MANFREDI, Alberghettino
Nacque presumibilmente verso la fine del Duecento, secondogenito di Francesco di Alberghetto, signore di Faenza, e di Rengarda di Malatesta Malatesta detto da Verucchio.
Cantinelli e gli Annales Forolivienses ricordano che Francesco il Vecchio, in esilio a Rimini dal 1292 per volere del Comune faentino, avrebbe dato nel 1295 il M. in ostaggio al conte di Romagna Guillaume Durand, rettore papale, a garanzia della sua permanenza a Rimini; il M. sarebbe stato mandato a Castrocaro. Jones riprende la notizia e aggiunge che il M. sarebbe stato restituito al padre - tramite i congiunti Malatesta - dal Durand nello stesso 1295 in cambio del ghibellino riminese Galassino Parcitadi, in seguito agli scontri del dicembre 1295 che videro Malatesta da Verucchio prendere il sopravvento sui suoi principali avversari, Ugolino e Montagna Parcitadi, e farsi signore di Rimini. Tale dato sembra quindi attestare che il M. fosse a quella data già uscito dalla prima infanzia. Una notizia riportata da Azzurrini (p. 94) lo dice emancipato dal padre nel 1322.
Praticamente non abbiamo notizie del M., oscurato nelle cronache dal fratello Ricciardo, capitano di Imola, prima degli anni Venti del Trecento. Da Azzurrini sappiamo che il M., già sposato a questa data con Jacopa di Giovanni di Ugolino Ubaldini, intraprese a partire dal 1320 acquisti e permute territoriali di rilievo, probabilmente per estendere l'influenza della famiglia verso sudest.
Comperò nel 1320 da Taddeo e Malatesta da Montefeltro i castelli di Calamello, Fernazzano e Cavina, in Val di Montone, per rivenderli al padre Francesco nel 1322, con i propri diritti su Monte Maggiore; ebbe anche stretti rapporti patrimoniali con il suocero, cui secondo Litta vendette nel 1323 il castello di Vallemaggiore.
La dinastia dei Manfredi in questi primi anni di signoria sulla città attraversava una fase di complessa definizione delle gerarchie al proprio interno, come altre signorie trecentesche italiane: in questo contesto, spesso conflittuale fra i diversi membri della casata e ancora ben lontano dall'irrigidimento in regole successorie sostanziali o formali, il M. tentò di ritagliarsi un ruolo di primo piano. Mentre il padre consolidava la sua signoria a Faenza e il fratello Ricciardo diveniva capitano del Popolo della vicina Imola per cinque anni dal 1322, il M. doveva mordere il freno; egli non era peraltro estraneo alla gestione del potere su Faenza, a questa data probabilmente collegiale, dal momento che compare nel 1325 come destinatario col padre e i fratelli Ricciardo e Tino del richiamo di papa Giovanni XXII a pagare il censo dovuto. Nel 1326, allorché Cecco Ordelaffi, signore di Forlì, rinfocolò l'antica inimicizia con i Manfredi (già nel 1314 Francesco il Vecchio aveva tentato di impadronirsi di Forlì) occupando Lugo, il M. approfittò dell'occasione e, alleatosi con l'Ordelaffi, cospirò contro il padre. Dopo la vittoria di Francesco, che riuscì a recuperare Lugo con il sostegno dei Fiorentini, il M. fu esiliato dal padre a Modigliana. Egli non si dette per vinto e l'anno successivo un evento imprevisto sembrò offrirgli un'ulteriore occasione di tentare la sorte.
Giovanni XXII inviò infatti nella primavera 1327 a Bologna il cardinale legato, Bertrand du Poujet, per testare la fedeltà dei signori romagnoli e riaffermare il dominio diretto della Chiesa su alcuni importanti centri urbani - fra cui anche Faenza - i cui signori si erano ripetutamente rifiutati negli anni precedenti di pagare censi e taglie dovuti alla Chiesa; Francesco il Vecchio ritenne perciò prudente recarsi a Bologna a rinnovare la propria fedeltà al legato papale. L'arrivo del legato alterò temporaneamente le coordinate del quadro signorile romagnolo, aprendo spazi alla turbolenta intraprendenza di vari attori non protagonisti sulla scena. Primo fra tutti, il Manfredi.
Fra il 9 e il 10 luglio 1327, approfittando dell'assenza del padre, a Bologna, e della permanenza del fratello Ricciardo a Imola, il M. cacciò da Faenza il podestà e si proclamò signore della città. Non agiva solo: aveva infatti l'appoggio interno del cugino Francesco Sicchino (si trattava probabilmente di Francesco di Ugolino Bozzola) e poteva contare sull'alleanza esterna di Cecco Ordelaffi e di Ostasio da Polenta. L'ascesa del M. fornì al legato l'occasione per riaffermare con la forza l'autorità della S. Sede: Bertrand du Poujet, con Francesco e Ricciardo Manfredi (che nel frattempo aveva riconsegnato al legato anche Imola), non accettò il colpo di mano e mosse su Faenza, conquistando la città nel luglio 1328.
Il M. aveva iniziato, probabilmente nella primavera, a costruire una rocca presso le mura della città, all'altezza di S. Maria Foris Portam: la costruzione rimase incompiuta, e i resti murari vennero inglobati nell'ampliamento quattrocentesco delle mura urbane.
Condotto a Bologna, il M. non si rassegnò nemmeno questa volta: coinvolto in una congiura dei Maltraversi contro Bertrand du Poujet, per consegnare la città felsinea a Ludovico il Bavaro, fu scoperto e condannato a morte. Venne decapitato a Bologna, per ordine del legato, il 18 nov. 1329.
Ebbe dalla moglie Jacopa due figlie, Giovanna (che sposò Biordo di Vieri dei Bardi nel 1337) e Maddalena, e due figli, Giovanni e Bernardo. Giovanni, morto secondo Litta prima del 1388, diede inizio alla breve dinastia dei Manfredi di Marradi: alla morte del padre si rifugiò infatti in questo castello appenninico e da qui si guadagnò l'amicizia di Firenze, il più potente vicino, cedendo a questa il castello di Bettona. I buoni rapporti con la Repubblica fiorentina garantirono al figlio Almerico il possesso sicuro del piccolo dominio montano.
Fonti e Bibl.: Annales Forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXII, 2, p. 50; P. Cantinelli, Chronicon, a cura di F. Torraca, ibid., XXVIII, 2, p. 78; B. Azzurrini, Cronica breviora, a cura di A. Messeri, ibid., 3, pp. 87, 93 s., 126 s., 200; Statuta civitatis Faventiae, a cura di G. Ballardini, ibid., 5, pp. XXXVII, LXII, 286, 336 s.; Marcha di Marco Battagli da Rimini, a cura di A.F. Massera, ibid., XVI, 3, p. 46; G.C. Tonduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675, ad ind.; J.B. Mittarelli, Ad scriptores rerum Italicarum accessiones, Venetiis 1771, Index septimus, ad ind.; G. Panzavolta, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1884, p. 138; P. Zama, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954, pp. 96-100; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, p. 216; J. Larner, Signorie di Romagna, Bologna 1972, pp. 92, 112; P. Jones, The Malatesta of Rimini and the Papal State, Cambridge 1974, p. 40; G. Cattani, Politica e religione, in Faenza nell'età dei Manfredi, Faenza 1990, pp. 18, 20; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Manfredi di Faenza, tav. III.