ALBERICO I
. Certamente franco di origine, appare per la prima volta alla testa di cento uomini d'arme nell'esercito con cui Guido II di Spoleto ruppe, sulla Trebbia, al principio dell'889, Berengario I. Mancano poi sue notizie; ma è probabile che, quando Guido, divenuto re d'Italia (febbraio 889) e imperatore (21 febbraio 891), associò nell'impero il figlio Lamberto, A., in compenso dei servizî resi, fosse investito della marca di Camerino, già dipendente da Guido II. Egli nutriva però più vaste ambizioni, e intorno all'897, ucciso Guido IV di Spoleto, s'impadronì anche di questa marca, che tornò a riunire con quella di Camerino. In tal modo, egli diveniva uno dei più potenti signori feudali dell'Italia centrale. Padrone di estesi territorî collocati nel cuore della penisola e legati da molteplici relazioni con i dominî della Chiesa di Roma e con Roma stessa, egli svolse un'attiva azione politica così rispetto ai signori che si contendevano in Italia la corona reale e imperiale, come rispetto ai formosiani e antiformosiani, che si contendevano a Roma il papato. Egli mirò da un lato a impedire che si affermasse in Italia un forte potere monarchico, e dall'altro ad estendere su Roma la propria influenza. Probabilmente, presso di lui cercò rifugio Sergio, il papa degli antiformosiani, costretto a fuggire dal prevalere dei formosiani e del loro papa Giovanni IX. Pochi anni dopo, A. strinse accordi politici con Adalberto II, marchese di Toscana, e con quella parte dell'aristocrazia romana, che faceva capo alla famiglia di Teofilatto e di Teodora. Le sue milizie contribuirono al ritorno di Sergio in Roma e alla sua definitiva assunzione al papato, col nome di Sergio III, sul finire del 904, contro Cristoforo, il pontefice allora da poco regnante. Allora, probabilmente, Alberico I sposò la figlia di Teofilatto e di Teodora, la famosa Marozia. Il duplice legame, politico e di sangue, strettosi fra il potente signore di Camerino e di Spoleto e la famiglia di Teofilatto, assicurò a quest'ultima il predominio su Roma, e aprì la via all'egemonia poi esercitata sulla città eterna da Alberico II, nato da tali nozze. Sempre deciso avversario di Berengario I, A., quando il re si sbarazzò, nel 905, del rivale Ludovico III di Provenza e annodò trattative con Sergio per ricevere in Roma la corona imperiale, fu sollecito ad impedirlo, occupando il passo dell'Appennino presso Parma, di pieno accordo con Adalberto II di Toscana. Nove anni dopo, l'opera politica di A. e della famiglia di Teofilatto portava all'elezione di papa Giovanni X, che era arcivescovo di Ravenna (914). Il signore di Spoleto e di Camerino ebbe grande parte nella lega militare stretta da questo papa e dai capi dell'aristocrazia romana con gli stati dell'Italia meridionale e con l'impero d'Oriente, contro i Saraceni annidatisi alla foce del Garigliano. Nei combattimenti che portarono allo sterminio dei Saraceni (giugno-agosto 915), egli si comportò come "un fortissimo leone", e al suo ritorno in Roma, dopo la vittotia, condivise col papa gli onori dell'accoglienza trionfale da parte dei cittadini. Dopo questo memorabile avvenimento, nulla più sappiamo di lui; ignoriamo anche il suo atteggiamento in confronto dell'incoronazione di Berengario I ad imperatore (fine del 915). Nel giugno del 928 egli era già morto, perché prima di tale data Marozia passò a seconde nozze con Guido di Toscana. Tardi cronisti raccontano che A., venuto a discordia con Giovanni X e cacciato da Roma, si rifugiasse ad Orte e chiamasse in aiuto gli Ungheri; per la qual cosa i Romani, indignati, lo avrebbero ucciso. Ma tale notizia è nata da uno scambio di persona tra A. e il fratello di Giovanni X, Pietro, che forse gli fu successore nella marca di Spoleto e di Camerino. Personalità certamente notevole fra quelle emerse nella laboriosa crisi di assestamento seguita in Italia allo sfacelo del sistema imperiale creato da Carlo Magno, A. fu celebrato anche per la sua bellezza e prestanza fisica. Dalle sue nozze con Marozia nacquero Giovanni, che fu poi papa Giovanni XI, Alberico II, Sergio, poi vescovo di Nepi, Costantino, e alcune figliuole di cui ignoriamo i nomi.
Bibl.: v. sotto Alberico II.