ALAIMO (Alaimus, Alaimu, Alamo) da Lentini (di Latino, di Leontino)
Nato, probabilmente a Messina, nella prima metà del sec. XIII, fece la sua prima comparsa nella vita politica siciliana partecipando nel 1254 alla congiura contro Manfredi. Esiliato, si distinse, nel 1268, quale fautore degli Angioini, nella repressione dei seguaci di Corradino; nel 1271 fu nominato consigliere e familiare regio, e nel 1274 giustiziere del principato e del territorio di Benevento. Nel 1279 A. era nuovamente a Messina quale esponente della secrezia. Con la rivoluzione del Vespro si schierò con i fautori dell'autonomia isolana, sotto la protezione del pontefice. Dopo la sconfitta del 24 giugno 1282, presso Milazzo, del primo capitano di Messina, Baldovino Mussone, venne acclamato capitano della città, che seppe validamente organizzare per resistere al blocco iniziato da Carlo d'Angiò il 25 luglio. Di fronte all'intransigenza pontificia verso i ribelli siciliani ed al fallimento delle trattative condotte dal legato Gherardo da Parma, nell'impossibilità di difendere validamente da solo l'autonomismo delle Communitates Siciliae e di resistere alla sempre crescente pressione delle forze angioine, anche A., come i Palermitani, decise di rivolgersi a Pietro d'Aragona, che il 22 ottobre lo nominò maestro giustiziere a vita del Regno. Da questo momento accrebbe sempre più il suo ascendente sui Siciliani e anche per gli intrighi della moglie, Macalda di Scaletta, presso la corte aragonese, ottenne dal re concessioni di feudi, lo accompagnò nella spedizione in Calabria e riuscì a risolvere favorevolmente la prima rivolta antiaragonese di Gualtiero di Caltagirone. Così che Pietro III, quando tornò in Aragona, affidò a lui la tutela dei figli e della moglie. A. seppe dimostrare la sua fedeltà alla nuova casa regnante col sedare definitivamente la nuova ribellione di Gualtiero, che fece condannare a morte (1283). Tuttavia la popolarità di A., il suo passato e le intemperanze della moglie, gli suscitarono contro l'accanita ostilità di Giacomo Il e la gelosia di molti. Sotto l'accusa di tradimento, venne fatto partire per l'Aragona (19 nov. 1284), ma finché durò in vita Pietro III, sinceramente a lui legato, l'accusa lanciata senza prove convincenti poté essere respinta. Morto però re Pietro, Giacomo Il ottenne dal fratello Alfonso III credito alle presunte prove di colpevolezza e la consegna di A., che inutilmente chiedeva di essere sottoposto a regolare giudizio. Pertanto, nell'agosto del 1287, A. ed il nipote Adenolfo di Mineo furono consegnati agli inviati di Giacomo, Gilberto de Castelletto e Bertrando de Cannellis. Sulla nave che avrebbe dovuto ricondurli in patria, fu letta ai prigionieri la sentenza di morte; poi, in vista delle coste siciliane, entrambi vennero buttati a mare.
Fonti e Bibl.: G. La Mantia, Codice diplomatico dei re aragonesi di Sicilia, I, Palermo 1918, pp. 16, 17, 18, 19, 21, 22, 24, 52, 66, 116, 117, 119, 158, 162, 163, 164, 165, 200, 201, 327, 328, 342, 343, 344, 345, 354, 386, 387, 391, 392, 393, 407, 420, 430, 445, 543, 545,560; Bartolomeo da Neocastro, Historia sicula, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XIII, 3, a cura di G. Paladino, passim;Saba Malaspina, Rerum Sicularum... Historia, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., VIII, Mediolani 1726, passim; Due cronache del Vespro in volgare siciliano del sec. XIII, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXXIV, 1, a cura di E. Sicardi, passim; G. Zurita, Anales de la corona de Aragon, Zaragoza 1585, pp. 249, 250, 294; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, Milano 1886, I, passim; II, pp. 84-93, 174-179; O. Cartellieri, Peter von Aragon..., Heidelberg 1904, pp. 114, 123, 157, 158, 160, 161, 176, 180; O. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, p. 24.