CHÂTELUS (Chalus, Chasluz, Castrolucii), Aimeric de
Nacque, con tutta probabilità, nell'ultimo ventennio del sec. XIII, dalla famiglia dei signori di Châtelus-le-Marcheix (Creuse) imparentata con quella del futuro papa Clemente VI. Lo Ch., il cui fratello Pierre era abate di Cluny, il 7 sett. 1316 venne creato canonico della Chiesa di Limoges e cappelanus papae con l'attribuzione successiva di varie rendite e privilegi, fra i quali (17 sett. 1316) quello di non essere ordinato per tre anni né diacono né prete, malgrado fosse rettore della parrocchia di Gaure. Dottore in utroque, ben presto venne incaricato dal papa di svolgere missioni diplomatiche ed amministrative. Il 1º giugno 1317 ebbe con altri due prelati il mandato di costringere alcuni canonici della diocesi di Périgeux a restituire proventi arbitrariamente incamerati e il 17 agosto dello stesso anno, divenuto sacri palatii auditor, fuincaricato di far rispettare un trattato stipulato da Venezia e Ferrara, già approvato da Clemente V. Con questa missione lo Ch. cominciò a svolgere i suoi uffici in Italia, ove, tolti i pochi anni trascorsi a Chartres come vescovo, si sarebbe fermato per circa un trentennio, assolvendo incarichi politici via via più importanti. Il 26 luglio 1317, insieme con il vescovo d'Asti, fu mandato in Lombardia per far rilasciare alcuni nobili milanesi imprigionati da Matteo Visconti. Il 9 settembre dello stesso anno, insieme con i vescovi di Arras e di Bologna, fu inviato di nuovo in Italia per domare la ribellione degli Estensi che, richiamati dal popolo sollevatosi contro Roberto d'Angiò, vicario pontificio, avevano occupato importanti luoghi fortificati e sottratto Ferrara al dominio pontificio. La missione dello Ch. giunse a buon fine l'anno seguente (24 giugno 1318), allorché gli Estensi, tramite il loro procuratore, il milite Parente de' Scornazzani, non soltanto si dichiararono pronti alla restituzione, ma vennero anche costretti ad annullare una sorta di lega e di confederazione strette con Forlì, Forlimpopoli, Imola, Faenza e Cesena - città queste ultime che, soggette alla Chiesa, cercavano, ad imitazione di Ferrara, di conquistare una più accentuata autonomia -, nonché a ridurre il numero dei fanti e dei cavalieri. Tuttavia il successo della missione, se formalmente apparve pieno, in pratica venne minato da continui tentativi estensi di rendere inefficace il governo pontificio; tanto che lo Ch., pur nominato rettore generale della Campagna e della Marittima, nonché rettore speciale dei comitati di Segni, Ninfa, Fumone e Paliano (31 ott. 1318), non poté mai prender possesso della carica anche perché dovette adoperarsi a ricostruire le fortificazioni che il Comune di Ferrara aveva demolito (a riprova di quest'opera di consolidamento del potere stanno le rocche di Cesena e Bertinoro). Il 5 giugno 1320 venne, infine, nominato rettore di Romagna.
L'inanità degli sforzi per pacificare la Romagna appare dagli scarsi risultati ottenuti con il Parlamento convocato a Bertinoro (12 nov. 1320) e dal tono sconsolato di una lettera che lo Ch. inviò a Gasbert de Laval (23 febbr. 1321), nella quale descrive l'invincibile agire subdolo dei vari tiranni di Romagna e l'inveterata e purtroppo efficace abitudine di appellarsi alla Sede apostolica contro ogni provvedimento del rettore, proponendo di affidare l'amministrazione della turbolenta provincia a Roberto d'Angiò, re di Napoli.
Lo Ch. continuò a svolgere il suo incarico nonostante la scarsezza dei risultati conseguiti. Per conferirgli maggiore autorità Giovanni XXII lo innalzò al soglio arcivescovile di Ravenna (24 sett. 1322) in un momento particolarmente difficile, essendo stato l'ambiente ravennate messo a subbuglio dall'uccisione di Rinaldo da Polenta, arcivescovo eletto dal clero. La veste arcivescovile non servì a molto e lo Ch. dovette lottare in ogni modo per impedire lo sfaldamento della provincia: scomunicò Rinaldo d'Este signore di Ferrara per l'arbitraria occupazione di Argenta (1328), ottenendone la restituzione; pubblicò senza esitazioni la scomunica di Giovanni XXII contro l'imperatore Ludovico il Bavaro che aveva creato l'antipapa Niccolò V (12 maggio 1328); e ridusse alla ragione Ramberto Malatesta signore di Rimini ed altri feudatari. Stanco delle lunghe lotte condotte in Romagna, ottenne di ritornare in Francia e venne nominato vescovo di Chartres (13 maggio 1332). Ma non si trattò di un ritorno definitivo perché dovette riprendere, a più riprese, il rettorato di Romagna, ove sicuramente si trovava nel 1334 (cfr. Bernicoli, p. 31) e nel 1336, allorché ricevette dal papa il mandato di informarsi se potesse riuscire d'utilità alla Chiesa la rocca che i Perugini intendevano erigere a Spoleto.
Il 20 ott. 1342 fu creato cardinale prete del titolo di S. Martino ai Monti, ma, quasi contemporaneamente, ebbe l'ordine di tornare in Italia per ricoprirvi l'importante carica di legato pontificio e assolvere gli onerosissimi compiti di governare Sardegna, Corsica e Marca d'Ancona, pacificare la Toscana, ove i ghibellini stavano schiacciando i guelfi aretini e, infine, di ricevere da Roberto d'Angiò l'omaggio feudale dovuto alla Sede apostolica. Lo Ch. lasciò la Francia il 2 dicembre dello stesso anno e si trovò subito a dover fronteggiare diverse situazioni scabrose sia nel ducato di Spoleto sia in Romagna. Per la sopraggiunta morte di Roberto d'Angiò (26 genn. 1343), non poté recarsi nel Regno di Napoli, ma l'anno seguente (23 genn. 1344), Clemente VI gli affidò il più delicato incarico della sua carriera, nominandolo vicario, baiulo, amministratore e governatore generale del Regno di Napoli e concedendogli anche di affidare a suo nipote, Aimerico Rollandi, il rettorato di Romagna.
L'incarico dello Ch. era di estrema delicatezza: si trattava di non urtare il forte partito dei fedeli di re Roberto, che cercavano di eliminare le ingerenze pontificie nel Regno e, nello stesso tempo, di far rispettare i diritti della Sede apostolica ivi compresa la "balia" del Regno, affidata per l'appunto allo Ch., durante la minore età della regina Giovanna I, in sostituzione dei reggenti Filippo de Sangineto conte di Altomonte, Goffredo di Marzano conte di Squillace e Carlo conte d'Artois, minacciati di scomunica qualora non avessero ottemperato al disposto pontificio. Non era quindi facile la posizione dello Ch. che, giunto a Napoli nel maggio del 1344, dopo un viaggio lungo e travagliato, si trovò per giunta a dover revocare i numerosissimi atti di alienazione e di infeudazione compiuti da Giovanna e a dover aiutare gli inquisitori nella lotta contro i cosiddetti "fraticelli", condannati come eretici dal concilio di Vienne (1310), ma che godevano delle simpatie della regina Sancia, vedova di Roberto d'Angiò. Tuttavia, pur tra mille difficoltà e continui invii di ambasciatori al papa da parte di Giovanna, lo Ch. riuscì a portare a compimento la parte fondamentale del compito affidatogli: infatti il 28 ag. 1344, nella chiesa di S. Chiara, poté incoronare Giovanna regina di Napoli facendole pronunciare il giuramento di fedeltà alla Chiesa. Non gli fu possibile, però, raggiungere un soddisfacente controllo del turbolento Regno: prova ne siano i numerosi processi intentati contro coloro che detenevano feudi concessi loro abusivamente da Giovanna.
Finalmente, il 19 nov. 1344, il papa acconsentì a che lo Ch. lasciasse il Regno e tornasse in Francia. Nel viaggio di ritorno egli si fermò a Roma per espletarvi ancora una volta il compito di paciere, ma i nobili romani gli impedirono l'ingresso nella città, malgrado che Clemente VI gli avesse ordinato di tentare la pacificazione fra gli Orsini e i Colonna (26 giugno 1345) in lotta tra loro per la successione al seggio senatoriale. Gli ultimi atti dello Ch. sono l'esecuzione del testamento del cardinale Raimondo de Farges (18 nov. 1346), la richiesta, accolta dal pontefice, di abitare in un hospitium dei frati minori d'Avignone (16 sett. 1347) e l'istanza, anche questa accolta, di permettere al nipote, il già ricordato Aimerico Rollandi, di rinunciare alla carica di rettore di Romagna (8 genn. 1348).
La morte dello Ch. viene, dai vari autori, collocata tra il 1348 e il 1350. Il Mollat la pone al 7 genn. 1349, basandosi sul necrologio della chiesa di Notre-Dame di Chartres, ove lo Ch. sarebbe poi stato sepolto; ma la data urta con quanto è contenuto in una lettera di Clemente VI del 17 ag. 1349 (Lettres... du pape Jean XXII relatives à la France, n. 4226), dalla quale si dovrebbe dedurre che lo Ch. era ancora vivo e che potrebbe quindi costituire il termine a quo. Il termine ad quem, invece, dovrebbe essere quello di una lettera del 16 nov. 1349 (ibid., n. 4306) con la quale il papa si conduole per la morte del C. con il fratello di questo, Pierre.
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