ARCHINTO, Alberico
Nato a Milano l'8 nov. 1698, ebbe una giovinezza intensa di studi e di viaggi che contribuirono a dargli una vivace preparazione culturale - unica prova sono però i commenti e le varianti critiche da lui raccolte, per conto della Società Palatina, per i primi due libri della Historia Mediolanensis di Arnolfo - e a formare quella che sarà la sua esperienza di uomo di Chiesa e di politico.
Importanti furono gli anni trascorsi presso lo zio, Gerolamo Archinto, a Firenze, dove questi era nunzio pontificio, e poi in Germania, quando egli venne destinato alla nunziatura di Colonia, dove l'A. rimase per qualche tempo, dedicandosi agli studi di filosofia e di teologia; quindi lo accolse, in Lorena, la famosa Accademia di Lunéville; e frequenti viaggi in Francia ed in Belgio ampliarono il suo patrimonio culturale, cui giovò anche un prolungato soggiorno in Baviera, probabilmente all'università d'Ingolstadt, fino al 1721, anno della morte dello zio.
Tornato a Milano, si laureò all'università di Pavia. Iscrittosi al collegio dei giureconsulti di Milano, iniziò la carriera ecclesiastica come abate di Brera, Viboldone e Civate; e, nel 1724, con la nomina a referendario delle Due Segnature e poi a protonotario apostolico, entrò nell'ambiente della curia romana. Durante il pontificato di Clemente XII fece parte del Collegio dei Ponenti di Consulta. Vicelegato di Bologna, ebbe modo di mostrare non comuni doti di preparazione, di abilità politica e di equwbrio, che non solo gli guadagnarono la stima del cardinale legato Spinola, ma lo fecero ritenere - in uno dei momenti più difficili e delicati dei rapporti con il granducato di Toscana, quello che coincise, cioè, con la venuta dei Lorena - l'elemento più idoneo a reggere la nunziatura di Firenze.
Nel 1739, consacrato arcivescovo di Nicea, l'A. iniziò la sua carriera al servizio della diplomazia pontfflcia, con un compito assai difficile; e ben si può affermare che, interprete e fautore delle direttive politiche di Benedetto XIV, egli seppe dare un'impronta nuova e una nuova linea ai rapporti fra lo Stato e la Chiesa nel granducato, rapporti che l'intolleranza e la durezza del suo predecessore, il nunzio G. F. Stoppani, e dell'a.Uora inquisitore a Firenze, il p. P. A. Ambrogi, avevano portato a un punto estremo di ostilità e di tensione.
L'A., più equanime ed aperto, da finissimo politico qual era, riuscì innanzi tutto a risolvere rapidamente quello che era uno dei casi più clamorosi del momento, il processo contro il poeta Tommaso Crudeli. Contrario ai metodi repressivi sino allora seguiti dall'Inquisizione, piegò l'ostínazione del p. Ambrogi e poté far trasportare il drudeli, imprigionato a esemplare minaccia per la massoneria fiorentina, in un carcere meno malsano e meno pericoloso per le sue gravi condizioni di salute. L'opera dell'A. a favore del Crudeli venne favorita dall'elezione di Benedetto XIV, sì che, dopo l'avvenuta relegazione del poeta a Poppi e poi a Pontedera, nell'aprile del 1741 questi ottenne la grazia della liberazione. Non è da escludere che proprio la sconfessione da parte dell'A. dell'orientamento e dell'azione dei p. Ambrogi abbia indotto il pontefice a richiamare l'inquisitore ed è indubbio che di qui si sia sviluppata quella politica di maggiore accordo fra autorità civile ed ecclesiastica di cui si è detto.
Richiamato da Firenze nel 1746, l'A. venne destinato alla nunziatura di Polonia, dove rimase sino al 1754.
Ben accolto da Federico Augusto di Sassonia, incontrò stima e simpatia nei più elevati ambienti religiosi, diplomatici e culturali. Fra gli altri, strinse amicizia con il celebre pittore R. Mengs e con J. J. Winckelmann, che conobbe a Dresda e che convertì a un cattolicesimo di tipo estetizzante, convincendolo a seguirlo a Roma. Durante il periodo della nunziatura polacca, inoltre, l'A. volse gran parte della sua attività a regolare la situazione dei cattolici della Slesia, cercando di contemperare i contrastanti interessi di Federico II di Prussia e della Santa Sede, per evitare che l'irrigidimento del sovrano contribuisse alla formazione di una Chiesa di stato. Fu a lui, poi, che il pontefice, nel dicembre 1747, affidò, il delicato compito di risolvere la questione dell'elezione dei coadiutore del vescovo di Breslavìa. La candidatura del massone conte Filippo Gottardo Schaffgotsch, infatti, era stata appoggiata presso il papa sia da Federico Il sia dallo stesso cardinale Sinzerdorf, cui quegli avrebbe dovuto succedere. Benedetto XIV, sostituendo a un precedente rigido rifiuto di Roma un atteggiamento più moderato ed accorto, incaricò l'A. di condurre con discrezione un'inchiesta sulla condotta non troppo esemplare del designato: ciò al fine di evitare, per ripicco o rappresaglia, provvedimenti drastici di Federico II contro i cattolici della Slesia. In tale inchiesta, l'A., pur confermando i sospetti dei pontefice sul conto del prelato, contribuì tuttavia a risolvere l'intricata questione con la nomina dello Schaffgotsch.
Nel 1754 lasciò la nunziatura di Varsavia per assumere la carica di governatore di Roma. Cominciò allora una più stretta collaborazione fra l'A. e il pontefice nel disimpegno dei complessi problemi giuridico-amministrativi dello stato. Creato cardinale il 5 apr. 1756, l'A. nel settembre fu chiamato da papa Lambertini, giunto ormai alla fine del suo pontificato, a succedere al cardinale S. Valenti Gonzaga quale segretario di stato: nomina che trovò favorevole sia l'ambiente di curia sia quello dei diplomatici stranieri, fra i quali, in particolare, l'ambasciatore francese duca di Choiseul, cui l'A. cercò di avvicinarsi maggiormente, ma non al punto di intervenire nelle trattative allora in corso fra Roma e la Francia, condotte direttamente dal pontefice e dallo Choiseul e vertenti sul delicatissimo problema dei rapporti fra i vescovi francesi, il sovrano ed il papa. Presto, però, l'A., sia per l'illimitata fiducia che godeva presso il pontefice sia per la profonda conoscenza degli affari di governo, controllò e risolse quasi tutte le trattative fra la corte pontificia e gli altri stati.
Così, quando alla fine del 1757 il Senato veneziano ordinò la sospensione di un decreto, emanato nel settembre 1754, riguardante provvedimenti in materia di exequatur alle bolle di pensioni e benefici ecclesiastici, Benedetto XIV incaricò l'A., insieme con il cardinale Spinelli, di discutere con l'ambasciatore veneziano a Roma, il Correr, la questione che s'inquadrava più ampiamente nei problemi dei rapporti fra Stato e Chiesa nel dominio della Serenissima. E, sia nelle laboriose trattative sia nella stessa conclusione dell'accordo, fu proprio l'A. ad avere una funzione determinante. Così, grazie alla sua influenza, venne concluso un trattato di commercio fra la S. Sede e la Lombardia austriaca; e fu ancora l'A., insieme con Benedetto XIV, a riaprire e a porre fine alla spinosa questione delle imposizioni su Avignone e sul contado Venassino, che poco rendevano alla Dataria apostolica e che il pontefice decise perciò di abolire.
Ma dove l'A. ebbe modo di far sentire più a fondo il suo diretto intervento, anche influenzando le decisioni del papa, fu nella questione dei gesuiti del Portogallo. Benché poco legato, se non ostile, all'Ordine.1 non esitò, nel 1758, a ordinare al nunzio apostolico a Lisbona, monsignor Acciaiuoli, di appoggiare i gesuiti, dopo i severi provvedimenti emanati dal Pombal. D'altro canto, insieme con il cardinale D. Passionei, deciso antigesuita, esercitò serie pressioni sul pontefice per indurlo ad accogliere le richieste della corte portoghese. Il che, oltre alla riconoscenza di Giuseppe I, ebbe come effetto, nell'aprile dello stesso anno, la nomina da parte di Benedetto XIV - che era, come sempre, una decisione aliena da ogni intento politico di durezza od irrigidimento del cardinale portoghese F. Saldanha a visitatore e riformatore della Compagnia di Gesù. Il breve di nomina del Saldanha offri al Pombal, per i suoi personali legami col prelato, l'occasione più propizia ed il pretesto più giustificato per iniziare la sua opera di totale distruzione dell'Ordine. Che l'A. vi abbia in qualche modo contribuito è quindi indubbio, pur se restano ancora poco chiare l'incidenza effettiva e la esplicita sua posizione nella complessa vicenda: se egli cioè abbia agito più nell'intento di realizzare ancora una volta i caposaldi della politica di Benedetto XIV nei riguardi degli statti italiani ed europei o sia stato mosso e condizionato piuttosto dal diffuso antigesuitismo di quegli anni. là certo comunque, che, confermato quale segretario di stato di Clemente XIII, egli impedì, insieme con il cardinale Spinelli, anch'egli poco favorevole ai gesuiti, che il papa, favorevole ai gesuiti, assumesse un atteggiamento contrario al Pombal.
Morì improvvisamente il 30 settembre dello stesso anno 1758.
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