveva rappresentato in scultura la stessa scena della "entrata dell'Ambasciatore del Re dell'Ethiopia" (come attestò il Torrigio, Le sacre grotte vaticane, Roma 1635, p. 155).
Da Firenze i Copti e gli Etiopi si recarono a Roma per venerare particolarmente "sanctam Dei et Salvatoris nostri imaginem sive, ut dicunt, Veronicam", come è detto nella lettera del 2 ott. 1441 con la quale Eugenio IV li raccomandò al capitolo della basilica di S. Pietro.
Le delegazioni passarono a Viterbo l'8 ott. 1441, suscitando anche qui grande impressione: scrisse infatti il cronista viterbese Niccolò della Tuccia che "il detto frate Alberto ridusse tutta l'India alla vera fede cristiana" e che egli "menò seco un gran Patriarca di quel paese e menollo al Papa in Fiorenza". L'arrivo a Roma per la porta Flaminia è rappresentato su di un altro dei riquadri bronzei del Filarete sulla porta di S. Pietro.
Il B. dunque assolse positivamente alla sua missione poiché riuscì a stabilire contatti con le due Chiese monofisite d'Egitto e d'Etiopia al concilio di Firenze anche se il decreto d'unione, che ne scaturì il 4 febbr. 1442, riguardò in definitiva solamente la Chiesa copta d'Egitto.
È opportuno ricordare che non mancò qualche esitazione nell'apprezzare i veri rapporti tra quelle due Chiese, copta ed etiopica, che pur riconoscevano lo stesso patriarca. Già dal Cairo il B., secondo le notizie da lui raccolte negli ambienti del patriarcato alessandrino, aveva considerato essenziale l'accordo con la Chiesa copta (di Egitto) che avrebbe, in conseguenza, implicato l'accordo con l'Etiopia ("unio quae non modo Iacobinos [sc. Coptos] verum. etiam Regem illum Aethyopum quem Regem asserunt potentissimum cum Iacobinis ipsis pariter complectatur", scriverà nella citata lettera ad Eugenio IV del 1° dic. 1440; e così nel lungo rapporto inviato a Lionello d'Este, nella stessa data, dirà dei patriarca copto che "in Aethyopia cui et ipse imperat et capita praeficit"). Invece l'abate etiopico Nicodemo, nell'inviare i suoi delegati al concilio, insisteva esplicitamente, nella sua lettera al papa, di averli inviati all'insaputa del patriarca copto e riservava ogni decisione su tutta la questione dell'unione al suo sovrano, l'imperatore etiopico Zara Iacòb, che era particolarmente suscettibile in materia di fede, come è ben documentato dalle cronache etiopiche e dalla sua legislazione. Pertanto il "Decretum Unionis Iacobinorum cum Sancta Romana Ecclesia" del 4 febbr. 1442 fu sottoscritto dall'abate Andrea rappresentante dei patriarca copto, ma non dall'inviato di Nicodemo, Pietro; per gli Etiopi si tentò di entrare successivamente in diretto contatto col sovrano di quel paese, dato che l'abate Nicodemo aveva esplicitamente affermato nella lettera letta al concilio di Firenze di non poter impegnarsi senza l'autorizzazione sovrana.
Ma già i risultati ottenuti avevano riconfermato la fiducia del pontefice nel Berdini. Di questa numerose sono le prove: nel settembre del 1441, insieme con s. Bernardino da Siena, assolse all'incarico, affidatogli da Eugenio IV, di rappacificare i Senesi con la S. Sede; in tale circostanza normalizzò anche la situazione tra i due paesi confinanti, Foiano della Chiana, della signoria fiorentina, e Lucignano, della Repubblica senese; nel giugno del 1442 fu eletto quasi all'unanimità, sebbene la carica fosse di norma attribuita a conventuali, ministro della provincia veneta, elezione confermata dal papa il 17 luglio 1442; il 18 luglio dello stesso anno Eugenio IV lo fece vicario generale dell'intero Ordine francescano "intendens ipsum futurum Generalem" , precisa Mariano da Firenze (p. 122), "ut totus reformaretur per ipsum Ordo"; nelle sue nuove funzioni il B. cominciò a restaurare l'antica disciplina, specie per quanto riguardava l'osservanza della povertà, come stanno a dimostrare varie alienazioni di beni immobili di conventi, da lui imposte; non poté tuttavia proseguire la sua opera alla guida dell'Ordine perché il tumultuoso capitolo generale tenutosi a Padova l'8 giugno 1443 portò all'elezione del candidato di Filippo Maria Visconti, Antonio Rusconi di Como. È assai probabile che in questa stessa circostanza il B. abbia rinunciato alla sua carica di ministro della provincia veneta (Pratesi). Con lettere del 27 e 28 maggio 1443 Eugenio IV nominò il B., insieme con Giacomo della Marca "executor et nuncius", nel territorio del patriarcato di Aquileia, delle disposizioni prese per la crociata bandita allora contro i Turchi; in precedenza, il 3 genn. 1443, gli aveva raccomandato la conservazione dei conventi dei minori osservanti a Kaffa e a Costantinopoli. Nel 1444 il B. si recò a Brescia dove si incontrò con Francesco Barbaro; e nel 1446 Lionello d'Este lo chiamava a predicare a Ferrara, dove egli ebbe la gioia di rivedere il Guarino suo maestro che ne celebrò la "cygnea vox" e l'attraente eloquio sì che "horas quattuor vox illa infracta personuit cum nec horam quidem orasse visus sit". L'anno dopo il B. si ritirò a Milano, allora assediata da Francesco Sforza, ed in Milano morì il 15 ag. 1450 nel convento francescano di S. Angelo (distrutto nel 1551 da Fernando Gonzaga). Annoverato tra i "luminaria" dell'Ordine, insieme con s. Bernardino da Siena, Giovanni da Capistrano e Giacomo della Marca, il B. viene venerato come beato entro l'Ordine francescano dei minori osservanti al quale egli appartenne.
Fonti e Bibl.: Opere e fonti generali sulla vita del B.: Beati Alberti a Sarthiano O. M. Obs., Opera omnia, a cura di F. Harold, Romae 1688, ove si trovano, oltre alla ricostruzione biografica, anche 3 opuscoli e 125 epistole dei B.; Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491 nota col nome di Diario del Graziani, a c. di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., s. 1, XVI (1850), pp. 470 s.; Cronaca di Viterbo di Niccolò della Tuccia, in Doc. di storia ital. pubbl. per cura d. Dep. di storia patria, Firenze 1872, V, pp. 181 s.; b. Bernardini Aquilani Chronica fratrum minorum obseriantiae, a cura di L. Lemmens, Romae 1902, pp. 19 s., 29-32; Compendium chronicarum fratrum minorum scriptum a patre Mariano de Florentia, in Archivum francisc. hist., III (1910), pp. 707, 709, 715; IV (1911), pp. 122 s., 127; B. Neri, La vita ed i tempi di Alberto da Sarteano, Quaracchi 1902, che però va esaminata insieme con gli articoli di F. Biccellari, Un francescano umanista. Il beato Alberto da Sarteano, in Studi francescani, X (1938), pp. 22-48; Id. Missioni del b. Alberto in Oriente per l'Unione della Chiesa Greca e il ristabilimento dell'Osservanza nell'Ordine francescano, ibid., XI (1939), pp. 159-173; B. Bughetti, L'Archivio di S. Francesco a Fiesole, ibid., X (1938), pp. 60-86; R. Pratesi, Nuovi documenti sul b. Alberto da Sarteano († 1450), in Archivum francisc. hist., LIII(1960), pp. 78- 110, ove si trova una completa rassegna critica della bibliografia relativa al B. oltre alla pubblicazione di alcuni documenti che lo riguardano.
Circa le relazioni dei B. con gli altri umanisti: G. Voigt, Die Wiederbelebung des classischen Alterthums, Berlin 1893, I, pp. 479, 553, II, pp. 229 ss., 437; R. Sabbadini, La scuola e gli studi di Guarino Guarini veronese, Catania 1896, pp. 28, 139, 140, 141, 143; Francisci Barbari et aliorum ad ipsum Epistolae, Brescia 1743; Ambrosii Traversari Epistolae et Orationes, Firenze 1759.
Circa la partecip. del B. al concilio di Firenze: E. Cerulli, L'Etiopia del sec. XV in nuovi documenti storici, in Africa Italiana, V (1933), pp. 58-80; Id., Eugenio IV e gli Etiopi al Concilio di Firenze nel 1441, in Rendiconti d. R. Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, s. 6, IX (1933), pp. 346-368; G. Hofmann, Kopten und Aethiopien auf den Konzil von Florenz, in Orientalia Christiana Periodica, VIII (1942); le raccolte documentarie edite da G. Hofmann e specialmente: Epistolae Pontificiae ad Concilium Florentinum spectantes, Roma 1940-1946, ad Indicem; Fragmenta, diaria privata, sermones ad Concilium Florentinum spectantes, Roma 1951; Documenta Concilii Florentini de unione Orientalium. III. De unione Coptorum, Syrorum, Chaldaeorum Maronitarumque Cypri (4 febr. 1442 - 7 aug. 1445), in Textus et Documenta, Series Theologica, 22, Romae 1951, docc. n. I, pp. 10-11; n. 2, pp. 12-14; n. 3, p. 15; n. 4, pp. 17-19; n. 5, pp. 20-22; n. 6, p. 24; n. 7, pp. 24-27; n. 9, pp. 30-44; J. Gill, The Council of Florence, Cambridge 1959, pp. 310, 318, 321, 326, 346.