KUROSAWA, Akira
(App. III, I, p. 957)
Regista cinematografico giapponese. Universalmente ritenuto, con Y. Ozu e K. Mizoguchi, il più rappresentativo autore del cinema nipponico, dal 1943 al 1965 ha diretto ventidue film (raggruppati in due categorie: jidai geki, "racconti in costume", e gendai-geki, "racconti di vita contemporanea"); soltanto quattro dal 1965 al 1985 e tre dal 1985 al 1993.
Questo rallentamento nell'attività di un cineasta giudicato in patria vicino alla cultura occidentale sia nella scelta degli spunti narrativi sia nella tecnica di lavoro coincide con una fase di massima occidentalizzazione del Giappone e della sua egemonia internazionale, in particolare, nei campi dell'elettronica e della produzione in serie di materiali destinati al piccolo schermo. Fattosi da tempo produttore di sé stesso e dopo aver tentato di collaborare con i produttori hollywoodiani, K. dirige, ambientandolo nella Tokyo di oggi, Dodes' ka-den (1970), che non ha avuto successo. Nel 1971, ancora definito dalla stampa "l'imperatore del cinema nipponico", K. tenta il suicidio, ma un invito rivoltogli dai cineasti sovietici a lavorare nell'URSS vale a restituirgli fiducia e a fargli dirigere Dersu Uzala (Dersu Uzala, il piccolo uomo della grande pianura, 1975). Dodes' ka-den e Dersu Uzala affrontano lo stesso tema: il rapporto uomo-natura, sotto un segno negativo il primo, positivo il secondo. In una rappresentazione straniata, influenzata dalle tecniche del teatro Kabuchi, dalle vicende di alcuni derelitti di periferia, in Dodes' ka-den K. s'interroga sul significato della sofferenza umana e sulla responsabilità che ne va attribuita al degrado metropolitano. Di contro, in Dersu Uzala, in immagini di tersa purezza coglie il legame armonioso che corre fra un selvaggio uomo delle foreste e delle steppe e la terra da lui sentita come organismo vivente di cui si considera parte. Analogo nell'ispirazione, resoconto di una lenta e sommessa modificazione interiore è il film, dall'ambientazione medievale, Kagemusha (1980). Finanziato dagli americani G. Lucas e F.F. Coppola, esso restituisce per rapidi scorci, con efficacissima intensità figurativa, le lotte di feroci clan rivali e, insieme, il percorso di un ''doppio'', da straccione a ''ombra del guerriero'', a servitore del mito che lui stesso ha contribuito a creare. La ricca problematica morale, la duttile riproposta di motivi shakespeariani, il bel nitore figurativo rendono memorabile anche il successivo film di K., Ran (1985), che riconsegna il regista alla storia del cinema, e non del cinema giapponese soltanto. Da questi temi di valore universale, K. si ritrae in una sorta d'ambito privato con Konna yume wo mita (Sogni, 1990) e Hachigatsu no Kyohshikyoku (Rapsodia in agosto, 1991), cui fa seguito l'arguto e affettuoso Madadayo (Madadayo, Il compleanno, 1993), premiato a Cannes. Vedi tav. f.t.
Bibl.: J. Leyda, Ritratto di Kurosawa, in Cinema, 1954; T. Ranieri, Le donne di Mizoguchi e gli uomini di Kurosawa, in Bianco e Nero, 1957; S. Ezratty, Kurosawa, Parigi 1963; D. Richie, The films of A. Kurosawa, Berkeley 1970; The complete works of A. Kurosawa, in Kinema Jumpo, Tokyo 1971-72; G. Grazzini, Cinema '77, Roma-Bari 1978; Id., Cinema '78, ivi 1979; G.L. Rondi, Il cinema dei maestri, Milano 1980; G. Grazzini, Cinema '80, Roma-Bari 1981; Id., Cinema '86, ivi 1987; Id., Cinema '90, ivi 1991; A. Tassone, A. Kurosawa, Firenze 1991; G. Grazzini, Cinema '91, Roma-Bari 1992.