MASSUCCI, Agostino
MASSUCCI (Masucci), Agostino. – Figlio di Francesco e di Margherita Simonetti, nacque a Roma il 29 ag. 1690 (Pampalone, p. 74; Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Martino ai Monti, Battesimi, VI, 1675-94, c. 246r).
Riguardo il cognome è da notare che nei documenti e nella storiografia settecentesca ricorre costantemente Massucci, secondo la firma dello stesso artista, sostituito successivamente da Masucci.
La fonte principale per la ricostruzione della sua attività giovanile è costituita dalla biografia contenuta nelle Vite de’ pittori scultori et architetti (1724 circa) di Niccolò Pio, del quale il M. fu stretto collaboratore. Secondo tale testimonianza il M. fu avviato alla pittura in età molto precoce presso lo studio del marattesco Andrea Procaccini, con il quale collaborò per circa un biennio. A sua volta il maestro, riconoscendo nel giovane allievo notevoli doti disegnative, lo avrebbe direttamente introdotto presso «la scuola del gran cavalier Carlo Maratti».
È ragionevole pensare che questa fase del suo tirocinio corrisponda più esattamente alla partecipazione del M. alle lezioni dell’Accademia di S. Luca, in virtù delle quali fu ammesso ai concorsi indetti tra il 1706 e il 1708.
In quegli anni l’istituzione era infatti egemonizzata da Maratti, che ne ricoprì lungamente la carica di principe, e dai suoi più stretti collaboratori, che regolarmente presiedevano a tali competizioni in veste di giudici (Pampalone, p. 74). In tal modo si spiegherebbe inoltre criticamente l’affermazione di Pascoli circa i rapporti del M. con questo circolo, del quale afferma «quantunque non poco staccato dalla maniera del maestro è degnissimo sostegno della sua scuola».
Nel 1706 infatti il M. conquistò il secondo premio nella sezione di pittura con un disegno sul tema dell’Uccisione di Tarpea. L’anno successivo invece si classificò primo grazie a una sanguigna raffigurante Il combattimento tra gli Orazi e i Curiazi. Al 1708 risale un’ulteriore affermazione questa volta nella classe di scultura con Anco Marzio e Accio Nervio (le tre opere si trovano a Roma, Accademia nazionale di S. Luca; Cipriani - Valeriani, pp. 71, 87, 90).
In queste prime esercitazioni il M. manifestò la sua adesione ai principî formali della poetica di Maratti e alla sua intrinseca concezione accademizzante, mediante un attento procedimento grafico e una resa controllata degli impianti figurativi. Nell’Uccisione di Tarpea la mossa gestualità dei personaggi viene bilanciata da una rigorosa struttura compositiva nella disposizione delle figure e della quinta architettonica che fa da sfondo alla scena. Tali caratteri sono ancor più evidenti nei due successivi disegni, in cui la dinamicità figurativa viene progressivamente abbandonata a favore di un più controllato senso del movimento.
Sempre secondo Pio, alla morte di Maratti nel 1713 il M. entrò sotto la protezione della principessa Violante Pamphili, che a sue spese lo incoraggiò «a disegnar» direttamente le decorazioni di Raffaello nelle stanze vaticane.
Nel 1717 su committenza della marchesa Girolama Bichi Ruspoli eseguì i laterali della pala con la Trinità e i ss. Venanzio e Ansuino, compiuta da Luigi Garzi nel 1710 per la cappella maggiore della chiesa dedicata ai Ss. Venanzio e Ansuino dei Camerinesi a Roma (ora Ss. Fabriano e Venanzio).
Le due tele raffiguranti S. Venanzio curato dall’angelo e S. Venanzio fa scaturire l’acqua, attualmente separate dall’elemento centrale, furono concepite secondo un disegno unitario in rapporto al trittico nel suo insieme, non solamente dal punto di vista iconografico, ma anche compositivo. A livello formale è inoltre evidente la volontà del M. di adeguarsi allo stile di Garzi, al punto da adombrare il diretto rapporto tra i due. Dal più anziano maestro, infatti, il M. riprendeva quella maggiore sensibilità per gli effetti cromatici e atmosferici, volti ad ammorbidire l’ormai ampiamente metabolizzato idioma marattesco (Casale, 1984, p. 750).
Nel 1721 il M. eseguì il ritratto del neoeletto pontefice Innocenzo XIII, conosciuto attraverso incisioni, su commissione di monsignor Niccolò Del Giudice, prefetto dei Sacri Palazzi. Per questo il M. fece «molti lavori» (Pio), di cui però non si hanno ulteriori testimonianze (Clark, p. 91).
Nella sacrestia della chiesa di S. Francesco di Paola a Roma il M. dipinse quattro lunette con scene della vita del santo (Miracolo dell’albero; Miracolo dei pesci; S. Francesco di Paola resuscita un morto; S. Francesco di Paola ridona sembianze umane a un bambino), che completavano il ciclo lasciato incompiuto da Filippo Luzi nel 1722.
Nel 1723 eseguì l’Annunciazione, conservata presso la chiesa di S. Francesco a Monteleone di Spoleto, ispirata a livello compositivo a quella dipinta da Guido Reni per la cappella privata di Paolo V al Quirinale e probabile prototipo di un soggetto che venne frequentemente replicato con lievi variazioni dal M. nel corso della sua carriera (Falcidia - Toscano, pp. 46, 73 n. 81).
Sempre nel medesimo anno il M. completò la Sacra Famiglia con s. Anna per la basilica di S. Maria Maggiore, collocata presso il primo altare della navata destra dopo il restauro della chiesa sotto la direzione di Ferdinando Fuga tra il 1746 e il 1750 (Barroero).
La storiografia riferisce tradizionalmente al M. sei degli undici ovali (S. Anna e s. Gioacchino; Presentazione di Maria al tempio; Sposalizio della Vergine; Annunciazione; Adorazione dei magi; Battesimo di Cristo) per il ciclo che decora la navata centrale della chiesa di S. Maria in Via Lata a Roma, completato da quelli di Giovanni Domenico Piestrini e Pietro De Pietri.
Le tele furono presumibilmente commissionate dal cardinale titolare Benedetto Pamphili dopo il 1718, quando fece restaurare l’interno dell’edificio. Riguardo ai dipinti del M. la cronologia è con ogni probabilità da restringersi tra il 1721, data dell’edizione romana del Nuovo studio di pittura… nelle chiese di Roma di F. Titi, dove non si fa menzione della serie, e il 1724, quando tale intervento è invece citato nella biografia di Pio (V. Casale, in Giovanni V…, 1995, p. 356 n. 3). Questa indicazione trova conferma a livello formale nel sempre maggior nitore dell’impianto compositivo e nella fermezza del disegno, emendato dal cromatismo vibrante nelle due precedenti tele dedicate a s. Venanzio.
Nel 1723-24 il M. doveva essere impegnato nella redazione di parte dei disegni raffiguranti i ritratti da tradurre in incisioni, che avrebbero dovuto corredare ciascuna delle Vite di Pio.
Per l’edizione a stampa di tale opera, mai venuta alla luce a seguito della morte dell’autore (1724), ciascun artista vivente infatti fornì il proprio autoritratto; mentre quelli dei defunti furono eseguiti in parte da pittori che avevano avuto con loro qualche legame, i restanti furono affidati soprattutto a Garzi e al M., che ne realizzò trentadue, più di qualsiasi altro collaboratore di Pio (Clark). La gran parte di tali effigi, conservate presso il Museo nazionale di Stoccolma, è rappresentata all’interno di ovali o placche commemorative; mentre lo sfondo associato a ciascun personaggio generalmente varia al fine di specificarne la connotazione. Alle spalle del M. è infatti riconoscibile parte degli affreschi con la Disputa di Raffaello, evidente omaggio all’importanza che tale artista ebbe per la sua formazione.
L’11 giugno 1724 il M. fu eletto membro dell’Accademia di S. Luca, presentando come pièce de réception probabilmente il Martirio di s. Barbara (Roma, Galleria dell’Accademia di S. Luca: Clark, pp. 99 s. n. 13).
Nel 1726 eseguì la tela raffigurante S. Giovanni della Croce soccorso dalla Madonna (Pinacoteca Vaticana), per la cerimonia di canonizzazione del mistico spagnolo patrocinata dal pontefice Benedetto XIII (Casale, 1982).
Alla morte di Giuseppe Bartolomeo Chiari, avvenuta l’anno successivo, il M. si affermò definitivamente come incontrastato erede della tradizione ufficiale marattesca. Tale posizione è evidente con la pala raffigurante la Madonna con i sette santi fondatori dei servi di Maria databile al 1728, per la chiesa di S. Marcello al Corso (Clark, p. 100 n. 14).
In quest’opera il M. infatti appare impegnato a distillare l’esausta tradizione del classicismo barocco romano secondo uno stile sempre più accademicamente equilibrato, attraverso il recupero non soltanto dell’eredità raffaellesca, ma soprattutto dell’insegnamento di Reni.
A partire dallo scorcio del terzo decennio il M. risulta particolarmente attivo per i Pallavicini Rospigliosi. È probabile che fosse stato introdotto da Pio, cassiere del duca Giovan Battista Rospigliosi tra il 1710 e il 1719. Tra il settembre del 1728 e il gennaio dell’anno successivo sono registrati i pagamenti per la tela del soffitto della stanza dell’udienza del palazzo di Domenico Clemente Rospigliosi, raffigurante Ercole accolto nell’Olimpo. In perfetta sintonia con la revisione del linguaggio tardobarocco operata da Maratti e da Chiari, il M. in questo caso si orientò verso un elegante neocarraccismo, optando per una soluzione che simulava un quadro riportato, riducendo così al minimo gli illusionismi prospettici (Negro, 1989, p. 128).
Nel 1728 il M. eseguì invece il ritratto del Cardinale Antonio Banchieri, nipote di Giovan Battista Rospigliosi, di cui è stato ritrovato il mandato di pagamento (ibid., p. 130).
Di tale dipinto, la cui attuale ubicazione è sconosciuta a seguito della sua vendita da parte dei Rospigliosi a un’asta del 1932, esistono due ulteriori copie attribuite sempre al M. (Roma, collezione Pallavicini; Milano, galleria Giorgio Baratti). In questa prima prova conosciuta nell’ambito della ritrattistica ufficiale il M. si mostra più sensibile agli schemi mutuati da G.B. Gaulli, detto il Baciccia, rispetto a quelli più aulici e severi di Maratti. In particolare la versione originale, documentata fotograficamente, sembra essere quella di qualità superiore, caratterizzata da una più spiccata espressività nel volto, nonché maggiore morbidezza e movimento dei panneggi. Nella collezione Pallavicini a Roma è inoltre conservato un Gesù Bambino e s. Giovannino che reca sul retro la data del 1728 e il nome dell’artista (Negro, 1999, p. 126).
La notorietà che gli derivò dall’affermazione in ambito romano gli aprì le porte di alcune tra le più importanti corti europee. È stata recentemente restituita al catalogo del M. l’Apparizione della Vergine a s. Domenico Guzmán, che decora uno dei quattro altari della cappella di palazzo Braganza a Villa Viçosa, la cui ristrutturazione fu commissionata da Giovanni V re del Portogallo attorno al 1728 (V. Casale, in Giovanni V…, 1995, pp. 347 s.).
Nel 1729 il M. eseguì la tela raffigurante la Gloria di s. Giovanni Nepomuceno per la cattedrale di S. Vito a Praga (Clark, p. 100 n. 14).
Da datarsi al 1730 è invece la Sacra Famiglia e santi (Mafra, Palacio nacional), posta originariamente sull’altare presso il transetto sinistro della basilica di Mafra, che il re Giovanni V di Portogallo stava facendo decorare con opere importate direttamente da Roma (S. Vasco Rocca, in Giovanni V…, 1995, p. 308).
Durante il decennio del pontificato di Clemente XII Corsini, che predilesse committenze di ambito scultoreo e architettonico, spiccato è comunque l’apprezzamento accordato dal papa e dalla sua famiglia al M. in pittura, soprattutto per quanto riguarda la ritrattistica.
Al M. va infatti riferito il cartone per il mosaico di Pietro Paolo Cristofari (entrambi a Roma, Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Corsini) raffigurante Clemente XII e il nipote Neri, nominato cardinale nel 1730 immediatamente dopo l’elezione dello zio. L’opera fu probabilmente eseguita per celebrare il doppio evento (Alloisi, 2001, pp. 55, 83). La tradizionale impostazione dei due personaggi, dettata dalle norme del ritratto ufficiale, si sposa con la minuziosa resa dei tratti fisionomici. La tavolozza inoltre, pur denunciando un’evidente ispirazione baciccesca, risulta maggiormente austera, al fine di sottolineare la gravosità delle incombenze relative al governo dello Stato. Medesima intonazione si rivela nel Ritratto di Clemente XII (Cantalupo, collezione Camuccini), eseguito fra 1730 e 1740 (Clark, p. 98). In questi dipinti per rigore, essenzialità e correttezza formale il M. è da considerarsi un antesignano del neoclassicismo nel genere ritrattistico a Roma.
Agli anni 1733-34 risale la commissione per un altro cartone raffigurante S. Andrea Corsini (anch’esso conservato a Roma, Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Corsini), copia del dipinto di Reni (Firenze, Galleria Corsini), tradotto in mosaico sempre da Cristofari per la pala d’altare della cappella gentilizia del pontefice in S. Giovanni in Laterano (Caraffa). In tale opera il M. raggiunse livelli di straordinario virtuosismo mimetico, non rinunciando però a dare del modello secentesco una propria interpretazione nel nitore assoluto del disegno e dei freddi toni cromatici.
Nel 1735 al M. venne commissionata la tela con la Magnificenza di Alessandro Magno, parte di un ciclo su programma iconografico di Filippo Juvarra, destinata a decorare la sala del trono del palazzo reale di San Ildefonso. Ma nell’aprile dell’anno successivo il M. fu sostituito da Placido Costanzi, perché il compenso richiesto di 1000 scudi venne considerato troppo esoso.
Nello stesso anno il M. divenne reggente dei Virtuosi al Pantheon, mentre nel successivo biennio fu eletto principe dell’Accademia di S. Luca. Appena ricevuta tale nomina, fu incaricato delle onoranze funebri per Juvarra, deceduto il 31 genn. 1736. È probabile che in questa occasione eseguisse il ritratto dell’architetto ancora conservato presso le collezioni dell’Accademia, nonché quello inviato a Madrid all’Accademia di S. Fernando, della quale Juvarra era stato nominato membro (Griseri).
Firmata e datata al 1736 è invece l’Immacolata Concezione, che il M. realizzò per la chiesa di S. Benedetto a Gubbio (Tiberia).
Entro quell’anno, sempre su incarico di Giovanni V, completò l’Assunzione della Vergine per l’altare principale della cattedrale di Évora; mentre i pannelli laterali raffiguranti la Natività, l’Immacolata Concezione, l’Adorazione dei pastori e l’Incoronazione della Vergine furono realizzati dalla bottega (S. Vasco Rocca, in Giovanni V…, 1995, p. 314).
È da escludere una partecipazione del figlio Lorenzo, suo futuro collaboratore, suggerita dalla storiografia (Quieto; S. Vasco Rocca, in Giovanni V…, 1995), in quanto all’epoca quest’ultimo doveva avere poco più di dieci anni. È infatti possibile dedurne l’età con una certa precisione in quanto il suo nome è assente nella dichiarazione per gli stati delle anime del 1725 rilasciata dal M., allora residente presso la parrocchia di S. Salvatore ai Monti; mentre risulta avere ventiquattro anni in quella del 1750, dove viene qualificato come pittore (Carbonara, p. 356).
Non cessò comunque l’impegno del M. nell’ambito della ritrattistica ufficiale, come dimostra la raffigurazione del Principe Camillo Rospigliosi a cavallo (Roma, Museo di Roma), per il quale si conservano i pagamenti relativi al 1737 (Negro, 1999, pp. 126, 172 n. 29). L’anno successivo eseguì il Ritratto dei cardinali Neri Corsini e Antonio Saverio Gentili con Marcello Passeri e padre Josè Maria de Fonseca (conservato nella Biblioteca nazionale di Roma), su committenza di quest’ultimo (Il Settecento a Roma, p. 240).
Sempre nel 1738 il M. completò per Carlo Emanuele III di Savoia il Giuramento di Salomone (Torino, Museo civico di arte antica) collocato come uno dei sovraporta per la sala del Solimena a palazzo reale (Art in Rome…, pp. 403 s.).
Alla morte dell’amico Francesco Ferdinandi detto l’Imperiali, nel novembre del 1740, il M. ne portò a compimento la tela con Veturia e Volumnia dinanzi a Coriolano (Roma, collezione Lemme: Clark, p. 94).
Attorno al 1740 ritrasse Lord James Deskford (The Countess of Seafield Collection, Cullen House, Banffshire), poi sesto conte di Findlater, che allora soggiornava a Roma.
Con questo dipinto il M. formulò il prototipo del ritratto di viaggiatore del grand tour, che tanto successo ebbe nel corso del secolo soprattutto grazie ai suoi allievi Pompeo Girolamo Batoni e Gavin Hamilton, effigiando l’aristocratico inglese elegantemente accomodato presso una console sulla quale sono posati un libro di storia romana e un’urna antica (Clark, p. 120).
La fama che il M. aveva conquistato in ambito ritrattistico venne scossa dalla fredda accoglienza ricevuta per l’effigie raffigurante Benedetto XIV (Roma, Accademia nazionale di S. Luca), commissionatagli dallo stesso pontefice non appena eletto nell’agosto del 1740 ed eseguita in gara con il giovane Pierre Subleyras, che invece ottenne la palma del vincitore.
Il pittore francese riuscì a esprimere la sagace personalità del personaggio unita alla dignità del suo rango, mediante una composizione più solenne e impreziosita da un’elegante fattura pittorica, rispetto al lenticolare, quasi spietato naturalismo descrittivo del M. (V. Casale, in Giovanni V…, 1995, p. 521). In realtà l’esito del concorso riflette piuttosto il cambiamento di gusto in ambito artistico durante tale pontificato, orientato verso una sempre maggiore imponenza espositiva, esemplificata soprattutto dai pittori prediletti dal papa come Batoni e Subleyras, che preannuncia il neoclassicismo di fine secolo. Infatti, nonostante il M. ne avesse anticipato alcuni caratteri a livello formale soprattutto riguardo all’ordine e alla lucidità nella composizione, il suo stile, sostanziandosi di una cristallizzazione del classicismo marattesco, arricchito da superficiali immissioni rococò, rimane comunque ancorato ai modelli delle generazioni precedenti.
Secondo la storiografia, il M. fu progressivamente emarginato nell’ambito delle committenze di Benedetto XIV, come dimostra il suo mancato impiego nella realizzazione delle pale d’altare per la basilica di S. Pietro (Clark, p. 97). Tale giudizio va comunque parzialmente ridimensionato in quanto il M. tra il 1742 e il 1743 compì, su incarico del pontefice, le principali decorazioni della sala occidentale della coffee-house nei giardini del Quirinale, progettata da F. Fuga, mentre Batoni realizzava quella del lato orientale (Stoschek).
Ancora una volta Benedetto XIV propose un vero e proprio confronto tra due artisti di generazioni differenti, mediante commissioni simmetriche e speculari. Il M. infatti eseguì la tela con il Pasce oves meas e i quattro Profeti maggiori decoranti il soffitto, mentre il più giovane allievo lavorava alla Consegna delle chiavi e agli Evangelisti. Per queste opere entrambi ricevettero la medesima cifra di 400 scudi.
Nel 1744 inoltre fu affidato al M. il compito di copiare la Trasfigurazione di Raffaello per la sua traduzione in mosaico, destinata alla basilica di S. Pietro (Quieto, pp. 85, 114 n. 5).
A partire dalla fine del 1742 fu coinvolto nella decorazione della cappella dello Spirito Santo e S. Giovanni Battista per la chiesa di S. Rocco a Lisbona su committenza di Giovanni V di Portogallo, che lo considerava il suo pittore prediletto.
Ispirata alle forme del tardo barocco romano, l’opera fu completamente realizzata nella capitale pontificia su progetto di Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli, superando per ricchezza di materiali e accumulazione delle forme qualsiasi esempio fino ad allora realizzato.
Al M. fu affidata l’esecuzione della tela raffigurante il Battesimo di Cristo per la pala d’altare e di quelle destinate alle pareti laterali con l’Annunciazione e la Pentecoste, da tradursi in mosaico a opera di Mattia Moretti. Durante la lavorazione tra il 1743 e il 1745 il M. si ammalò di tisi, rallentando l’esecuzione dei dipinti preparatori, a tutt’oggi ancora non identificati con certezza, i quali insieme con il mosaico con l’Annunciazione furono terminati entro il 23 apr. 1747, quando la cappella venne montata presso palazzo Capponi-Cardelli in via Ripetta per essere consacrata da Benedetto XIV, prima dell’invio in Portogallo (J. Garms, in Giovanni V..., 1995, pp. 113-123).
Dibattuta dalla storiografia è la datazione dell’Estasi di s. Caterina de’ Ricci (Roma, Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Corsini), il più significativo esempio realizzato dal M. nell’ambito del genere cosiddetto dei quadri di canonizzazione, eseguita per la cerimonia di beatificazione tenutasi nel 1737 (Alloisi, 2004; Art in Rome..., pp. 402 s.) o piuttosto per quella di canonizzazione nel 1746 (Casale, 1997, p. 138).
La messa in scena dell’evento miracoloso evidenzia una convincente volontà di storicizzazione del dramma sacro, in anticipo rispetto alla pittura francese della seconda metà del secolo.
Nel 1748 il M. eseguì un’Annunciazione conservata a Copenaghen (Reale Museo delle belle arti) e proveniente dalla collezione del cardinale Silvio Valenti Gonzaga (Olsen). Attorno al 1750 va riferita invece l’esecuzione della pala con la Vergine e i ss. Agostino, Nicola da Tolentino e Monica in S. Maria del Popolo a Roma (Branchetti).
Nell’ottobre del 1754 fu eletto maestro della scuola del nudo in Campidoglio (Roma, Arch. stor. dell’Acc. nazionale di S. Luca, Decreti, vol. 51, c. 104r). Entro il luglio del 1755 il M. completò la copia su tela dell’Aurora di Reni del casino Rospigliosi, destinata a decorare la galleria della residenza londinese di Hugh Percy duca di Northumberland, dove ancora si conserva (Lewis).
Nel 1757 il M. firmò e datò la tela con l’Educazione della Vergine per la chiesa del Ss. Nome di Maria a Roma. Egli aveva già assunto nel 1743 la direzione del cantiere pittorico dell’edificio, incaricando i suoi collaboratori dell’esecuzione delle diverse pale d’altare (Casanova - Martini), tra le quali va ricordata quella eseguita dal figlio Lorenzo con i Ss. Pietro e Paolo per l’omonima cappella.
Il M. morì a Roma il 19 ott. 1758, come ricorda l’iscrizione sulla lapide presso la sua tomba nella chiesa di S. Salvatore ai Monti, decorata da un ritratto probabilmente compiuto dal figlio.
Alla morte del M. ne ereditò lo studio il figlio Lorenzo, il quale fu eletto membro di merito presso l’Accademia di S. Luca nel 1759 (Roma, Arch. stor. dell’Acc. nazionale di S. Luca, Decreti, vol. 51, c. 137r). Nel 1772 gli vennero commissionati tre dipinti perduti per la distrutta chiesa di S. Pantaleo. Allo stesso anno risale la pala d’altare eseguita per la chiesa di S. Stefano a Rovigo, raffigurante una Crocifissione con i ss. Giovanni di Matha e Felice di Valois. L’unica altra opera conservata a Roma ascrivibile a Lorenzo con certezza è il Riposo durante la fuga in Egitto nella chiesa di S. Maria dell’Orazione e Morte, firmata ma non datata. Morì a Roma il 3 luglio 1785 (ibid., vol. 54, c. 61v).
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