PARETO, Agostino
– Nacque a Genova il 5 ottobre 1773, terzo figlio di Lorenzo Antonio e Angela Balbi. La famiglia paterna era di recente nobiltà, originaria della Fontanabuona, ascritta al patriziato genovese nel 1727.
Tra il 1784 e il 1791 studiò nel Collegio dei nobili di S. Carlo, a Modena, perfezionandosi in particolare nelle scienze esatte. Nel corso degli anni Novanta Pareto si avvicinò a gruppi di nobili che, insoddisfatti della chiusura oligarchica che caratterizzava il sistema politico genovese, cercavano di promuovere un allargamento delle basi rappresentative del regime, ma non ebbe parte attiva in alcuna azione politica concreta.
Il 6 aprile 1796 sposò Rosa di Gaetano Ciccoperi, ricco commerciante, dalla quale ebbe Lorenzo Niccolò (1800), futuro ministro del Piemonte costituzionale, Angela Anna (1803), Gaetano Luigi (1806), Maria Anna (1809), Maria Maddalena (1810), Maria Teresa (1812).
Con l’invasione dell’armata francese e la caduta della Repubblica aristocratica, sancita dalla convenzione di Mombello del 6 giugno 1797, aderì al nuovo regime e il 14 giugno fu designato tra i membri del Governo provvisorio, che restò in carica sino all’inizio del 1798. Cercò di assecondare una trasformazione in senso democratico della Repubblica, che ne salvaguardasse l’esistenza nel quadro di uno stretto rapporto con la Francia del Direttorio. La sua posizione moderata finì però per essere attaccata come ostile alla rivoluzione; all’inizio del 1798, Pareto si appartò dalla vita politica.
Dopo la reazione austriaca, che portò a una breve occupazione della città, e la vittoria napoleonica di Marengo, con il conseguente ripristino del governo repubblicano, nel luglio 1800 Pareto fu nominato con decreto di Napoleone tra i membri della Commissione straordinaria di governo destinata a rimanere in carica fino all’entrata in vigore di una nuova costituzione. All’interno dell’organo, si occupò soprattutto della gestione delle finanze e del rapporto con le autorità francesi, due ambiti di decisiva importanza in quella fase, a causa delle difficoltà di controllo del territorio e del disordine finanziario causato dalla guerra e dalle contribuzioni levate per esigenze belliche.
Politicamente, Pareto si collocava all’interno della maggioranza moderata, guidata dai Serra, che perseguiva il mantenimento dell’indipendenza della Repubblica nel quadro di un’adesione alla stabilizzazione napoleonica. Ma una tale prospettiva finì presto per sfumare di fronte alla volontà di Napoleone di una stretta integrazione politico-militare della Liguria con la Francia.
A seguito dell’entrata in vigore della Costituzione del 1802, alla cui redazione aveva contribuito, Pareto entrò (giugno 1802) a far parte del Senato, la più importante magistratura della Repubblica. In seguito fu nominato tra i direttori del ricostituito banco di S. Giorgio. La sua posizione divenne però sempre più debole nel corso dell’estate 1803, quando la ripresa delle ostilità tra Francia e Inghilterra portò a una crescente pressione del nuovo rappresentante di Napoleone a Genova, Cristoforo Saliceti, sul governo della Repubblica affinché questo operasse una decisa scelta di campo. In tale contesto, le personalità più indipendenti, come Pareto e Girolamo Serra, furono prima escluse dall’esecutivo e poi, nel giugno 1804, dal Senato, sulla base di un voto assunto in deroga alla Costituzione, che prevedeva che il rinnovo periodico di un terzo dei senatori avvenisse per sorteggio.
Pur se politicamente marginalizzato, Pareto rimase un esponente di rilievo dell’élite politica genovese. Fu nominato tra l’altro membro del Tribunale di commercio (luglio 1804), presidente dei direttori del Banco di S. Giorgio (genn. 1805) e membro del Consiglio direttivo dell’Istituto nazionale, incaricato di coordinare l’istruzione e l’educazione nazionale, divenuto poi Accademia imperiale delle Scienze e Belle Arti. Nel giugno 1805, chiamato a esprimersi in quanto membro dell’Istituto nel plebiscito per l’annessione di Genova all’Impero francese, votò contro. Nonostante ciò, il 22 settembre, fu nominato sindaco della città, carica che mantenne fino al gennaio 1810. Pur strettamente vincolato agli indirizzi del prefetto, poté svolgere un importante ruolo di mediazione tra le autorità francesi e la popolazione genovese, riproponendo il tradizionale patriottismo cittadino. A testimonianza della sua costante presenza sulla scena politica cittadina sta pure il fatto che nel 1808, in occasione delle riunioni dei collegi elettorali per designare i rappresentanti delle supreme magistrature, fu chiamato a presiedere i collegi di circondario di Genova.
Nell’ultima fase del dominio napoleonico, non ricoprì cariche pubbliche, anche a causa di alcuni problemi di salute, e si dedicò a consolidare la situazione patrimoniale della sua famiglia e alle attività culturali. Risale al 1812 un suo scritto celebrativo della storia del commercio genovese (Considerazioni sulle cagioni della ricchezza dei Genovesi nel XII, XIII e XIV secolo, in Memorie dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Genova, III, 1814, pp. 225-244).
Solo nel corso del 1814, quando si era ormai avviato il disfacimento dell’Impero napoleonico, Pareto tornò a giocare un ruolo di rilievo. Inviato insieme con Emanuele Balbi presso William Bentinck, comandante delle truppe inglesi in Italia, per trattare la resa di Genova, il 26 aprile 1814 entrò a far parte del governo provvisorio nominato dallo stesso Bentinck. All’inizio di maggio, fu inviato come ministro plenipotenziario a Parigi, dove era in discussione un primo progetto di sistemazione dell’Europa dopo la caduta di Napoleone, con il compito di sostenere le ragioni dell’indipendenza della Repubblica e del ristabilimento di un regime politico aristocratico, ma aperto a una più larga partecipazione, secondo la prospettiva caldeggiata dallo stesso Pareto e in qualche modo avallata da Bentinck al di là delle istruzioni ricevute dal suo governo.
Le istruzioni di Pareto gli lasciavano un certo spazio di manovra, dandogli anche facoltà di acconsentire a modifiche nel regime politico, pur di evitare l’annessione di Genova, ma le iniziali speranze caddero di fronte all’atteggiamento elusivo dei rappresentanti delle potenze vincitrici. L’11 maggio, appena giunto a Parigi, Pareto presentò al ministro degli esteri inglese, Robert Castlereagh, un primo memorandum nel quale difese l’indipendenza di Genova sulla base del principio di legittimità e degli interessi inglesi nel Mediterraneo. Il giorno seguente, in un colloquio privato, Castlereagh chiarì che la sorte di Genova era legata agli accordi tra le potenze, che prevedevano l’annessione al Regno di Sardegna. Né migliore esito ebbero un successivo memorandum a Castlereagh (18 maggio), che apriva alla possibilità di decurtazioni territoriali importanti, purché fosse salvaguardata l’indipendenza, e i colloqui con il principe Klemens von Metternich, con l’ambasciatore russo Karl Nesselrode e con l’imperatore Francesco I d’Austria.
In tal modo, già con una clausola segreta del trattato di Parigi del 30 maggio 1814, fu sancita l’attribuzione di Genova al Regno di Sardegna. Mentre il governo genovese si predisponeva a difendere l’indipendenza della città al congresso che avrebbe dovuto riunirsi a Vienna, Pareto si trasferì in Inghilterra, per cercare l’appoggio dell’opposizione whig, ma, nonostante le simpatie che la sorte di Genova poté suscitare in singoli esponenti della politica inglese, non ottenne risultati di rilievo.
Con il passaggio di Genova al Piemonte sabaudo, stabilita nel novembre 1814, Pareto cessò di svolgere un’attività politica significativa. Duramente colpito dalla morte della moglie (25 genn. 1816) e guardato con sospetto dal governo piemontese, si dedicò all’educazione delle figlie e ad attività culturali, nell’ambito dell’Accademia ligustica. Nel 1821, durante l’effimera reggenza di Carlo Alberto di Savoia, fu indicato come membro della Giunta di governo nominata il 14 marzo. Secondo quanto riferito dal ministro plenipotenziario inglese a Torino, William Hill, pare inoltre che, insieme con Girolamo Serra, abbia tentato di ottenere che nel congresso di Lubiana le potenze europee ridiscutessero il problema dell’indipendenza di Genova. Con la fine dei moti e l’affermazione dell’assolutismo di Carlo Felice, si estraniò definitivamente dalla vita pubblica.
Pareto morì a Genova il 14 marzo 1829.
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