Manfredi, Alberghetto de'
Nato, presumibilmente poco dopo la metà del sec. XIII, da Manfredo de' M., la più potente famiglia faentina di Parte guelfa, A. fu costretto, assieme ai suoi famigliari, a condurre buona parte della sua breve esistenza in esilio nei castelli manfrediani del contado faentino, in seguito al prevalere in città delle rivali forze ghibelline coalizzate attorno al casato degli Accarisi e capitanate da Guido da Montefeltro. Null'altro si sa di lui, prima della tragedia familiare che lo portò a morte assieme al padre, se non che ebbe in sposa una Chiara, figlia di Nicolò degli Algerii.
D., pur senza riferirsi espressamente ad A., allude nella ghiaccia infernale della Tolomea alla sua tragica fine, avvenuta il 2 maggio 1285 alla ‛ Castellina ' (villa manfrediana situata presso Cesato nella Bassa Faentina, vicino al corso del Lamone) per tradimento dei cugini Alberigo, il peggiore spirto di Romagna (If XXXIII 154), Ugolino e Francesco.
Costoro, infatti, per rivalità di carattere ereditario e insieme politico, invitato a mensa A. assieme al padre Manfredo, col pretesto di riportare la pace all'interno della famiglia, li fecero uccidere dai servitori, entrati nella sala conviviale al segnale convenuto " vengano le frutta ": I'son frate Alberigo; / i'son quel da le frutta del mal orto, / che qui riprendo dattero per figo (vv. 118-120).
Bibl. - P. Cantinelli, Chronicon, a c. di F. Torraca, in Rer. Ital. Script.² XXVIII 2, Città di Castello 1902, 22, 44, 54, 56, 68, 79; P. Zama, I Manfredi, Faenza 1954, 101 ss.; L. Biagioni, Frate Alberigo dei M. aus Faenza in der Romagna, in " Deutsches Dante-Jahrbuch " XXXIV-XXXV (1957) 102-135; J. Larner, The Lords of Romagna, Londra 1965, 24, 48, 286.