CARAFA, Alberico
Del ramo dei Carafa della Stadera, nacque da Tommaso e da Dianora Carafa (o da Letizia di Diano) nella prima metà del XV secolo. Nipote del celebre e potente Diomede Carafa, già nel 1467 ne era coadiutore nell'ufficio di scrivano di razione. Dieci anni più tardi, non si sa per quale ragione, ottenne in dono dal pontefice Sisto IV le isole Pontine, con il diritto di naufragio. Nel 1478 Ferdinando d'Aragona gli concesse la giurisdizione criminale nella baronia di San Bartolomeo in Galdo (Benevento), della cui badia, alla morte del cardinale Giovanni d'Aragona (17 ott. 1485), divenne commendatario. Il 26 ag. 1479 acquistò Marigliano (Napoli) con i diritti feudali, ottenendo su di esso il 22 giugno 1482 dal re, di cui era consigliere, il titolo di conte. Il 30 aprile dell'anno successivo il C. fu uno dei testimoni che sottoscrissero il documento di conferma dell'atto con il quale, il 26 sett. 1472, erano state stipulate le nozze fra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona.
Il 2 ag. 1480, mentre il duca di Calabria era in Toscana, perdurando l'assedio di Otranto, che sarebbe caduta pochi giorni dopo nelle mani dei Turchi, il C., insieme con un figlio naturale del re, Cesare, fu inviato a Manfredonia a fronteggiare l'attacco dell'armata di Maometto II. Rimase in campo per tutta la campagna, capeggiata da Alfonso d'Aragona, e si distinse nella repressione di una scorreria fatta dai Turchi da Otranto verso Veglie e San Cataldo (Lecce). Riconquistata la città (10 sett. 1481), dopo la morte del sultano, dalle armi napoletane, il C. prese parte all'azione navale condotta dalle navi aragonesi contro Valona occupata dai Turchi l'anno prima.
Dopo la guerra di Ferrara, quando il primogenito del re, il 3 nov. 1484, fece il suo ingresso a Napoli, di ritorno dalla campagna, che a capo dell'esercito napoletano aveva condotto nel Ferrarese, mentre già si andava annunciando la congiura dei baroni, il C. fu nel gruppo dei nobili che lo accolsero solennemente e lo scortarono. Durante la guerra intestina che scoppiò subito dopo fra il re ed i ribelli, attivamente appoggiati dal papa, il C. si mantenne fedele al sovrano, che, dopo la conclusione della pace con Innocenzo VIII nell'agosto del 1486, lo inviò presso il principe di Salerno per indurlo a prestare il dovuto atto di obbedienza. Il C., essendo del resto ormai stata stroncata la resistenza dei baroni, portò a termine con successo la sua missione.
Morto il 17 maggio 1487 lo zio Diomede, del quale egli fu uno degli esecutori testamentari, il C., che era stato anche insignito dell'Ordine dell'Ermellino, gli successe come scrivano di razione. Il 17 aprile dello stesso anno, egli, già proprietario anche di varie case a Napoli, acquistò le terre di Sant'Angelo Limosaiao. Nella stessa provincia di Campobasso possedeva già il castello di Molise, concesso alla moglie Giovannella dal re, alla morte del padre Paolo di Molise, insieme con tutte le altre terre da lui possedute e con ogni altro diritto da lui goduto.
Quando Alfonso II d'Aragona, incalzato dalla rovina, pochi giorni dopo l'abdicazione (23 genn. 1495) in favore del figlio Ferrandino, fece testamento, il C. fu uno dei sottoscrittori di esso. Ciononostante un mese dopo era fra gli eminenti personaggi riunitisi per accogliere Carlo VIII al suo ingresso in Napoli. Ripreso possesso del suo vacillante trono, Ferrandino, il 29 genn. 1496, vendette al C. la città di Ariano e due anni dopo il re Federico, successo al nipote - all'incoronazione del quale a Capua il C. aveva presenziato -, gli concedette su di essa il titolo di duca.
Sotto questi ultimi re aragonesi il C. svolse una costante attività militare. Nel febbraio del 1496 al comando di sessanta squadre di uomini d'arme si portò a Grottaminarda per tagliare la strada della Puglia agli avversari. Il 12 novembre dello stesso anno, dopo aver partecipato nell'ottobre all'assedio di Gaeta, si recò ad Eboli ad accogliere Gonzalo de Cordoba, che veniva a coadiuvare il re Federico nella sua opera di eliminazione dei focolai francesi, e con lui si diresse subito dopo verso Sora. Il 3 gennaio dell'anno successivo era incaricato dal re di procurare gli alloggiamenti invernali per l'esercito.
Rapidamente dissoltosi il regno aragonese sotto i colpi francesi e spagnoli, il C., che il 7 marzo 1501 era stato convocato dal re Federico vanamente e quasi senza convinzione insieme con gli altri baroni nella selva di Vairano, si trovò ad avere le sue possessioni nella zona di pertinenza francese; esse, pervenute in un primo momento al maresciallo di Gié, gli furono restituite nel settembre del 1502.
Sorti i noti contrasti fra Francesi e Spagnoli ed avuta questi la meglio nella primavera del 1503 a Cerignola, il C., che aveva anche ricevuto da Luigi XII il collare di S. Michele, all'ingresso degli Spagnoli a Napoli (maggio) fuggì per mare verso Roma. Era nell'Urbe, in casa del figlio Bernardino, vescovo di Chieti, quando il 13 gennaio dell'anno dopo fu dichiarato ribelle dalle autorità spagnole.
Morì a Roma il 19 febbr. 1504.
Il C. era stato il protettore di Francesco Pucci, allievo del Poliziano e sovrintendente della Biblioteca Aragonese dal 1483. Aveva avuto otto figli, a ciascuno dei quali (secondo l'Aldimari) lasciò in eredità un palazzo; di essi Giovanni Francesco nel 1506 ottenne la restituzione dei beni del padre.
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