LAMPUGNANI, Agostino
Discendente da un'antica famiglia, nacque intorno al 1586 a Milano da Pietro Antonio. Alla nascita gli fu imposto il nome di Giovan Battista, che mantenne fino al 1599, quando abbracciò la regola benedettina ed entrò col nome di Agostino nel convento milanese di S. Simpliciano. Scarse sono le notizie su di lui fino al 1640, ma è plausibile ritenere che nel 1630, quando si diffuse l'epidemia di peste nel Milanese, si dovesse trovare ancora in quel convento come priore.
Fin da giovane il L. si dedicò agli studi teologici e a quelli letterari, coltivando i classici latini e quelli italiani. Ebbe buona padronanza della lingua latina, come testimoniano alcuni suoi testi: tra gli altri, una composizione per i martiri Sisinnio, Martirio, Alessandro, riportata da P. Puccinelli nella Vita di Simpliciano arcivescovo di Milano (Milano 1650, pp. 44 s.), un'ode per l'elezione del doge A. Priuli (Clio plaudens et exultans in serenissimi principis Venetiarum Antonii de Priulis electionem, Venetiis 1618) e una per s. Nicolò di Bari, successivamente ripresa nella storia della traslazione del corpo del santo scritta dal monaco cassinese F. Olmo (Historia translationis corporis sancti Nicolai terris, marique miraculis magni e Myra Lyciae Venetias factae anno 1100…, ibid. 1626).
Tra le prime opere del L. figura la Cecilia predicante, rappresentazione sacra in versi edita a Venezia nel 1619 e 1624. Al 1624 risale la pubblicazione, a Venezia, de La ninfa guerriera, favola pastorale sensibilmente suggestionata dal Pastor fido di B. Guarini. Del 1627 è un Antiocchiale, scritto in difesa dell'Adone di G.B. Marino contro le critiche di T. Stigliani, rimasto inedito forse per intervento dell'Inquisizione, nonostante i ripetuti tentativi del L. presso gli editori di diverse città italiane, tra cui Torino e Roma. Il manoscritto fu inviato dal L. ad A. Aprosio, suo corrispondente, che lo collocò nella biblioteca da lui fondata a Ventimiglia.
Divenuto membro dell'Accademia veneziana degli Incogniti intorno agli anni Trenta del secolo (due suoi scritti, La bellezza lodata e La bruttezza lodata, compaiono nei Discorsi accademici de' signori Incogniti, Venezia 1635), il L. ebbe stretti rapporti d'amicizia con l'Aprosio, accademico Incognito anch'egli. La corrispondenza epistolare stabilitasi tra i due e protrattasi fino alla vecchiaia del L. attesta la saldezza del loro sodalizio. Nel 1634, frattanto, il L. aveva dato alle stampe a Milano La pestilenza seguita in Milano l'anno 1630 (edizione moderna a cura di E. Paccagnini, Milano 2002) - in cui tra l'altro presta fede alla tesi delle unzioni -, che avrebbe costituito una delle fonti consultate da A. Manzoni: espliciti riferimenti all'opera sono nel Fermo e Lucia (III, 5, 42), nei Promessi sposi (XXXII, 25 n.) e nella Storia della colonna infame (parr. 232, 251).
Dopo essere stato priore di S. Spirito a Pavia almeno fino al 13 genn. 1640, il L. divenne priore di S. Procolo a Bologna, città in cui visse per alcuni anni. Qui, divenuto socio dell'Accademia degli Indomiti, ebbe frequenti scambi con letterati e artisti (tra gli altri, A. Barbazza e G. F. Neri) e visse uno dei momenti più fortunati della sua carriera letteraria. Nel 1640 pubblicò i Sette strali d'amore vibrati da Giesù Christo in croce all'anima fedele spiegati (Bologna 1640), operetta di meditazione sulla Bibbia, e al contempo portò a termine il romanzo Celidoro. L'anno successivo diede alle stampe la Lettera intorno alcune difficoltà della lingua italiana (ibid. 1641), in cui chiariva la sua preferenza per l'uso di alcune forme ortografiche antiche. Abbozzò inoltre la seconda parte dei Sette strali e scrisse un trattato d'amore che l'Aprosio suggerì di intitolare Squittinio d'amore. Nel 1642 pubblicò a Bologna la Turrianae propaginis arbor, storia della famiglia Della Torre, e seguì le diverse fasi della stampa del Celidoro, edito nello stesso anno con lo pseudonimo di Giovan Battista Mognalpina, a Venezia, dove riscosse un buon consenso di pubblico. Il romanzo fu ristampato sempre nel 1642 a Bologna, e il successo ottenuto fece sì che il L. potesse far uscire lo Squittinio (ibid. 1643) e riproporre al pubblico la Cecilia predicante (ibid. 1643).
Nel 1644 il L. fu trasferito a Milano, di nuovo nel convento di S. Simpliciano.
Qui ultimò la stesura di Della carrozza da nolo, overo Del vestire, et usanze alla moda, opera strutturata come una conversazione in forma di racconti, poesie, facezie ecc. Contrassegnata da un certo spirito critico e anticonformista, il L. esitò a pubblicarla nella città natale per dare invece alle stampe l'Eroe mendico, cioè Dei gesti di s. Alessio (Milano 1645), rappresentazione sacra che, apprezzata a Roma, ebbe una ristampa milanese nel 1645 e una nel 1646 a Bologna.
Nel 1645 il L. tornò nel convento di S. Spirito a Pavia come priore. Fu così in grado di lavorare alla seconda parte dei Sette strali. Ultimò pure la Vita di s. Radegonda e la serie di discorsi raccolti e riordinati nel periodo bolognese, destinati a venir pubblicati nel 1653 a Milano col titolo di Diporti academici. Mise inoltre mano a una raccolta di versi latini identificabili forse con quelli raccolti nei quattro libri che M. Armellini trovò manoscritti nel 1688 a S. Simpliciano.
Superate alcune difficoltà editoriali, la Carrozza da nolo uscì a Bologna nel 1648 sotto lo pseudonimo di Giovanni Sonta Pagnalmino. Nel medesimo torno di tempo il L. ricevette la nomina ad abate e si stabilì definitivamente a Milano. Qui, pur in avanzata età e sofferente di gotta, continuò a essere attivissimo: ristampò infatti la Carrozza per offrirne una migliore edizione (Milano 1649) e ne stese un'ideale continuazione con il Della carrozza di ritorno, ovvero Dell'esame del vestire e costumi alla moda, redatta tra il 1648 e il 1649, e comparsa a Milano nel 1650 sotto lo pseudonimo di Giovanni Tanso Mognalpina. Riuscì inoltre a pubblicare la Vita di s. Radegonda (ibid. 1649) e compilò una Vita di s. Gertrude rimasta inedita. Nel 1650, infine, compose la sua ultima opera, i Lumi della lingua italiana, compendio grammaticale per insegnare ai giovani a scrivere bene. Colpiti dalla censura dell'Inquisizione, i Lumi uscirono solo nel 1652 (Bologna), allorché l'abate Giovanni Resta, cui era demandato il governo effettivo di S. Simpliciano (il L. ebbe solo il titolo onorifico di abate, per poter dedicarsi completamente agli studi), lasciò il convento milanese.
Dopo l'uscita dei Diporti academici, il L. espresse in una lettera all'Aprosio il desiderio che le opere pubblicate sotto pseudonimo potessero vedere la luce a Venezia in un'unica edizione. Ma la morte lo colse forse prima del 1666, lasciando disattesa questa sua speranza.
Fonti e Bibl.: F. Piccinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 3; A. Aprosio, La biblioteca aprosiana, Bologna 1673, p. 297; G. Fontanini, Della eloquenza italiana, Roma 1726, p. 71; G.M. Crescimbeni, Storia della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 193; M. Armellini, Bibliotheca Benedectino-Casinensis, I, Assisii 1731, p. 63; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, Mediolani 1745, p. 758; F.S. Quadrio, Della storia e ragione d'ogni poesia, II, t. 1, Milano 1741, p. 680; III, t. 1, ibid. 1743, p. 83; t. 2, ibid. 1744, p. 415; IV, ibid. 1749, pp. 683 s.; G. Passano, I novellieri italiani in prosa, Milano 1864, pp. 256, 405 s.; R. Levi Pisetzky, Il gusto barocco nel costume italiano del Seicento, in Studi secenteschi, II (1961), pp. 61-94; E.N. Girardi - G. Spada, Manzoni e il Seicento lombardo, Milano 1977, pp. 55-114; A. Manzoni, Fermo e Lucia. Appendice storica su la colonna infame, a cura di S. Nigro, Milano 2002, ad indices; Id., I promessi sposi.Storia della colonna infame, a cura di S. Nigro, ibid. 2002, ad indicem.