PENNA, Agostino
– Nacque a Roma il 12 agosto 1728 da Stefano, bolognese e suonatore di violoncello, e da Rosa Coterla, figlia del savoiardo Giovanni, dimoranti nel circondario della parrocchia di S. Marco.
Un suo fratello, di nome Francesco, fu un modesto pittore al servizio dei Borghese. Penna abitò con la famiglia di origine fino al 1762, nei pressi della parrocchia dei Ss. Apostoli.
Non si hanno notizie sulla sua formazione; il 10 luglio 1740 ricevette il sacramento della cresima ed ebbe come padrino Michelangelo Slodtz, forse suo primo maestro.
Sposò Anna Bertoletti, da cui ebbe sei figli. Dai battesimi di tre di loro – Maria Caterina (1763) e Francesco (1764), futuro architetto, presso la parrocchia di S. Marcello, e Santa (1767) a S. Andrea delle Fratte – si evince che dal 1763 al 1764 la famiglia Penna abitò nei dintorni della parrocchia di S. Susanna, per poi trasferirsi nei tre anni successivi presso Trinità dei Monti, di pertinenza di S. Andrea delle Fratte.
Dal 1769 al 1777 dimorò in casa Pellegrini, in via del Corso verso il Babuino, e dal 1777 al 1795 nella Casa delli Miracoli in via del Corso verso Ripetta (parrocchia di S. Maria del Popolo).
Le vicende personali e artistiche di Penna rivelano un rapporto professionale e di amicizia con il collega Vincenzo Pacetti, al quale fece battezzare il figlio Stefano, che nel 1790 volle diventare sacerdote e per tramite del padrino ottenne una cappellania (Giornale di Vincenzo Pacetti…, c. 105v).
Agli esordi Penna scolpì due angeli per la cappella della Madonna nella chiesa dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso (1765-1768), anche se Francesco Leopoldo Cicognara ne mise in dubbio l’attribuzione, accennando alla possibilità che le parti meglio riuscite fossero di Camillo Rusconi, per la stretta somiglianza che notava con gli angeli della cappella di S. Ignazio al Gesù (Cicognara, 1824, II, p. 74).
Nel 1767 Penna risultava possedere un sarcofago sul quale era raffigurata un’Amazzonomachia, oggi nel Gabinetto dell’Hermes in Vaticano, testimonianza della sua attività di mercante, come attestato anche dal ricorrere del suo nome nella Lista di Antiquari del 1769 e dalle annotazioni di Pacetti, che lo ricordava, insieme a lui, quale intermediario per gli Altieri e i Borghese.
Nel 1768 fu eletto accademico di merito, abilitandosi alla possibilità di effettuare stime a pagamento. Nel 1771 Penna realizzò i due angeli in stucco sul timpano dell’altare della cappella del Cuore immacolato di Maria e del Corpus Domini, rinnovata da Melchiorre Passalacqua in S. Eustachio a Roma. Il successo arrivò nel 1772 con la realizzazione del ritratto di Maria Flaminia Odescalchi Chigi per il monumento sepolcrale, disegnato da Paolo Posi, in S. Maria del Popolo, di cui Penna realizzò una replica, a mo’ di medaglione-cammeo, conservata nel palazzo Chigi di Ariccia. La fama raggiunta gli permise di effettuare, nel 1773, la perizia sugli interventi di ripristino del collega Gaspare Sibilla sui marmi antichi destinati all’erigendo Museo Pio Clementino. In veste di restauratore intervenne, tra il 1773 e il 1777, su una Venere e un tripode antico, su alcune statue di marmo e su tutti i putti e gli animali di stucco delle tre fontane secentesche del giardino del palazzo di città dei Borghese e, ancora, tra il 1774 e il 1775, sulle statue di Achille anche detto Ares Borghese e di Mercurio per la villa Pinciana, oggi al Louvre.
L’indubbia capacità ritrattistica di Penna si rivela nell’effigie del duca di York a Frascati, nella biblioteca del Seminario, del 1775, replicata nelle versioni del Palazzo comunale di Vetralla, del palazzo di Propaganda Fide, e in un’altra, attribuita in via ipotetica, conservata in Vaticano. Nel 1775 Penna fu impegnato, insieme a Vincenzo Pacetti, Tommaso Righi e Ferdinando Lisandroni, nella realizzazione della macchina pirotecnica Fucina di Vulcano, eseguita su disegno di Pietro Camporese e voluta dal principe Sigismondo Chigi per l’arrivo di Massimiliano d’Austria. Nel 1776 presentò un modellino, rifiutato, per il monumento funebre a Clemente XIII Rezzonico. Ancora nello stesso anno fu pagato dai Borghese per il restauro del rilievo con Marco Curzio che si getta nella voragine del Foro Romano, trasferito dalla facciata meridionale del casino della villa all'atrio di ingresso. L’anno successivo gli stessi committenti incaricarono Penna dell’esecuzione dei Quattro satiri in stucco, collocati su colonne di verde antico con capitelli ionici di marmo bianco di Lorenzo Cardelli, per le nicchie, non più esistenti, della sala VIII detta 'del Sileno'. Contemporaneamente realizzò, con la collaborazione del suo allievo Francesco Carradori, Quattro figure femminili in stucco bianco, sulle porte del salone d'ingresso, disposte simmetricamente ai lati di un vaso, anch’esso di stucco, e collegate tra loro da festoni dorati e Due putti con il drago e due con l’Aquila sugli epistili delle edicole di destra e di sinistra, interventi per i quali fu saldato nel maggio del 1778. Nello stesso anno eseguì due cammei sopra i pilastri della galleria degli Imperatori, su disegno di Tommaso Conca, ed entro il 1779 anche i due rilievi in stucco con Venere sul mare e Nereo e Nereidi e due delle quattro coppie di putti in marmo sopra le porte (i restanti sono di Pacetti) dello stesso ambiente. La fama di Penna quale abile restauratore si era diffusa nel frattempo, come prova la testimonianza del 1778 di Federico Huart (Guerrieri Borsoi, 2001, p. 148) alla ricerca di un professionista per il ripristino dei marmi di villa Medici, al quale Gavin Hamilton, Domenico Corvi, Thomas Jenkins, Anton Raphael Mengs ed Ennio Quirino Visconti consigliarono Penna o Pierantoni. Qualche anno più tardi, anche Pacetti suggerì il nome del collega a una non meglio specificata corte europea. Tra il 1779 e il 1782 Penna restaurò due statue di Venere e una di Giove in marmo, ora in deposito a Varsavia, e tre figure femminili che sorreggono un vaso di alabastro, rimaste non identificate.
Del 1779 è la famosa lode di Antonio Canova (A. Canova, I Quaderni di viaggio (1779-1780), ed. a cura di E. Bassi, Venezia-Roma, 1959, p. 39), che considerava Penna il migliore scultore del suo tempo.
Nel 1780 Penna fu pagato per i quattro rilievi con la Favola di Alope, Laudamia e Protesilao, le Nozze di Peleo e Tetide, tratte da un sarcofago di Villa Albani e i Figli di Medea portano doni avvelenati a Creusa, collocati sulle pareti in alto della sala di Paolina nella Galleria Borghese a Roma. Nel 1781 compì la sua integrazione più importante, quella sulla Musa Polimnia, citata persino da Visconti, esemplata sul modello dell’Apoteosi di Omero, rilievo greco allora di proprietà dei Colonna, oggi al British Museum di Londra, ed eseguì i quattro rilievi con il Gioco della palla, I gladiatori, La lotta. Il pugilato per il basamento della statua del Gladiatore. Contemporaneamente realizzò la copia del Satiro con flauto capitolino, reintegrato da Pietro Pacilli, per Johann Ludwig Walmoden ad Hannover, presso cui si trovava la statua ancora agli inizi del Novecento. Nel 1782 si cimentò nell’esecuzione della parte centrale del camino in rosso antico per la sala XX del casino Borghese, dove riprodusse, anche se in maniera un po’ rigida, la scena della Lustratio dell’Ara di Domizio Enobarbo, ora al Louvre, arricchita lateralmente con le figure di Pan, Sileno, baccanti e flautisti. Poco dopo la morte di G. Sibilla, avvenuta il 24 maggio 1782, Penna ricevette l’incarico ufficiale per la realizzazione della statua di Pio VI da collocarsi nella sagrestia Vaticana.
Ne nacque una controversia con Maria Dolci, vedova di Sibilla, che pretendeva compensi adeguati per i modelli già approntati dal marito, scelto dal Capitolo in prima istanza. La stampa dell’opera in fieri realizzata da Marco Carloni su ordine di Francesco degli Albizzi, denuncia lievi variazioni rispetto all’idea originale. Penna si attenne a una tradizione ormai collaudata, presentando il papa in una posizione solenne ma non rigida, con i tratti del volto nitidamente disegnati. Nel 1798, in piena temperie napoleonica, Pacetti si recò in Vaticano per valutare se la statua poteva essere trasformata in quella di S. Pietro o in una di Bruto. Il repentino cambiamento della situazione politica salvò l’opera di Penna.
Recentemente è stato attribuito allo scultore anche un mezzo busto di Pio VI (Leone, 2009, pp. 148-149, scheda 2.1).
Tra il 1782 e il 1784 Penna riscosse 250 scudi a saldo dei 1400 pattuiti per le statue di Elena e Paride, suoi capolavori, destinati alle nicchie della sala omonima (XIX) del casino Borghese, poi finiti ai Ruffo della Scaletta eredi dei primi proprietari. Va sottolineato come in un periodo in cui i Borghese commissionavano soltanto restauri dell’antico queste furono le sole statue realizzate ex novo nel Settecento.
Nel 1785 Penna fu impegnato con Pacetti per l’esecuzione delle statue con la Religione e la Carità per l’apparato funebre in onore della regina di Sardegna, Maria Antonia Ferdinanda, per la chiesa di S. Maria del Sudario, su disegno di Nicola Giansimoni.
Pacetti registrò nel suo Diario di aver prestato dei soldi all’amico il 4 aprile 1779, il 23 novembre 1783, il 20 novembre 1784, nel maggio del 1786, nel dicembre dell’anno seguente, il 23 dicembre 1788 e il 30 giugno 1790 (Guerrieri Borsoi, 2001, p. 138), Talvolta Pacetti acquistava da Penna piccoli oggetti o medaglie che Penna riceveva come compenso per l’insegnamento svolto all’Accademia del nudo.
Nel 1786 Penna fu incaricato di eseguire in stucco il frontone del tempio di Esculapio nel giardino del lago di villa Borghese, raffigurante il prodigioso arrivo del serpente del dio della medicina a Roma. Nello stesso anno fu eletto principe dell’Accademia di S. Luca, cui donò il suo ritratto, dipinto da Giovan Battista Ponfreni. Ciò avvenne in deroga allo statuto, che vietava a chi fosse in lite con l’Accademia di rivestire ruoli importanti. Penna, infatti, aveva inviato una protesta al cardinal camerlengo, insieme a Corvi, Niccolò La Piccola e Nicola Giansimone, riguardante la proroga a principe di Andrea Bergondi oltre il biennio previsto.
Nuovamente in veste di restauratore, nel 1786-88, reintegrò le due statue di Apollo e di Mercurio per i Chigi. Nello stesso periodo scolpì la ninfa Tungria a lato del Tempio borghesiano di Esculapio. Nel 1787 eseguì le due statue dell’Europa e dell’Asia per l’apparato funebre, disegnato da Giovanni Antinori, per Pietro III in S. Antonio dei Portoghesi. Informò altresì l’amico Pacetti riguardo un monumento funebre per la chiesa dei Cappuccini e scolpì il busto di Romualdo Braschi Onesti (M.E. Tittoni, 2012, p. 73).
Guerrieri Borsoi (2001, p. 140) ha collegato tale notizia a un’altra richiesta di Penna a Pacetti, datata 1790, concernente la stima di modelli e disegni per il monumento del cardinale Guidobono Cavalchini da erigersi nella chiesa dei Ss. Apostoli, non realizzato perché la salma fu trasferita a Tortona, sua città d’origine.
Nel 1789 Penna concordò con Ignazio Brocchi il prezzo per una copia dell’Amazzone Vaticana da inviare in Polonia. Per lo stesso agente lo scultore duplicò la Statua di Sileno e Bacco bambino, allora nella collezione Borghese.
Pacetti ricordava ancora come Carlo Albacini gli avesse inviato un obbligo da far firmare a Penna a proposito del marmo vendutogli per l’esecuzione di una statua di Apollo Sauroctono.
Ancora nel 1789 Penna fu nominato scultore ufficiale, in sostituzione di Andrea Bergondi, della chiesa di S. Maria dell’Anima, per la quale eseguì tutta l’ornamentazione in stucco con cherubini, putti, nuvole, di cui si conservano soltanto due angeli inginocchiati, per la cappella della Pietà, lavoro che gli fu saldato nel 1793. All’ultimo decennio del secolo risale il Crocifisso scolpito in un unico blocco di marmo per la chiesa di S. Michele dei minoriti a Catania. In quel periodo Penna era impegnato dai Borghese nel restauro delle sculture provenienti dagli scavi di Gabii.
Recentemente gli è stato attribuito Il busto del cardinale Francesco Romolini nella cappella della Madonna del Divino Aiuto nella chiesa di Gesù e Maria a via del Corso, presumibilmente eseguito tra il 1791 e il 1793, anni durante i quali l’ambiente fu rinnovato da Giacomo Patichi, e dei puttini, sopra l’altare di S. Nicola da Tolentino (Marchionne Gunter, 2005, p. 262). Nel 1794 scolpì, inserita in un medaglione ovale, l’effigie del cardinale Muzio Gallo nel Duomo di Viterbo.
Antonio Nibby nel 1832 citava due vasi di rosso antico di Penna sulla mensola del camino della sala XX della Galleria Borghese, che Barbier de Montautl definiva 'tazze', rimasti senza identificazione (Ferrara Grassi, 1987, p. 250 non era sicura si trattasse della stessa opera).
Penna morì, poverissimo, a Roma il 9 marzo 1800.
L’Accademia di S. Luca deliberò di somministrare cinque scudi come supplemento per le spese del funerale. Il 13 marzo del medesimo anno Pacetti fu nominato scultore ufficiale della Congregazione di S. Maria dell’Anima al posto di Penna. Pacetti stesso registrò la notizia della morte di Penna nel suo Giornale il 6 aprile 1800.
Fonti e Bibl.: Roma, Università di Roma La Sapienza, Biblioteca Alessandrina, Mss., 321: Giornale di Vincenzo Pacetti dall’anno 1773 all’anno 1803, c. 321.
L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia al secolo di Canova, I ed. 1813-18 (II, Prato 1824, p. 74); M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma 1823,p. 288; G. Rasà Napoli, Guida e breve illustrazione delle chiese di Catania, Catania 1900, p. 211; L. Ferrara, La 'stanza di Elena e Paride' nella Galleria Borghese, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, 1954, n. 3 pp. 242-256; P. Moreno in Le collezioni della Galleria Borghese, a cura di L. Staccioli, Milano 1981, p. 16; L. Ferrara Grassi, Il Casino di Villa Borghese: i camini. Note e documenti per l’arredo degli interni; la collaborazione di A. P. e Vincenzo Pacetti, in Ville e Palazzi. Illusione scenica e miti archeologici, a cura di E. Debenedetti, Roma 1987, pp. 231-294; L. Pirrotta, A. P., scultore romano, Principe dell’Accademia di S. Luca per grazia sovrana, in L’Urbe, 1996, n. 5, pp. 16-22; L. Paardekooper, The monument to Maria Flaminia Chigi Odescalchi 1771-72, in Labyrinthos, 1996-1997, nn. 29-32, pp. 261-315; A. Campitelli, Il Museo di Gabii a villa Borghese, in Ricerche di Storia dell’Arte, 1998, n. 66, pp. 37-48; A. Gonzàlez Palacios, Il deposito di Maria Flaminia Odescalchi Chigi, in Antologia di Belle Arti, 1998, nn. 55-58, pp. 155-162; F. Petrucci, Documenti artistici sul Settecento nell’Archivio Chigi (parte I), in Bollettino d’Arte, 1998, nn. 105-106, pp. 49-86; A. Marchionne Gunther, Gesù e Maria, in Roma Sacra, 1995, n. 1, p. 42; C. Felicetti, Don Ranieri Guelfi artefice del rinnovamento della cappella della Santissima Vergine nella chiesa di Sant’Eustachio, in L’arte per i giubilei e tra i giubilei del Settecento. Arciconfraternite, chiese, personaggi, artisti, devozioni, guide, II, a cura di E. Debenedetti, Roma 2000, p. 212; P. Apreda, A. P.: note biografiche e l’intervento in S. Maria dell’Anima, in Sculture romane del Settecento, I, La professione dello scultore, a cura di E. Debenedetti, Roma 2001, pp. 183-196; M.B. Guerrieri Borsoi, Tra invenzione e restauro: A. P., ibid., pp. 137-181; A. Marchionne Gunther, Parrocchia di S. Maria del Popolo, Artisti e Artigiani a Roma, II, Dagli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750 e 1775, a cura di E. Debenedetti, Roma 2005, pp. 248, 262; A. Cesareo, «In posa per Giovan Battista Ponfreni…». Su di un ritratto di A. P. all’Accademia di San Luca a Roma, in Studi Romani, 2007, n. 55, pp. 237-244; F. Leone, in Canova l’ideale classico tra scultura e pittura, (catal.), a cura di S. Androsov, Cinisello Balsamo 2009, pp. 148 s., scheda II.I; I Borghese e l’antico, (catal.), a cura di A. Coliva et al., Milano 2011, pp. 242, 256, 322; M.E. Tittoni, Il Museo di Roma racconta la città, Roma 2012, p. 73; A. Marchionne Gunter, Parrocchia di Santi XII Apostoli, in Artisti e artigiani a Roma, III, Dagli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750, 1775, a cura di E. Debenedetti, Roma 2013, pp. 55, 103.