AI KHĀNUM (v. s 1970, p. 21)
Una delle conseguenze della conquista di Alessandro in Oriente fu la formazione in Asia centrale di un potente stato coloniale greco che, al suo apogeo, verso la metà del II . a.C., dominava il complesso di territori che si stende tra la valle dell'Oxus (l'odierno Amu Daryā) e quella dell'Indo e che oggi corrisponde, oltre che alle tre repubbliche del Turkmenistan, dell'Uzbekistan e del Tajikistan, all'Afghanistan e al Pakistan settentrionale.
Di tale stato, che in origine, prima dell'espansione nelle terre a S dell'Hindukush, fu greco-battriano, vale a dire limitato alla Battriana o valle del medio Oxus e ai territorî immediatamente circostanti, sino a poco tempo fa si conoscevano soltanto le linee essenziali della storia politica, in sostanza la successione dei diversi regni ricostruita in base alle abbondanti serie monetali pervenute ai musei europei. La scoperta nel Nord dell'Afghanistan, nel sito di Ai Kh., delle rovine di una grande città di questo regno greco-battriano e gli scavi qui condotti dal 1965 al 1978 dalla Missione Archeologica Francese in Afghanistan hanno conferito sostanza e vita a questo astratto schema. Altri ritrovamenti effettuati successivamente in Uzbekistan e Tajikistan non hanno fatto che confermare l'espansione di questa cultura greco-battriana nell'insieme dei territori della valle dell'Oxus e dei suoi affluenti.
L'impero greco-battriano. ― La vita della città coloniale di Ai Kh., la cui identificazione con l'Alessandria sullo Oxus delle fonti greche rimane ancora problematica, fu relativamente breve, con una durata di meno di due secoli. Fondata da Alessandro nel corso della sua conquista dell'Asia centrale (329-327 a.C.) o, come forse è più probabile, intorno al 300 a.C. da Seleuco I, che estese il suo dominio a oriente sino all'Hindukush, la città inizialmente fece parte, come la satrapia battriana dalla quale dipendeva, dell'impero seleucide. La forte personalità di Apamea, una battriana, rispettivamente moglie e madre dei due primi sovrani seleucidi, contribuì di certo a rendere più stretti і rapporti tra la Battriana e il mondo mediterraneo. Nel corso dei cinquant'anni circa di sovranità seleucide, la provincia ricevette un nuovo afflusso di coloni greci e si impregnò di tradizioni elleniche. Intorno al 250 però, sicura delle proprie forze e prendendo coscienza del fatto che il proprio destino si giocava lontano dal bacino mediterraneo, dove la mоnarchia seleucide impegnava le proprie energie nelle incessanti rivalità con gli altri stati ellenistici, la Battriana, sotto l'istigazione del satrapo Diodoto, fece una secessione e si proclamò stato indipendente.
Inizialmente concentrato nella valle dell'Oxus, dove si era formato, lo stato greco-battriano in seguito si estese con conquiste verso S e verso SE e si annetté і ricchi territori della valle dell'Indo e dell'India nord-occidentale, verso la quale progressivamente andò spostandosi il suo centro di gravità. Ma le dimensioni stesse di quest'impero e l'eterogeneità delle culture locali che esso riuniva nel suo seno, iraniche al Nord, indiane al Sud, sommandosi al gioco delle ambizioni personali, furono le cause che ne provocarono la frantumazione in principati indipendenti, soprattutto nella parte indo-greca. Le frontiere settentrionali rimanevano sotto la costante minaccia dei popoli della steppa. Verso il 145 a.C. un'ondata di tribù nomadi cacciò і Greci dalla città di Ai Kh. e dalla Battriana orientale. Dopo una breve occupazione da parte di popolazioni locali, il sito di Ai Kh. venne definitivamente abbandonato a eccezione della cittadella. Prima della fine del II secolo і nomadi completarono la conquista della valle dell'Oxus. I regni greci che si erano formati a S dell'Hindukush ressero per circa un secolo ancora, ma finirono col cedere all'avanzata degli invasori. Verso il 10 d.C. scompariva nel Panjāb orientale l'ultimo lembo di quella che si è potuto definire la quarta grande monarchia ellenistica.
Il sito. ― La città di Ai Kh. è situata all'estremità orientale della pianura di Battriana, sulla riva sinistra dello Oxus, nel punto in cui il fiume, uscendo dalle montagne, sbocca nella pianura e riceve il suo primo affluente di sinistra, il Kokča. Benché distante dalla grande via carovaniera che collegava la Battriana all'India e dai guadi più utilizzati dell'Oxus, il sito presentava vantaggi tali da favorire un insediamento coloniale. La sua posizione permetteva di farne una base di appoggio militare sulla frontiera orientale, dalla quale era possibile soprattutto controllare la confluenza di un affluente di destra dello Oxus, il Qïzïl-su, via di invasione aperta di fronte ai nomadi. La pianura di loess, lunga c.a 35 km, larga c.a 10, che si stendeva a monte della località sulla riva sinistra dell'Oxus, offriva ai Greci un ricco terreno agricolo, già valorizzato da una classe contadina numerosa, grazie a una vasta rete di canalizzazioni, che essi stessi si adoperarono per allargare. A ciò si aggiungevano le risorse provenienti dall'allevamento di transumanza tra la pianura e gli alpeggi del retroterra montagnoso. Quest'ultimo era inoltre ricco di minerali di ogni sorta e ospitava, in particolare, l'unico giacimento di lapislazzuli sfruttato nel corso dell'antichità.
Alla confluenza dell'Oxus e del Kokča la natura offriva un sito conforme alle esigenze dell'urbanistica greca: una collina piatta alla sommità, alta c.a 60 m, delimitava, insieme ai due fiumi, una vasta area triangolare di 1,9 X 1,6 km. Tali difese naturali vennero rinforzate da un anello completo di massicce mura di cinta in mattoni crudi. Poiché all'estremità N la collina era sprovvista di difese naturali, le mura furono oggetto di attenzioni particolari: spesse c.a 8 m, esse erano provviste di bastioni rettangolari lunghi c.a 20 m e aggettanti II m, alti più di 8 m, sulla cui sommità era organizzato l'efficace sistema difensivo. Venne ulteriormente aggiunto un fossato per rendere più difficile l'avvicinamento. Troppo ampio per poter essere organizzato nella sua interezza come un ridotto a carattere difensivo, il pianoro dell'acropoli lasciato aperto sul lato della città bassa. La cittadella vera e propria (160 X 120 m) venne edificata sul promontorio formato dall'angolo SE dell'acropoli al di sopra del Kokča.
Il palazzo. ― La maggior parte degli edifici pubblici e sacri, così come il quartiere residenziale, vennero costruiti nella città bassa. L'urbanistica di questa parte della città fu concepita sin dall'inizio in funzione di un palazzo. Per lasciare a quest'ultimo lo spazio per svilupparsi liberamente, la via principale, che correva dal muro di cinta settentrionale al Kokča, fu spostata lateralmente su una terrazza intermedia, posta tra la base dell'acropoli e la città bassa. Il palazzo poté così espandersi nella metà meridionale di quest'ultima su un'area di 350 X 250 m. Vi si accedeva mediante una strada che piegava ad angolo retto, distaccandosi dalla via principale, attraverso un propileo monumentale a colonne. Per l'impianto del palazzo, che rispondeva a una concezione architettonica estranea alla loro tradizione nazionale, gli architetti greci si ispirarono ai modelli presenti nell'Oriente conquistato, vale a dire і palazzi neo-babilonesi e quelli dei re achemenidi. Come quello di Dario a Susa, il palazzo di Ai Kh. comprendeva, in una massa compatta solcata da corridoi, un complesso di cortili e di edifici che ottemperavano a una triplice funzione, amministrativa, residenziale ed economica.
L'ingresso principale, preceduto da un piccolo propileo, si trovava a N e sboccava in una grandiosa corte di rappresentanza (137 X 108 m) con peristilio rodio, і cui quattro porticati allineavano 108 colonne in pietra con capitelli corinzî. Dietro al porticato meridionale, un monumentale vestibolo, con tre file di sei colonne corinzie ciascuna, dava accesso ai diversi settori del palazzo. Addossata al muro di cinta occidentale, tra gli appartamenti e la tesoreria, una seconda corte con porticato dorico aveva, malgrado le sue dimensioni imponenti, una destinazione privata.
Tra gli ambienti ufficiali del palazzo il più importante è un grande edificio quadrato di 50 m di lato, in asse col vestibolo ipostilo. Circondato da un corridoio che gli corre tutt'intorno, esso è diviso internamente, mediante due corridoi che si incrociano ad angolo retto, in quattro blocchi uguali a coppie di due, di cui і due orientali ospitavano due sale di ricevimento, con pareti decorate da lesene in pietra con capitelli a forma di sofà e da altorilievi in terra cruda; quelli occidentali costituivano due complessi destinati a uffici.
A О di quest'edificio, la zona residenziale, strutturata in tre blocchi, può essere riconosciuta grazie agli avancortili che, come in tutte le grandi dimore, precedono a N gli insiemi principali di ambienti, e grazie alla presenza di stanze da bagno e di locali di servizio.
I locali a destinazione economica erano situati a E e a О della corte di rappresentanza. A O si trovava la tesoreria, il cui corpo principale consisteva in file di magazzini raggruppati intorno a un cortile centrale. La funzione dell'edificio può essere desunta dalla sua pianta, ispirata a modelli orientali, e dai ritrovamenti che vi sono stati effettuati: recipienti per immagazzinamento, in particolare di incenso e olio di oliva importati, vasi destinati a contenere le riserve di denaro contante del palazzo, pietre semipreziose grezze о lavorate (lapislazzuli, turchesi, agate, corniole, granati, rubini, cristalli di rocca, berilli), oggetti di lusso. In un ambiente attiguo alla corte dorica erano depositati і manoscritti della biblioteca di palazzo.
Il carattere monumentale di questo complesso di edifici e la ricchezza della sua decorazione a colonne e a lesene autorizzano a pensare che ci si trovi di fronte a un vero e proprio palazzo reale. Ai Kh. sarebbe stata dunque il corrispettivo, nella Battriana orientale, della antica capitale Battra nel centro della regione. L'ultimo occupante del palazzo, a cui si deve una buona parte delle sistemazioni piu grandiose, fu il re Eucratide I, che regnò dal 170 sino al 145 a.C. circa. Nella tesoreria sono stati trovati resti del bottino riportato dalle sue conquiste in India: monete indiane a punzoni multipli, resti di un mobile in avorio, agata e cristallo di rocca e di un disco a lastrine di madreperla, la cui decorazione, con incrostazioni di pasta vitrea colorata circondate da fili d'oro, raffigura probabilmente il celebre mito indiano di Śakuntalā.
I caratteri dell'architettura greco-battriana. ― Il palazzo di Ai Kh. riassume in sé le caratteristiche e l'originalità dell'architettura greco-battriana. I muri, poggianti su possenti fondazioni di ciottoli, erano costruiti in mattoni crudi e, nelle parti più recenti, presentavano uno zoccolo di mattoni cotti, destinato a salvaguardare la base dei muri dall'umidità del terreno. I tetti erano a terrazza, fatti di argilla come in tutta l'architettura orientale, ma decorati ai bordi con tegole e antefìsse. La pietra da costruzione, un calcare tenero, era riservata alle soglie degli ambienti più importanti e, soprattutto, alle colonne e alle lesene. Gli elementi circolari (tamburi e basi) vennero eseguiti meccanicamente grazie a un apparecchio da tornitura che consentiva un taglio rapido e standardizzato. Le planimetrie sono in larga misura ispirate all'architettura orientale e centroasiatica, mentre la decorazione si mantiene fedele ai princìpi estetici greci, con l'utilizzazione dei tre ordini classici per le colonne (dorico, ionico e corinzio, sia che si tratti dell'adattamento al tipo corinzio di un antico tipo di capitello siro-fenicio, sia del tipo corinzio normale) e di antefisse il più delle volte a palmetta. La nudità degli interni delle stanze, con pavimenti di terra battuta e con pareti che solo di rado vengono decorate da lesene, da pitture a motivi geometrici о da rilievi in terra cruda, poteva anticamente essere attenuata dalla presenza di tappeti e tendaggi, cari al mondo orientale.
Nel complesso si tratta di un'architettura grandiosa, di concezione molto severa nonostante lo sfoggio un poco vistoso della decorazione in pietra, che privilegiava l'elemento funzionale, intransigente sul principio di ortogonalitá, amante della simmetria, e tale da evocare per molti versi l'architettura imperiale, fredda e altera, dei palazzi achemenidi.
Altri edifici pubblici: il ginnasio, il teatro, l'arsenale. ― Il ginnasio, edificio tipicamente greco posto sotto il tradizionale patrocinio di Hermes e di Eracle, che vengono ricordati in un'iscrizione, si stendeva con і suoi cortili e і suoi ambienti sulla riva E dell'Oxus. L'edificio raggiunge il suo sviluppo massimo nell'ultima fase di vita della città, quando il settore N, probabilmente riservato all'istruzione, forma da solo un quadrato di 100 m di lato. La pianta dell'edificio si ispira a modelli greci, con il cortile circondato su quattro lati da una fila di ambienti e dai portici colonnati, ma se ne contraddistingue per l'eccezionalità delle dimensioni e per l'inflessibile simmetria che domina ciascuno dei lati, sui quali si ripete un porticato centrale fiancheggiato da due sale disposte nel senso della lunghezza.
Addossato al versante interno dell'acropoli, il teatro di Ai Kh., il solo che si conosca in Oriente insieme a quello di Babilonia, poteva accogliere diverse migliaia di spettatori nell'ampio ventaglio dei suoi 35 gradini in mattoni crudi, lungo un arco maggiore di un semicerchio, con 42 m di raggio esterno. La presenza di grandi palchi a metà altezza, particolare sconosciuto ai teatri greci, riflette una società in cui coloro che detenevano il potere non avevano timore di manifestare, all'interno della stessa popolazione coloniale, la superiorità del proprio status sociale.
Contrariamente ai due casi precedenti, l'impianto del terzo grande edificio pubblico non è affatto tributario della Grecia: si tratta dell'arsenale, un vasto quadrilatero di 140 X 100 m, costruito ai bordi della via principale, dove, intorno a un cortile centrale, si allineavano in fila lunghi magazzini che custodivano gli equipaggiamenti militari, dalle punte di freccia alle armature in ferro dei soldati catafratti.
Le abitazioni private. ― Le grandi famiglie di coloni abitavano in un quartiere residenziale situato in una posizione privilegiata alla confluenza dei due fiumi, lontano dai grandi assi della circolazione pubblica. La casa che è stata scavata e lo studio delle fotografie aeree rivelano che esso era composto da non più di una cinquantina di dimore patrizie di grandi dimensioni (65 X 35 m), regolarmente allineate lungo vie parallele tra loro, con andamento E-О, che si staccavano perpendicolarmente dalla strada principale. La loro pianta differisce radicalmente da quella della tradizionale casa greca. Il blocco principale di ambienti e il cortile sono giustapposti e non più interconnessi, secondo una disposizione che si ritrova che nei settori residenziali del palazzo. Il blocco degli ambienti è organizzato in tre zone concentriche: al centro è la sala principale, circondata da un corridoio, sul lato esterno del quale si dispongono a ferro di cavallo gli altri locali. Sul cortile, di regola situato a N per ragioni climatiche, la facciata forma un portico a due colonne. L'ingresso avveniva lateralmente, sembrerebbe, attraverso il blocco degli ambienti. Una casa di dimensioni ancora più considerevoli (107 X 72 m), costruita all'esterno del tratto N delle mura, risponde a un analogo schema. In questa concezione architettonica, che non viene colta se non al termine di un'evoluzione in cui si assiste alla progressiva crescita della pianta in ampiezza e razionalità, si afferma l'uso di assicurare l'indipendenza di ciascun locale in relazione alla circolazione interna e soprattutto di isolare dalle attività domestiche la sala principale e il cortile, il quale assume un carattere assolutamente privato. In queste case così differenti da quelle del mondo mediterraneo vi è peraltro un settore che corrisponde a un'abitudine tipicamente greca: l'installazione termale, composta da due о tre ambienti in sequenza comunicanti l'uno con l'altro, con il pavimento lastricato о a mosaico e con pareti intonacate di stucco rosso: lo spogliatoio, la sala da bagno vera e propria, priva di vasca, dove le abluzioni venivano fatte per aspersione, e la stanza di servizio, dove ci si procurava l'acqua calda da un fornello, mantenuto acceso dalla cucina contigua. In altre zone del sito sono state ritrovate abitazioni molto più modeste, a pianta irregolare.
I monumenti funerari. ― La sola tomba scavata nella necropoli fuori le mura è un mausoleo di famiglia con l'aspetto di una massiccia costruzione in mattoni crudi che emergeva per metà dal terreno e che conteneva quattro ambienti ipogei a vòlta, posti ai due lati di un corridoio centrale. Accanto all'ingresso del palazzo, due altri monumenti a forma di piccolo tempio di tipo greco testimoniano l'usanza greca della sepoltura intra muros accordata ai grandi personaggi e ai benefattori della città. Il più recente dei due, con un colonnato periptero, era quello di aspetto più ellenizzante. L'altro, molto più modesto, dotato semplicemente di due colonne di legno sulla fronte, ospitava le spoglie di uno dei padri fondatori della città, un certo Kinèas. Nel porticato si trovava una stele in pietra offerta da Clearco, un discepolo di Aristotele che aveva viaggiato sino al lontano Oriente, sulla quale era incisa la lista, da lui raccolta, delle centocinquanta massime che si pensava і Sette Saggi della Grecia avessero dedicato nel Santuario di Apollo a Delfi, e che definivano le virtù ideali dell'uomo greco nelle sue relazioni con gli dèi, con la città e con la famiglia. La stele era ormai scomparsa, ma sulla sua base si conservavano, insieme alla dedica di Clearco, le ultime massime della serie, che non avevano trovato posto sulla stele medesima: «Fanciullo, impara le buone maniere; giovane, controlla le passioni; uomo, sii giusto; vecchio, dà buoni consigli e muori senza rimpianti». L'esposizione al pubblico, nel cuore della città, di questo codice etico e civile ereditato dalla tradizione delfica costituisce una manifestazione lampante della volontà dei coloni di mantenere salde radici nel loro patrimonio nazionale.
La lingua e la cultura letteraria. ― Un'altra prova dell'attaccamento dei coloni alla loro cultura ancestrale è l'uso della lingua greca, che essi continuano a parlare e a scrivere sino alla fine, senza traccia alcuna di imbarbarimento, come ci attestano le varie iscrizioni rinvenute nello scavo. I diversi tipi di scrittura, corsiva per i documenti di carattere economico (iscrizioni su vasi della tesoreria), monumentale o corsiva monumentale per і testi incisi sulla pietra, sono analoghi a quelli che si conoscono nel bacino del Mediterraneo nella medesima epoca. Un altro esempio di questa continuità ci è fornito dalla scoperta di resti di manoscritti letterari in uno degli ambienti della tesoreria del palazzo che probabilmente svolgeva la funzione di biblioteca. I supporti di papiro e di pergamena si erano decomposti, ma l'inchiostro delle lettere si era fissato, come per decalcomania, sulla fine terra delle macerie: si sono potuti in tal modo riconoscere su alcune zolle di terra il frammento di un trattato di ispirazione platonica o aristotelica che parlava del problema delle Idee e alcuni brandelli di versi. A imitazione dei grandi principi ellenistici protettori delle lettere e delle arti, coloro che occupavano il palazzo di Ai Kh. avevano dunque tenuto a possedere una propria biblioteca per la quale avevano fatto giungere manoscritti copiati in Occidente. Questo ritrovamento fa da eco a un passo di Plutarco il quale scrive, alcuni secoli più tardi, che dopo la conquista di Alessandro і popoli orientali ― si intenda le aristocrazie locali ellenizzate ― leggevano Omero e che і loro bambini declamavano le tragedie di Sofocle e di Euripide. Pur facendo conto dell'esagerazione retorica tipica del genere di trattato dal quale è desunta la citazione, possiamo ormai dare per sicuro che le opere più raffinate della cultura greca giungessero sino ai più remoti confini della colonizzazione greca in Oriente, opere teatrali comprese. La presenza di queste ultime è stata confermata non soltanto dalla scoperta del teatro, ma anche da quella, in una fontana costruita ai piedi del muro di cinta a strapiombo sull'Oxus, di un doccione raffigurante la maschera comica dello schiavo-cuoco. È fuori dubbio che, a fianco degli svaghi di carattere francamente popolare che dovevano essere offerti a teatro da mimi, prestigiatori, imitatori, girovaghi e saltimbanchi di ogni genere, la scena di Ai Kh. abbia assistito all'esibizione di autentici attori nel grande repertorio tragico e in quello della commedia nuova, in cui la parte del cuoco chiacchierone, come quello del Dýskolos di Menandro, doveva essere una delle più amate dal pubblico.
L'utensileria domestica. ― Nella vita quotidiana і coloni si servivano di utensili propri della tecnologia greca. Accanto ai normali frantoi, nelle loro case si trovano macine da grano di un tipo perfezionato, detto «a tramoggia», tipico del mondo greco. Torchi, serrature, calamai, strigili sono tutti imitazioni di modelli occidentali, così come di tipo greco sono le meridiane a sezione emisferica che servivano a leggere le ore. Un esemplare, di concezione assolutamente originale, appare ispirato al principio delle armille equatoriali, ben noto all'astronomia ellenistica.
Eccezione fatta per і bicchieri a forma cilindro-conica e per le fiasche che continuano una tradizione orientale, il vasellame ceramico, fabbricato sul posto, è anch'esso assai vicino ai prototipi mediterranei sia nei colori (ingubbiatura grigio-nera e rossa) che nelle forme: piatti, piatti da pesce, coppe a parete più o meno sagomata о carenata, coppe megaresi e con decorazione incisa poligonale, crateri, terrine, anfore a fondo piatto.
Le arti figurative. ― La lontananza dai grandi centri mediterranei non è senza dubbio estranea al tradizionalismo delle arti figurative, in cui predomina una sorta di classicismo attardato. I mosaici, limitati agli ambienti termali, non fanno che riprendere la vecchia tecnica del tappeto di ciottoli, ma і convenzionali motivi geometrici e vegetali, ridotti a semplice silhouettes da una messa in opera rudimentale (ciottoli uniformi e spaziati, uso di due soli colori) sono ben lontani dai quadri a effetto illusionistico che і mosaicisti del bacino mediterraneo avevano saputo ricavare dalla medesima tecnica. La statuaria è altrettanto conservatrice. A eccezione di una statua-acrolito і cui resti sono di qualità eccezionale, la pietra non sembra essere stata utilizzata altro che per opere di piccole o medie dimensioni: una donna appoggiata a un pilastro; un uomo nudo, coronato di foglie, dalla impeccabile anatomia; un'erma con un busto di vecchio avvolto da un mantello; il rilievo funerario di un efebo col mantello gettato sulle spalle, ci forniscono alcuni esempi di fattura nel complesso assai elevata. Gli artisti greco-battriani sono però responsabili anche di un contributo di fondamentale importanza, e cioè l'introduzione e il perfezionamento di una tecnica che nel mondo greco era stata usata solo in via eccezionale, ma che in Asia centrale avrebbe avuto, proprio grazie a loro, un lungo seguito: quella di una plastica modellata in argilla cruda e in stucco, oppure in una combinazione dei due materiali, su armature di legno e fili di piombo.
Più che le monete bronzee emesse dalla zecca di Ai Kh., sono le emissioni in argento di altri centri, in particolare di Battra, che ci consentono di giudicare l'arte degli incisori di medaglie: se questa non ha il brio e la raffinatezza che caratterizzano le contemporanee produzioni delle botteghe mediterranee e del Vicino Oriente seleucide, brilla però per il realismo privo di adulazione dei ritratti reali.
La componente greco-orientale: la lamina di Cibele. ― Le arti minori, più aperte all'artigianato indigeno, sono molto più ricettive nei confronti delle influenze orientali: figurine in osso di dee nude, ieratiche e adipose, oppure di terracotta, eseguite con uno stampo monovalve e infagottate in pesanti abiti vagamente ellenizzanti. Gli oggetti in cui si attua una piena fusione tra influenze greche e tradizioni orientali sono rari: un esempio è dato da una lamina in argento dorato che rappresenta la dea della natura Cibele che avanza su un carro trainato da leoni e guidato da una Vittoria alata, mentre un sacerdote (Gallo), che cammina dietro il carro, protegge la dea con un parasole e un altro sacrifica su un altare. In cielo splendono il sole, la luna e una stella. Alcuni tratti corrispondono all'estetica greca, come il tipo di Cibele, la figurazione allegorica della Vittoria, il busto di Helios che rappresenta il sole, il panneggio degli abiti femminili e il modo in cui avanza il leone con una zampa sollevata. Altri però sono retti dai modi e dalle convenzioni dell'arte orientale: il parasole, simbolo regale, il costume dei sacerdoti e l'altare con alti gradini, lo spazio che occupano і simboli astrali, la composizione paratattica e priva di prospettiva, la rappresentazione frontale di Cibele e della Vittoria che le fa da auriga, le quali, sul carro visto di profilo, assumono l'aspetto di idoli portati in processione. Da un punto dl vista generale questo artigianato greco-battriano dà prova di una bella vitalità, con una produzione che supplisce a tutte le esigenze, che lavora soprattutto l'osso e l'avorio (mobilio, incrostazioni), oltre che uno scisto grigio nel quale sono intagliate pissidi, piatti e pendenti a forma di placca incisi о con incrostazioni di pietre colorate. I pezzi importati si riducono praticamente ad alcuni modelli per toreuti in stucco, di origine occidentale e ad alcuni oggetti preziosi giunti dall'India.
Le credenze religiose. ― È nel campo religioso che si fa maggiormente sentire l'influenza della tradizione locale sulla cultura dei coloni greci. È vero che le immagini delle divinità ufficiali sulle monete sono sempre quelle del pantheon ellenico, і templi tuttavia non hanno più niente di greco. Quello più importante, allineato sulla grande strada, si presenta come una massiccia costruzione a pianta quadrata (20 X 20 m), che s'innalza su un alto podio a tre gradini, formata all'interno da un grande vestibolo che si apre su una sala di culto più piccola, a sua volta fiancheggiata da due strette sacrestie. La pianta, così come la decorazione esterna delle pareti interrotte da nicchie incassate, ricorda alcuni edifici sacri della Mesopotamia partica (Dura, Uruk), ma sarebbe strano che un edificio di questo tipo non dovesse nulla all'architettura dell'Asia centrale pre-greca, ancora assai mal conosciuta, della quale sappiamo comunque che faceva uso dell'alto podio a gradoni e della decorazione a nicchie incassate. La statua di culto (un acrolito) venne sicuramente eseguita da un autentico artista greco, come dimostra uno dei piedi di marmo che calza un sandalo di tipo greco decorato con fulmini alati, ma nulla esclude che questa immagine di Zeus non presentasse anche caratteristiche orientali. In ogni caso, l'interro dietro al tempio, in un punto opposto al sorgere del sole, di vasi per libagione capovolti, attesta un rito di carattere ctonio estraneo ai culti greci. È dunque probabile che і coloni e gli autoctoni venerassero in questo tempio una divinità composita greco-iranica, forse uno Zeus-Mithra simile a quello che compare, coperto da un berretto persiano e circondato da un'aureola di raggi, su alcune monete indogreche di poco più tarde.
Un secondo tempio individuato all'esterno della città, di fronte alla porta principale, risente di un'analoga concezione ma presenta una triplice cella e un sagrato a cielo aperto al posto del vestibolo. Infine all'estremità SO dell'acropoli, una monumentale piattaforma a gradoni, costruita a cielo aperto al centro di un altro grande santuario di cui costituiva il luogo sacro e in cui l'officiante era rivolto verso E, evoca in maniera diretta і monumenti di culto dei Persiani, di cui gli storici greci ci dicono che onoravano і loro dèi, senza dar loro forma umana, in luoghi elevati e a cielo aperto.
Coloni e indigeni. ― Tra quella ventina di nomi greci che le iscrizioni ci rendono noti, alcuni sono caratteristici della Macedonia, come Lysanìas, о della Grecia del Nord, come Triballòs e Kinèas, e risalgono ai pionieri della colonizzazione macedone. Sono nomi che si ritrovano regolarmente nelle città dell'Oriente ellenizzato, dove appartengono alla classe dei notabili. Anche le altre province del mondo greco, soprattutto і possedimenti seleucidi nella valle del Meandro, dovettero fornire contingenti di coloni. Tra і funzionari della tesoreria di palazzo figurano però anche numerosi Iranici, contraddistinti da nomi come Aryàndes, Oxybàzos, Oxeboàkes, Oumànes, Xatrànnos: è la prova che і nuovi padroni della Battriana non avevano esitato a servirsi di personale amministrativo locale, come aveva dovuto fare, prima di loro, l'amministrazione achemenide. Se è verosimile che il quartiere residenziale S fosse stato riservato a coloni, alti funzionari di palazzo, magistrati municipali e grandi proprietari terrieri, è anche assai probabile che una parte della popolazione fosse di origine indigena: funzionari subalterni, soldati della guarnigione, artigiani, personale di servizio. A costoro si sarebbe tentati di attribuire le modeste abitazioni che sono state individuate in numerosi punti del sito. La situazione attuale degli scavi purtroppo non permette di formarsi un'idea chiara delle aree che erano rispettivamente riservate in città a queste due componenti della popolazione urbana.
Una civiltà originale: un ellenismo aperto. ― Il maggior risultato dello scavo di Ai Kh. è l'immagine di potenza che questa fondazione urbana conferisce allo stato greco-battriano, benché situata ai confini della Battriana e in virtù della sua sola estensione, delle dimensioni dei suoi edifici e della febbrile attività edilizia documentata dalle molteplici ricostruzioni, sempre più monumentali. Il secondo polo d'interesse è dato dalla natura contrastante di questo ellenismo di confine e da ciò che esso ci rivela a proposito dei rapporti intercorrenti tra і coloni e le popolazioni locali. Da un lato è evidente un attaccamento, tenace e dovuto a una precisa volontà, alla lingua e ai valori dell'etica e della cultura intellettuale greca mantenuti vivi dall'educazione impartita nel ginnasio, dal mоdello proposto dalle massime delfiche, dalle rappresentazioni teatrali e dai manoscritti che venivano fatti giungere con grande spesa dall'Occidente; a ciò si aggiunga un conservatorismo nel gusto estetico, che gli artisti non poterono in alcun modo aggiornare, senza dubbio per il fatto di non poter personalmente beneficiare, dopo l'episodio seleucide, di contatti permanenti con il Mediterraneo, sfavoriti dalla distanza. Dall'altro lato rileviamo un'architettura di grandi costruttori che, dietro a una decorazione esteriore di colonne e di antefisse alla maniera greca, ristruttura gli spazi interni secondo una concezione del tutto nuova, animata da uno spirito di severa monumentalità che certamente è in larga misura debitore nei confronti dell'architettura locale; una sorprendente facilità a conciliare le proprie credenze con i culti locali, al punto di abbandonare completamente l'architettura tradizionale dei templi greci; sul piano sociale, il reclutamento di funzionari locali, sia pure per impieghi subalterni, indizio questo che però resta insufficiente per farci esprimere un giudizio sul grado di reale simbiosi tra coloni e autoctoni tanto nella città che fuori di essa. Questo ellenismo dell'Asia centrale, di cui l'antichità sembra essersi disinteressata salvo che nei momenti in cui la sua storia veniva in contatto con quella dei Seleucidi e dei Parti, non scomparve del tutto con la fine del potere greco. Le civiltà locali che si sostituirono a esso ne conservarono a lungo l'eredità: nell'adozione dell'alfabeto greco per scrivere la lingua battriana, in alcune forme di decorazione architettonica e in alcune planimetrie, nella tecnica di modellare in terra cruda e in stucco e ancor più in un'estetica della rappresentazione umana di stampo realista, compresa e attuata in forma più о meno fedele.
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Presentazioni d'insieme: P. Bernard, in DossAParis, 1974, 5, pp. 99-114; Scientific American, gennaio 1982, 246, pp. 148-159; Pour la Science, marzo 1982, 53, pp. 88-97; 150 Jahre. Deutsches Archäoiogisches Institut 1829-1979, Magonza 1981, pp. 108-120.
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