STACCOLI, Agostino
STACCOLI, Agostino. – Nacque a Urbino intorno al 1420, da Serafino, avvocato concistoriale dal 1426 e oratore di Guidantonio da Montefeltro a Roma, e da una non meglio nota Francesca, morta nel 1448 e sepolta sempre a Roma.
Ebbe due fratelli: Goro e Girolamo (poeta latino, poi vescovo di Urbino nel 1463). Sin dalla fanciullezza fu legato a Roma: in questa città infatti, presumibilmente già prima del 1434 (e con sicurezza nel 1448), fu allievo assieme al fratello Girolamo dell’umanista napoletano Porcellio, che dedicò loro varie poesie. Intorno al 1470 (comunque sicuramente dopo il 1464) fu nominato abbreviatore di parco maggiore (succedendo forse a un parente di nome Calisto e mantenendo tale incarico almeno fino al 1480). Nel 1474 fu delegato da papa Sisto IV a portare le insegne della nuova dignità ducale a Federigo da Montefeltro e dal sonetto 88 del suo canzoniere Io era del mio fido e caro duce parrebbe che il poeta, nel medesimo anno, avesse accompagnato il duca a Napoli da Ferdinando d’Aragona, per stipulare il contratto di matrimonio tra i figli Guidobaldo e Lucrezia.
Ripercorrendo le orme paterne, ricoprì poi, almeno dal 1477, il ruolo di oratore del duca di Urbino presso la Corte romana e mantenne tale incarico fino alla morte, sia per Federigo sia per il figlio Guidobaldo. Nel medesimo anno, in veste di ambasciatore del duca, trattò con il papa sul modo migliore per sedare i tumulti sorti a Milano in seguito alla morte di Galeazzo Sforza. In un breve di Sisto IV datato 2 luglio 1478, Staccoli è designato «magnificus Augustinus de Urbino scriptor et familiaris noster». Che ricoprisse la carica di segretario dei brevi è testimoniato anche da un altro breve del papa datato 1° novembre 1480.
Delle numerose lettere che scambiò con Federigo, ne restano alcune datate 1478 e una autografa del 18 febbraio 1482. Staccoli ebbe sicuramente dei contatti con l’umanista Giovanni Antonio Campano, testimoniati da poesie e lettere, dalle quali si apprende anche dell’amicizia con vari studiosi e letterati che gravitavano tra Firenze e Roma (Raffaele da Volterra, Angelo Colocci, Iacopo Sannazaro, Antonio Tebaldeo, Serafino Aquilano e, forse, Poliziano). Il legame con questi circoli letterari parrebbe testimoniato inoltre dalla sua partecipazione alla raccolta poetica in morte del senese Alessandro Cinuzzi, paggio del conte Gerolamo Riario, avvenuta l’8 gennaio 1474.
Sposò in data ignota la nobile urbinate Francesca Fazzini (morta ante 1471), dalla quale ebbe due figli: Lucrezia e Girolamo (il quale continuò a svolgere alcuni degli incarichi paterni a Roma). Negli ultimi dieci anni di vita tornò spesso a Urbino, dato che il suo nome compare in vari rogiti: vi era il 23 maggio 1477, nel 1479, il 16 agosto 1480, nel 1485, nel 1486 e infine nel 1487. Nell’ultimo periodo, cioè dopo il 1483, lo ritroviamo in veste di oratore in varie controversie tra Guidobaldo e il nuovo papa Innocenzo VIII (l’ultima delle quali porta la data del 1488).
Pur senza disdegnare la tradizione trecentesca, il canzoniere di Agostino Staccoli è il tipico prodotto del petrarchismo quattrocentesco, il cui primo e più noto esponente fu Giusto de’ Conti, suo innegabile modello. Si compone di 100 poesie ed è tradito interamente, seppure in veste adespota, dal manoscritto Trotti 324 (A), presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il medesimo corpus doveva essere tramandato anche dal manoscritto Additional 14853 (L), presso la British Library di Londra, ma a causa di guasti materiali vi si leggono solo le rime (non di rado a loro volta lacunose) 1-4 e 7-97. Inoltre, un significativo numero di rime staccoliane venne abbastanza precocemente rimaneggiato in area senese, come testimoniano il manoscritto Chigi M V 102 (R), presso la Biblioteca apostolica Vaticana, latore di 28 testi e sicuramente confezionato post 1476, e il manoscritto Magliabechiano VII 61 (FN), presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, datato ai primi del Cinquecento e latore di 59 testi (si veda Magnani, 1995, da cui si riprendono sia le sigle dei manoscritti sia gli incipit e l’ordinamento delle rime). Le edizioni a stampa, «inaffidabili sul piano sia testuale che strutturale» (Pantani, 2017, p. 566), sono la princeps fiorentina del 1490 (F) per i tipi di Francesco Bonaccursi, nota con il titolo Opera nova de Cesar Torto Esculano et Augustino da Urbino et Nicolo Silibene senese et Bernardo Illicino medico et philosopho, testimone di 40 componimenti, più altri 6 probabilmente apocrifi, e l’edizione romana Sonecti et canzoni di misser Augustino da Urbino di Johann Besicken e Martino da Amsterdam databile tra il 1500 e il 1503 (C), che tramanda 87 testi, più 6 apocrifi derivati da F. I testimoni più autorevoli delle rime staccoliane sono indubbiamente A e L, ma di canzoniere si può parlare solo per i testi 1-80, dato che «gli ultimi 20 componimenti costituiscono una disordinata raccolta di rime prodotte a Roma negli anni 1468-1474» (Pantani, 2017, p. 566). Il termine post quem della composizione delle rime è fissato al 1445, dato che una delle fonti principali è rintracciabile nella Bella mano di Giusto de’ Conti, compiuta nel 1440.
Un anno cruciale per la biografia di Staccoli, più volte alluso anche nelle rime, è il 1468. In questo anno infatti morì il fratello Girolamo, al quale sono dedicati i sonetti 85-86 (Chi darà agli occhi mei sì larga vena e Nel tempo lieto che ’l felice regno), e verosimilmente si concluse la topica vicenda amorosa (sonetto 80 O potentia stupenda o infinita). Al fatidico anno potrebbe anche riferirsi il sonetto 59 Da Roma antiqua sede de li dei, nel quale si parla di una pestilenza che fece allontanare il poeta da Roma alla volta di Urbino. Il termine post quem dell’allestimento dei due codici più importanti è invece il 1475, dato che il sonetto 100 Lasso cum qual suspiri o cum qual pianto, per la morte di Cinuzzi, fu pubblicato l’anno precedente all’interno della miscellanea allestita in sua memoria.
Sul piano metrico il corpus è composto perlopiù da sonetti (96), con due canzoni e due sestine. La prima parte è dedicata alla donna amata, celata sotto al senhal di Proserpina, e presenta tutte le sequenze intermedie tipiche di un canzoniere di evidente impianto petrarchesco. La maggior parte dei primi 80 componimenti è ambientata in patria, mentre gli ultimi 20 testi sono piuttosto da legare all’ambiente romano e presentano vari destinatari storici. Tra le rime 1-80 compaiono anche altre figure femminili; durante l’allontanamento da Urbino infatti il poeta non manca di elogiare alcune donne romane (sonetti 48-55): Faustina da Lucca (della quale si compiange poi anche la morte), Lucrezia e Clio.
In questi testi si hanno anche dei precisi riferimenti a Roma, città nella quale il poeta trascorse la maggior parte della vita e, secondo la storia tracciata nel canzoniere, città dove si trasferì Proserpina dopo la conversione. Tuttavia Staccoli dovette mantenere un legame affettivo molto forte con Urbino: alla città natale, coincidente con il luogo dell’innamoramento amaramente rimpianto quando viene abbandonato, egli allude più volte nel canzoniere tramite topiche perifrasi. Dal punto di vista stilistico le rime staccoliane sono caratterizzate da una diffusa dolcezza, come il poeta stesso afferma nella canzone 3, Nel sacro colle in cui la nobil sede, alla quale si aggiungono la chiarezza e l’eleganza (sonetto 86), senza tralasciare talvolta, in ossequio alle tematiche affrontate, un «doloroso stile» (sonetto 23 Deh qual mia dura sorte mi constremge, v. 2).
Un atto notarile datato 22 febbraio 1489 lo dà come morto, ma essendo ancora ambasciatore ducale nel 1488, morì, con molta probabilità, nella seconda parte dell’anno.
Fonti e Bibl.: P. Provasi - E. Scatassa, A.S. da Urbino e le sue rime inedite o poco note, Urbino 1902; G. Zaccagnini, Il petrarchista A. S., in Studi di letteratura italiana, IV (1902), pp. 225-258; E. Cecchini, Properzio nella poesia di A. S., in Bimillenario della morte di Properzio, Atti del Convegno internazionale di studi properziani, Roma-Assisi... 1985, Assisi 1986, pp. 265-276; M. Santagata, Fra Rimini e Urbino: i prodromi del petrarchismo cortigiano, in La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento, a cura di M. Santagata - S. Carrai, Milano 1993, pp. 43-95; F. Magnani, Poesia d’uso, problemi attributivi e rimanipolazioni: ‘canzonieri’ per Francesca, in L’edizione critica tra testo musicale e testo letterario, Atti del Convegno internazionale, Cremona... 1992, a cura di R. Borghi - P. Zappalà, Lucca 1995, pp. 287-318; I. Pantani, A. S., in Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento, a cura di A. Comboni - T. Zanato, Firenze 2017, pp. 565-574 (al quale si rimanda sia per una bibliografia più ampia sia per una più dettagliata storia della tradizione manoscritta e a stampa delle rime).