Ai no korīda
(Giappone 1976, Ecco l'impero dei sensi, colore, 120m); regia: Ōshima Nagisa; produzione: Anatole Dauman, Ōshima Nagisa per Argos Film/Ōshima Productions; sceneggiatura: Ōshima Nagisa; fotografia: Itō Hideo; montaggio: Uraoka Keiichi; scenografia: Toda Jūshō; costumi: Katō Masahiro; musica: Miki Minoru.
Giappone 1936. Sada lavora come cameriera in una locanda di Tokyo. Di tanto in tanto, per soddisfare i propri impulsi sessuali, spia i suoi datori di lavoro fare l'amore. Un giorno, in un impeto d'ira, minaccia la sua padrona con un coltello. È così che il marito di quest'ultima, Kichizō, la conosce e ne fa subito la sua amante. La passione fra i due divampa, l'uomo lascia lavoro e famiglia per stare con la sua donna. Di albergo in albergo i due trascorrono il loro tempo facendo continuamente l'amore in ogni modo possibile, coinvolgendo talvolta anche chi si trova occasionalmente insieme a loro. In una locanda celebrano anche un finto matrimonio che si trasforma in un'orgia. Succube della donna e prigioniero del proprio desiderio, l'uomo finisce per farsi strangolare nel corso di un ennesimo atto sessuale, al termine del quale Sada gli taglierà i genitali per portarli via con sé prima di essere arrestata.
Film scandalo degli anni Settanta, al pari di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, Ai no korīda è probabilmente il primo film della storia del cinema che vuole e riesce a essere un film d'autore e, nello stesso tempo, un film pornografico ‒ con riprese ravvicinate di organi genitali maschili e femminili e atti sessuali non simulati. È, nei fatti, un'identica ossessione erotica a travolgere la vita di Sada e Kichizō e a plasmare tutte le immagini del film. Il tema caro ai surrealisti dell'amour fou diventa qui quello del sexe fou attraverso una storia di reciproca possessione e di desiderio carnale senza limiti. I due protagonisti sono spinti a imprigionarsi in spazi via via sempre più chiusi e ristretti che trovano il loro culmine ideale nella vagina della stessa Sada, in cui la donna conserverà per quattro giorni ‒ come dicono le parole conclusive del film ‒ il pene evirato dell'amante. Mai Ōshima Nagisa aveva portato a così estreme conseguenze quel tema centrale a tutto il nuovo cinema giapponese degli anni Sessanta che è, in aperta contrapposizione alla tradizionale filosofia della rinuncia e dell'accettazione dell'esistente, la realizzazione a ogni costo del proprio desiderio. Nella loro ricerca del piacere Sada e Kichizō si escludono dalla società e dalla Storia ‒ sebbene il film ricordi attraverso rapidi flash che il 1936 è un anno decisivo per l'avvicinamento del paese alla tragedia della guerra ‒ e arrivano a compiere la loro individuale tragedia, che trova nella morte l'espressione ultima di una rivolta senza speranza.
Convinto che lo stile di un autore debba sottomettersi alle esigenze del soggetto del film, Ōshima rinuncia qui agli ampi piani, alle riprese in esterni, agli elaborati movimenti di macchina, alle asperità del montaggio dei suoi film precedenti. Ai no korīda è tutto fatto d'interni e riprese in studio, dominato da inquadrature fisse e ravvicinate, ricco di intensi primi piani che rimandano ai volti femminili, resi ancora più belli dall'estasi sessuale, delle incisioni di Utamaro e Hokusai, i grandi artisti giapponesi del 18° secolo. Nel suo complesso il film è costruito con uno stile molto più classico di quanto il regista non fosse abituato a fare: è così al solo sesso che tocca il compito di incarnare la dimensione di trasgressione e provocazione che lo contrassegna.
I temi di Ai no korīda hanno spinto molta critica occidentale a leggere il film in rapporto all'opera del filosofo francese Georges Bataille, che lo stesso Ōshima del resto ammette di conoscere, in particolare per il legame presente fra eros e thanatos ‒ si pensi, insieme al finale, alla scena in cui Sada spinge Kichizō ad accoppiarsi con una vecchia geisha che ricorda all'uomo il cadavere di sua madre ‒ e per la rappresentazione della sessualità come momento di trasgressione ed eccesso che si sottrae ad ogni superamento dialettico. Non sono mancate nemmeno letture di tipo femminista, in particolare per quel che riguarda il ruolo di Sada, assurta nel suo paese a simbolo della liberazione sessuale: in Ai no korīda, in effetti, la donna non è mai assoggettata al suo partner maschile, e la castrazione finale di questo è stata interpretata come la fine del culto fallocratico ereditato in Giappone dal mito dei samurai.
La vicenda di Abe Sada è stata soggetto di almeno altri due film giapponesi, Jitsuroku Abe Sada (Abesada ‒ L'abisso dei sensi), diretto da Tanaka Noboru e uscito un anno prima di quello di Ōshima, e Sada, firmato da Ōbayashi Nobuhiko nel 1997. Ōshima ritornerà ai temi di Ai no korīda col successivo Ai no bōrei (L'impero della passione, letteralmente Il fantasma dell'amore, 1978).
Interpreti e personaggi: Fuji Tatsuya (Ishida Kichizō), Matsuda Eiko (Abe Sada), Nakajima Aoi (Toku), Seri Meika (Matsuko), Tonoyama Taiji (mendicante), Fuji Hiroko (Tsune), Shiraishi Naomi (Yaeji la geisha), Okada Kyōko (Hangyoku), Matsunoya Kikuhei (Hōkan), Matsui Yasuko (padrona della locanda), Kokonoe Kyōji (Ōmiya), Tomiyama Kazue (serva grassa), Kobayashi Kanae (Kikuryu la vecchia geisha).
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