GRADENIGO, Agostino
Nacque a Venezia l'8 nov. 1570, secondogenito maschio dell'insigne poeta e senatore Giorgio di Andrea e da Laura Valier di Bertucci. Fu iscritto al Libro d'oro delle nascite dell'avogaria di Comun il 19 novembre.
Questo ramo della famiglia si estinse con il fratello del G., Andrea (1561-1629) - avviato a una brillante carriera politica sino a giungere all'ambita carica di senatore -, che morì senza discendenza maschile; il G. ebbe inoltre tre sorelle, tutte destinate al convento.
Della sua formazione si prese carico, sin dall'infanzia, lo zio materno Agostino Valier (dal quale prese il nome, non comune tra i Gradenigo), cardinale vicino ai gesuiti e vescovo di Verona. Il G. si dimostrò allievo dotato e solerte, distinguendosi nell'arte oratoria e nelle scienze giuridiche. Si laureò in utroque iure e conquistò il pubblico apprezzamento papale. In ancora giovane età ottenne il titolo di abate commendatario dell'abbazia di S. Pietro di Ossero, nel golfo del Quarnaro e, nel settembre 1591, il canonicato nella cattedrale di Padova.
Il G. ebbe modo di partecipare attivamente alla vita culturale padovana anche grazie alla profonda amicizia con Federico Corner, del ramo di S. Polo, fondatore, nel novembre 1599, della subito influente e prestigiosa Accademia dei Ricovrati, la quale, già il 30 apr. 1600, volle il G. quale suo membro. Tra i Ricovrati il G. ricoprì cariche via via più prestigiose (fu due volte revisore delle leggi) sino all'elezione, il 21 dicembre, alla carica di "principe", cui fu riconfermato su diretta intercessione del Corner, il 26 apr. 1601.
Sostituito, nel novembre 1601, da monsignor Giovanni Belloni, il G. continuò a intrattenere fraterni rapporti con il Corner: il 23 marzo 1602 fu presente alla professio fidei catholicae di questi (a S. Lorenzo di Padova) e fu promotore del suo dottorato inutroque iure (27 marzo 1602). La grande aspirazione del G. era una carriera ecclesiastica veloce e prestigiosa: non esitò dunque ad accorrere a Roma, nel 1604, su invito del pontefice, Clemente VIII, giungendo a rinunciare, alla morte di Tommaso Contarini, alla carica di arcivescovo di Candia, sebbene fosse già stato scelto dal pontefice tra i quattro raccomandati presentati da Venezia (22 maggio 1604). Presso la corte romana le sue indubbie doti culturali e diplomatiche ebbero subito modo di manifestarsi a pieno, nella strenua opera di mediazione tra la Serenissima e il papa Paolo V nel difficile periodo dell'interdetto. Il G. si dedicò con passione e disinteresse alle trattative; Paolo V riconobbe il suo valore conferendogli la carica di referendario dell'una e dell'altra Segnatura. Tornato a Venezia verso il 1608, il G. ebbe il pieno appoggio del nunzio pontificio anche come candidato vescovo di Concordia (oggi Concordia Sagittaria), poi di Bergamo (1608), ma l'ambita elezione avvenne solo il 29 marzo 1610 e come vescovo di Feltre.
Dal maggio seguente, nella sua diocesi lo aspettò subito il compito di sedare gli animi dei canonici, inaspriti dalle annose liti con il predecessore, Iacopo Rovellio. La sua riforma degli antichi statuti della cattedrale e il ripristino di una più sentita disciplina gli attirarono la devozione dei sottoposti e del popolo. Il G. s'impegnò pure nel restauro degli edifici sacri, come la cattedrale, la vicina chiesa battesimale di S. Lorenzo (in particolare la cappella del Rosario, ove per l'altare centrale non fu risparmiato l'uso di marmi tra i più pregiati) e il palazzo vescovile, la cui sala consiliare fu adornata dai pregevoli ritratti dei suoi predecessori, opera ultimata nel 1613. Solo in seguito anche il suo ritratto fu aggiunto a questa galleria.
L'attività di pastore d'anime del G. fu intercalata dai frequenti viaggi a Roma, dove rimase quasi ininterrottamente dal novembre 1624: Urbano VIII lo volle come suo assistente e come questore delle decime del clero.
Il G. intrecciò proficui rapporti con eruditi e letterati, in particolare con il cardinale Guido Bentivoglio, del quale fu fraterno amico. L'appoggio papale nei suoi confronti fu fondamentale anche per l'elezione - comunicata dal G. al Collegio il 27 genn. 1624 - a coadiutore con diritto di successione del patriarca d'Aquileia Antonio Grimani.
Gregorio XIV aveva designato come coadiutore del patriarca il primicerio di S. Marco (nel 1624 era Antonio Corner, inviso agli Imperiali). Con la scelta del G. gli Imperiali si vedevano quindi esclusi sistematicamente dalla partecipazione all'elezione per la diocesi aquileiense e, pur di vedere un loro connazionale eletto, erano disposti alla rinuncia del potere temporale su Aquileia e territorio a favore della Sede apostolica, presso la quale premevano al fine di ottenere la divisione della diocesi.
Nel settembre 1625 Urbano VIII assegnò al G. 1000 scudi di pensione sul vescovado di Padova per i futuri suoi bisogni quale "eletto d'Aquileia".
All'inizio del 1627 il G. tornò a Venezia, ma il breve della sua nomina (20 marzo) fu inviato segretamente al nunzio pontificio a Venezia, con obbligo di segretezza sino alla morte del patriarca, per evitare, in perfetto accordo tra Papato e Serenissima, pressioni imperiali per una divisione della diocesi.
Scomparso il Grimani (26 genn. 1628), il breve fu pubblicamente consegnato al G., provocando la reazione veemente di Ferdinando II che promulgò a Graz, il 12 febbraio, un severo editto affinché "nessun ecclesiastico né altra persona suddita austriaca debba riconoscere per legittimo patriarca d'Aquileia il Gradenigo, sotto pena della privazione de' loro benefici ecclesiastici e dell'indignazione di S.M. ed ai laici pena la vita e confiscazione del loro avere" (De Renaldis, p. 403).
Malgrado ciò venisse a opporsi alla legittima giurisdizione pontificia e a limitare pesantemente l'autorità patriarcale nelle province austriache, già il 20 febbraio il G. inviò l'udinese Germanico Mantica, vescovo di Famagosta, a prendere possesso di Aquileia, precedendo il divieto - imposto dal capitano di Gradisca Antonio Ribatta al capitolo della cattedrale - di accettare il nuovo patriarca senza autorizzazione dell'imperatore. Nonostante il divieto di entrare nei territori austriaci - impostogli da un ulteriore editto imperiale, del 12 aprile -, il G., preso commiato davanti al Senato veneziano il 15 aprile e accompagnato da una nutrita scorta armata, il 30 maggio si insediò a Udine e il 21 giugno a Cividale. La sua missione spirituale fu sin dall'inizio irta di difficoltà, a causa delle pressioni della Dominante: ciò nonostante, e a perenne memoria del suo breve operare, riuscì anche in questa sede a lasciare una traccia ancor oggi visibile, arricchendo il palazzo patriarcale utinense con i ritratti dei suoi predecessori e degli arcivescovi, cui aggiunse anche il proprio.
La nomina di un suo coadiutore allo scopo di non smembrare la diocesi come era nelle intenzioni imperiali, fu "materia tanto grave e che tocca all'interesse et al servitio" per la Serenissima: sempre su consiglio dei consultori in iure il G. fu invitato ben due volte, il 26 ag. 1628 e il 20 febbr. 1629, a esprimersi in tal senso davanti al Collegio. Egli si dimostrò incline all'elezione di un suffraganeo di lingua tedesca, con soddisfazione degli Imperiali e cessazione della "querela del patimento delle anime" e in sintonia con quanto auspicato anche dal papa, ma l'ipotesi non fu assolutamente ben vista da Venezia. Nel marzo 1629 la situazione sembrò precipitare, poiché il G. inviò, a titolo personale e senza alcun avviso al Senato veneziano, una missiva al pontefice chiedendo la nomina di un sostituto pro ut de iure per i territori imperiali, che "possieda l'idioma Tedesco e sia pratico de paesi, della natura et di costumi di quei popoli nella forma che usano i prelati" e di cui si dichiarò disposto a suggerire il nominativo, sebbene non ancora vescovo. Durissima la replica di Venezia, che il 27 marzo lo convocò in Collegio per manifestare il "disgusto" per aver egli "operato in tutto diversamente da quello che doveva". Contemporaneamente, l'allora ambasciatore veneziano a Roma, Angelo Contarini, fu prontamente incaricato di intercedere presso il papa e il cardinale Barberini in difesa dello iuspatronato della Serenissima sul patriarcato d'Aquileia per scongiurare la divisione della diocesi voluta da Ferdinando II.
Il G. fu strenuo difensore della libertà ecclesiastica, capace di intrattenere diplomatici rapporti con l'arciduca d'Austria, con il vescovo di Trieste e con altri influenti dignitari, ma i severi attacchi al suo operare lo colpirono psicologicamente e fisicamente.
In preda a "febbre doppia terzana", il G. fu costretto ad allontanarsi dalla diocesi e a raggiungere Padova, dove poté essere assistito dal fratello Andrea. È proprio ad Andrea che il Senato, tramite il rettore di Padova, si rivolse l'11 sett. 1629 affinché il G., ormai morente, nominasse il suo coadiutore. La scelta, nella figura di Marco Gradenigo - al tempo duca di Candia ma disposto ad accettare l'incarico - fu apprezzata dalla Serenissima e immediatamente comunicata (15 settembre) a Roma, affinché l'ambasciatore Contarini ottenesse l'immediata conferma papale, nella forma di un breve segreto, come già in precedenza era avvenuto per la nomina del Gradenigo.
Il G. morì a Padova nella notte tra il 25 e il 26 sett. 1629. Il suo corpo, traslato a Venezia, fu inumato nella chiesa di S. Zaccaria, dove egli aveva disposto, per testamento, che fosse eretta una cappella. Nella chiesa del Corpus Domini, sopra l'entrata principale, fu eretto un monumento sepolcrale a memoria sua, del successore Marco e di Daniele Gradenigo.
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