ROSSI, Agostino
– Nacque intorno al 1420 dal cremonese Donnino, esponente di un ramo collaterale della casata parmense, per anni podestà di Felino e uomo di fiducia di Pietro Rossi prima e del figlio Pietro Maria Rossi poi.
Da una lettera di Rossi al duca di Milano del 6 agosto 1467 è noto infatti che lui e Gerardo Colli, altro importante officiale sforzesco, erano «de una età» (Roveda, 2015, p. 209). Recenti ricerche d’archivio hanno smentito la nascita da Clemente di Giovanni di Bertrando Rossi: la relazione di parentela con l’ambizioso Pietro Maria era dunque meno prossima di quanto facciano pensare gli stretti rapporti che Rossi sempre intrattenne con Parma e con la potente consorteria.
Rossi non va comunque confuso con l’omonimo cavaliere gerosolimitano, di origini pavesi, commendatario di precettorie nel Tortonese e nel Pavese già nel 1443 e defunto nell’agosto del 1466.
Rossi comparve nella vita pubblica parmense alla metà degli anni Quaranta quando, come legum doctor (successivamente iuris utriusque doctor) e membro del Collegio dei giuristi dello Studio dove era docente, presenziò al conferimento di lauree. Contemporaneamente, come consigliere del Comune per la squadra rossa, partecipò nel 1447 alla breve vita della Repubblica parmense (alla morte di Filippo Maria Visconti anche Parma proclamò infatti la propria indipendenza da Milano). Ciò non impedì a Rossi di essere tra coloro che consegnarono Parma a Giovanni e Francesco Sforza (febbraio-marzo 1449) e fu proprio lui a pronunciare nel duomo di Milano, il 25 marzo 1450, l’orazione encomiastica per il capitano che prendeva ufficialmente possesso della città ambrosiana.
Nei primi anni del regime sforzesco, la sua vita scorreva fra Parma (dove Rossi – talvolta confuso con il correggesco Agostino de Ruberis – apparteneva alla squadra rossiana) e Milano. Nel 1458 si strinse maggiormente il suo rapporto con il duca, che lo inviò come oratore in Spagna, presso re Giovanni d’Aragona che lo definì «consiliarius domesticus et familiaris noster» (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 859; Giovanni d’Aragona a Francesco Sforza, 24 dicembre 1458) e gli concesse – dopo che ebbe composto l’orazione celebrativa del defunto Alfonso il Magnanimo – di aggiungere al cognome il predicato «de Aragonia».
L’anno successivo (settembre 1459), Rossi fu inviato alla Dieta di Mantova, e seguì poi nel 1460 papa Pio II a Siena e a Roma. Nell’agosto del 1461 era a Genova, pochi mesi dopo la cacciata dei francesi dalla città, e nel mese successivo a Bologna. Nel gennaio del 1462 scriveva da Parma, nell’estate era luogotenente a Pesaro; ma nel periodo giugno-novembre del 1463 era di nuovo a Roma, a fianco dell’oratore residente Ottone del Carretto. All’inizio del 1464 era in Monferrato, con Giovanni Arcimboldi; nell’aprile fece parte del seguito di Camilla di Marco Attendoli da Cotignola, sposa (a Bologna) di Giulio Malvezzi; sfumò invece una sua possibile designazione come oratore residente in Francia, al posto di Alberico Maletta. Questi vorticosi spostamenti dentro e fuori il dominio sforzesco fanno di lui un tipico ‘famiglio cavalcante’: come i suoi omologhi, percepiva mensilmente 57 lire e 7 soldi imperiali (un salario di medio livello tra gli uomini di corte). Ben più elevato (100 fiorini, pari a quello dell’oratore a Venezia e Napoli) il compenso di Rossi nel periodo in cui fu residente a Roma (inizi 1465-aprile 1468).
L’incarico venne svolto tra luci e ombre. Profondo conoscitore dell’ambiente romano e legato a Paolo II, Rossi fu bersaglio di sospetti e accuse dalle quali si difese caparbiamente, ma che non erano prive di fondamento: non immune dalla corruzione, favorì i progetti beneficiali dei suoi protetti, in genere parmensi e legati ai Rossi (il liturgista Pietro Casola, suo cappellano, e Giovanni Matteo da Priolo, suo cancelliere; Bernardo di Pietro Maria Rossi, appoggiato nella corsa al vescovato di Novara ai danni di Giovanni Arcimboldi, candidato ducale), e cercò di monopolizzare i rapporti con il pontefice a scapito di altri oratori ducali o dei cardinali filosforzeschi come Iacopo Ammannati Piccolomini, del quale ostacolò – o non favorì – il conseguimento della ricca commenda pavese di S. Pietro in Ciel d’Oro.
A determinare il suo richiamo a Milano (aprile 1468) furono i sospetti del nuovo duca, Galeazzo Maria, diffidente nei confronti degli officiali del padre Francesco; e in effetti, secondo l’opinione degli ambasciatori mantovani, Agostino aveva «intelligentia» con Biancamaria Sforza (emarginata dal figlio), con il signore di Urbino e con altri. Ma dal settembre-ottobre del 1468 Rossi fu di nuovo in auge, promosso consigliere segreto per le singolari benemerenze maturate verso il duca e verso il regime, ma anche concretamente per l’appoggio di Cicco Simonetta. Nella patente egli è detto «spectabilis iureconsultus et insignis auratus eques» (Santoro, 1948, p. 10): già a questa data, dunque, era stato insignito dell’onorificenza pontificia dello Speron d’oro. Si apriva ora la seconda fase della vita professionale di Agostino Rossi, impiegato saltuariamente come oratore, seppure in missioni di prestigio, ma soprattutto come consigliere ducale per arbitrati, processi, consulenze in materia di politica estera e di cerimoniale.
Come oratore, Rossi tornò a Roma già nell’autunno del 1468, e poi di nuovo nell’estate del 1471, nell’autunno del 1473, nell’autunno-inverno 1475-76; nell’estate 1470 fu a Bologna e nel gennaio del 1472 a Imola; nell’estate del 1474 accompagnò in Germania Cristiano, re di Danimarca; nell’estate del 1477 fu a Napoli e nell’agosto del 1479 fu inviato presso il marchese Guglielmo del Monferrato.
Dopo l’assassinio del duca Galeazzo Maria (26 dicembre 1476), il Consiglio segreto fu sdoppiato, ma Rossi restò in auge e fu cooptato – e sia pure come membro non stabile, ma convocato di volta in volta per le sue competenze – nel Consiglio più ristretto (o ‘di castello’), come esponente ‘di parte nera’, cioè guelfa, per i meriti acquisiti nel servizio del defunto duca.
L’entourage sforzesco era infatti spaccato fra Bona di Savoia, vedova del duca, reggente per il figlio Gian Galeazzo, spalleggiata da Cicco Simonetta, e i fratelli del defunto duca che volevano impossessarsi del governo. Tra le mansioni delicate svolte da Rossi va ricordato il resoconto a oratori stranieri, consiglieri e maggiorenti cittadini della congiura ordita da Donato Del Conte contro la duchessa (aprile 1477). Egli collaborò inoltre all’allestimento della cerimonia per l’incoronazione di Gian Galeazzo (24 aprile 1478), e nell’occasione pronunciò un’orazione celebrativa del nuovo duca, della dinastia visconteo-sforzesca e del fulgido avvenire del Ducato. Nel settembre del 1479, commissario a Pavia, fronteggiò le tensioni seguite all’arresto di Cicco Simonetta, mentre i rivoltosi tentavano di saccheggiare la sua casa milanese. Ma forse per la compromissione con il precedente regime, dopo il 1480 – all’avvento del Moro – le testimonianze della vita pubblica di Agostino si rarefanno.
Con più lena dovette allora dedicarsi alla costruzione della cappella di S. Agostino nella chiesa benedettina di S. Pietro in Gessate di Milano, per la quale aveva ottenuto una bolla di indulgenza dal pontefice Sisto IV. Morì nel 1486, lasciando al monastero la sua pregevole biblioteca, e fu sepolto lì, in abito benedettino.
Agostino aveva sposato il 5 febbraio 1449 Simona Bertani da Correggio (morta nel 1518 e tumulata vicino al marito), ricevendo una dote di 950 lire imperiali. Senza figli, i due adottarono Angelo di Antonio Carissimi, esponente di un’importante famiglia parmense di simpatie rossiane e officiale sforzesco.
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