AGRIPPINA maggiore (Vipsania Agrippina, comunemente designata colla denominazione di Agrippina Germanici)
Nell'uso degli storici moderni è detta così la figlia di Vipsanio Agrippa e di Giulia, per distinguerla da sua figlia, madre di Nerone (v. agrippina minore). La prima delle Agrippine sarebbe la figlia di Vipsanio Agrippa e di Pomponia.
Agrippina maggiore sposò Germanico poco dopo che questi era stato adottato da Tiberio, il quale così venne ad avere due figli: Druso e Germanico. Dopo il matrimonio infelice di Tiberio con Giulia, era questa la seconda volta in cui la discendenza di Augusto si univa alla casa Claudia. Quando Germanico si sposò (4 o 5 d. C.) contava 18 o 19 anni, e Agrippina aveva circa la stessa età del marito. La loro unione fu feconda; essi ebbero nove figli, due dei quali però morirono in tenera età e un altro appena più grandicello. Rimasero tre maschi e tre femmine, nate ultime.
Nella società del tempo o nella discendenza d'Augusto, Agrippina formava un'edificante eccezione. Al contrario della madre e della sorella, essa era segnalata per una incrollabile onestà di costumi. Aveva animo virile e altero, ma al tempo stesso ambizioso e morbosamente facile ai risentimenti. Il marito raccoglieva in Roma la popolarità del nome paterno, e dal lato della madre si riattaccava a Marco Antonio, il triumviro. Essa, da parte sua, dopo il 14, rimaneva nella casa imperiale come sola rappresentante del sangue d'Augusto. Non era questa per Agrippina una piccola ragione d'orgoglio e di ambizioni. Come nuora di Tiberio stava alla pari di Giulia Livilla, moglie di Druso; ma oltre alla superiorità della provenienza aveva su di lei quella della fama e della fecondità. Il suo carattere però non era fatto per conciliarle grandi simpatie, e non è da stupire che fosse mal veduta, se non proprio odiata, dalla vecchia Livia, che troneggiava nella casa imperiale tra l'ossequio di tutti, come vedova ed erede del nome di Augusto, e come madre del successore Tiberio. I sentimenti dell'Augusta erano comuni, naturalmente, a tutta la cerchia del patriziato che si stringeva attorno a lei. Per fortuna, le competizioni e i pettegolezzi muliebri non arrivavano sino a Germanico e a Druso, la cui concordia non fu in alcun modo turbata.
Nel 14 d. C. Agrippina lasciò Roma per raggiungere il marito che aveva preso il comando delle legioni del Reno. Mostrò animo imperterrito fra le minacce della sollevazione militare che seguì la morte di Augusto, e nell'anno seguente, durante la campagna del marito fra i Germani, fece virilmente opera di comandante: impedì che in un momento di panico fosse tagliato il ponte sul Reno, salvando la ritirata all'esercito di Cecina; distribuì indumenti e medicinali ai soldati; in capo al ponte arringò le legioni che ritornavano, porgendo loro lodi e ringraziamenti. Erano atteggiamenti che la corte di Roma non poteva guardare senza sospetto, e servirono a rafforzare le ragioni, ben più gravi, che ebbero per conseguenza il richiamo di Germanico dal Reno (16). Nel 18 Agrippina era in viaggio col marito verso l'Oriente. In Siria scoppiò il conflitto tra lui e Gneo Pisone, mandato al governo di quella provincia: conflitto nel quale non doveva aver poca parte la rivalità tra Agrippina e Plancina (v.), moglie di Pisone, che non voleva esser da meno della moglie di Germanico e si sentiva sorretta da Livia. Plancina spargeva contumelie che dobbiamo supporre non rimanessero senza risposta. Nel 19 Germanico morì ad Antiochia, e si accreditò il sospetto che fosse stato avvelenato da Pisone e da Plancina. Agrippina tornò in Italia, con le ceneri del marito, in preda alla disperazione, mentre Plancina non avrebbe saputo astenersi dal fare, con Pisone, pubbliche manifestazioni di gioia. A Roma, al momento della tumulazione delle ceneri, Agrippina ricevette dal popolo una grande dimostrazione di devozione e di affetto che, se ci son riportati esattamente i termini in cui fu espressa, non era priva di una qualche punta ostile alla famiglia imperiale. Nel processo che seguì contro Pisone, Plancina si salvò grazie alla protezione di Livia. Ma la morte di Germanico segnava il crollo delle ambizioni di Agrippina. Essa rimaneva in mezzo ai Claudî, nell'atteggiamento sdegnoso d'una sovrana decaduta. Nel 24 una sua amica, Sosia Galla, coinvolta in un'accusa contro il marito venne condannata all'esilio. Due anni dopo, Claudia Pulcra, sua cugina, era chiamata in giudizio sotto gravi accuse. Agrippina si rivolse esasperata a Tiberio, riguardandosi come personalmente colpita, ma non poté impedire che la giustizia facesse il suo corso. Quindi s'insinuò nell'animo di Agrippina il sospetto che Tiberio volesse avvelenarla, e non esitò a mostrarlo (26). Da quel tempo i suoi rapporti con l'imperatore s'inasprirono, specialmente ad opera di Seiano. Tuttavia la prudenza moderatrice di Livia riuscì ancora per tre anni a evitare la catastrofe. Questa si avverò appena Livia ebbe chiusi gli occhi (29). Furono presentate allora al senato lettere di Tiberio, concepite in tono assai aspro, in cui si facevano ad Agrippina accuse di linguaggio insolente, e al figlio di lei, Nerone, di rapporti immorali. Questo fatto diede luogo a una grande dimostrazione popolare in favore degli accusati: un senatore si adoperò ad ottenere che fosse sospesa ogni deliberazione in merito. Ma Tiberio, che vedeva in questo offesa la maestà imperiale, incalzò con le accuse, e Nerone fu relegato nell'isola di Ponzia, Agrippina nell'isola di Pandataria (Ventotene), ove trent'anni prima era stata relegata sua madre. Essa si lasciò morir di fame nel 33, quando già erano miseramente periti i suoi due primi figli, Nerone nel 31, e Druso nell'anno stesso, che fu anche quello in cui tre figli di lei, Gaio, Drusilla e Livilla, passavano a nozze, e in cui periva di propria mano Plancina.
Agrippina aveva subìto nell'esilio gravi maltrattamenti, non avendo lasciato d'insolentire contro Tiberio. Si lasciò morir di fame, nonostante si fosse cercato di farle inghiottire a forza del cibo, come si usa coi dementi che rifiutano il nutrimento. Tiberio pretese di essere stato mite con lei, a non averle inflitto la pena dei ribelli, e poiché era morta nel giorno stesso di Seiano (18 ottobre) stabilì che fosse offerto ogni anno, in quella data, un dono a Giove Capitolino. Volle anche colpire la fama di Agrippina con un pettegolezzo del tutto indegno di lui, affermando che essa s'era lasciata morire per non sopravvivere ad Asinio Gallo, suo amante, morto poco prima. La memoria di Agrippina fu riabilitata dal figlio Caligola, quando fu divenuto imperatore. Egli ne trasportò le ceneri a Roma, facendole chiudere nel mausoleo di Augusto e ne pose l'immagine sulle monete, come fece più tardi il suo successore Claudio.
Bibl.: Rohden e Dessau, Prosop. imp. Rom., III, p. 443 seg.; Stahr, Röm. Kaiserfrauen, 2ª ed., Berlino 1880; G. Ferrero, Le donne dei Cesari, Milano 1926. Cfr. anche agrippina minore.