GHIRLANDA, Agostino
Figlio di Giovan Battista di Sebastiano e di Camilla, della quale si ignora il casato, nacque probabilmente a Massa, dove il padre è documentato dal 1540, come scrive Frediani (p. 14) che fornisce la maggior parte delle informazioni sulla vita del Ghirlanda. Non si conosce l'anno della nascita. Si può comunque ipotizzare che nel 1561 egli fosse ancora in minore età, se nell'atto di concessione di un terreno da parte del padre a favore della figlia Alessandra, non viene chiesto il consenso del Ghirlanda.
Come il fratello Ippolito, pittore non altrimenti noto, il G. fu avviato senza dubbio al mestiere dal padre che, nato a Fivizzano verso il 1511 e morto nel 1584, è noto solo per alcuni dipinti realizzati nella città natale e a Massa (Thieme - Becker). Il G. si formò nell'ambiente culturale favorito dal signore di Massa, Alberico (I) Cibo Malaspina, del quale in un atto di fideiussione rogato in città nel 1568, il G. si dichiarava "familiare"; e in ciò proseguiva quel rapporto di collaborazione con la famiglia Cibo iniziato già dal padre, che era stato al servizio del cardinale Innocenzo Cibo (Frediani, pp. 14 s., 34).
Marchese dal 1554 e principe dal 1568, Alberico diede un nuovo volto alla città vecchia, sorta attorno alle mura del castello, e nel 1557 fondò la nuova Massa, dove trovarono ospitalità quelle famiglie legate ai Cibo esuli da Genova. Tra le conseguenze in campo artistico, ci fu un deciso spostamento del gusto locale verso l'esuberanza decorativa genovese, ulteriormente favorito dalla documentata presenza a Massa di maestri e opere di provenienza ligure. Accanto ai consueti rapporti con le altre città toscane, furono dunque le frequentazioni politiche e culturali con Genova a fare di Massa un centro sui generis, che alla fine del Cinquecento si presentava con le facciate dei propri palazzi adorne di graffiti, all'insegna di una spiccata tendenza verso un gusto ornamentale che tanto avrebbe influito sulla formazione del G., decoratore prima ancora che pittore da cavalletto.
Il G. dimorò lungamente a Massa nella casa paterna in contrada S. Pietro, ristrutturata a partire dal 1572, sulla facciata della quale eseguì alcune "storie romane". E risulta in città ancora fino al 1576, quando sposò Maria di Arcangelo Tancio da Carrara che, secondo Frediani, gli diede un'unica figlia, Fiammetta.
In seguito lavorò quasi sempre fuori Massa. Nel 1578 fu a Lucca, impegnato in duomo nel rinnovamento della decorazione a fresco nella cappella della Libertà (Ridolfi). L'incarico, che gli venne affidato all'indomani dell'intervento del Giambologna per l'altare, venne revocato l'anno successivo dai consiglieri dell'Opera a seguito di alcuni malintesi, ai quali il G. tentò di rimediare dipingendo "gigantesche figure" (Frediani, p. 19) su alcuni muri esterni della chiesa: si propose, cioè, per la sua peculiarità di abile decoratore, capace di suscitare un "generale e rimarchevolissimo effetto" (Trenta).
Questo lo condusse anzitutto a riconciliarsi con gli operai della cattedrale lucchese che nel 1582 gli allogarono la decorazione - perduta - della cappella di S. Regolo, e gli restituirono la commissione precedente per la cappella della Libertà: a seguito di drastici interventi di ridipintura, di essa rimane solo una figura di santo posto sotto un baldacchino su uno dei pilastri (Baracchini - Caleca, p. 139).
Acquisita una certa fama come frescante, al G. fu richiesto di eseguire alcuni dipinti, oggi scomparsi ma registrati dalle fonti ottocentesche, sulle facciate di alcune residenze signorili lucchesi: il palazzo cosiddetto Dipinto in via Burlamacchi, i palazzi Boccella alla Fratta, de' Nobili al Carmine, Puccetti presso porta S. Pietro e, con le figure in chiaro-scuro (Frediani, p. 20), il palazzo sulla via della Rosa dei Poggi, tra le più ricche e prestigiose famiglie cittadine; nonché di lavorare per la realizzazione di storie - anch'esse perdute - nei soffitti dei palazzi Mansi a S. Maria Forisportam e Burlamacchi al Suffragio (Borelli, p. 48).
Fu questa una produzione che incontrava un gusto, quello della società lucchese, cresciuto intorno a un'esigenza di decoro legata anche all'esterna ostentazione familiare. Ciò si inseriva in un ambito culturale aperto alla vitalità decorativa genovese, ma ugualmente permeato dalle ricerche di quei maestri, come l'Ardenti e Zacchia il Vecchio, condotte sugli esiti raggiunti dal secondo manierismo toscano che a Lucca trovò un importante momento di verifica nell'allogazione di quattro grandi tele per la cappella, non più esistente, del palazzo pubblico a pittori quali Bartolomeo Neroni, detto il Riccio, o Girolamo Massei.
A moduli manieristi doveva rifarsi il "quadro traverso" con una Storia di Annibale che Frediani (p. 19) vide in collezione privata lucchese; fiorentina è, infatti, la matrice culturale denunciata dall'unico dipinto rimasto di tutta l'attività del G. nella città di Lucca (Campori, p. 119): la grande Crocifissione, realizzata nel 1584 per l'oratorio della Confraternita di S. Maria Maddalena, e oggi nei depositi della Pinacoteca nazionale di Palazzo Mansi (Tazartes, 1988) nella quale il pittore si firma "Agostino Ghirlanda da Fivizzano" in omaggio alle origini della propria famiglia.
Durante il suo soggiorno lucchese, il G. lavorò anche altrove. A Massa, il 19 marzo 1579 sottoscrisse un contratto con la Compagnia di S. Sebastiano per dipingere, entro il maggio successivo, una pala con il martirio del santo, conservata nel Museo del Duomo (Russo). L'anno seguente era a Carrara, quando ricevette un pagamento da parte del Comune per alcuni lavori di pittura, dei quali non rimane più alcuna traccia, nell'ospedale di S. Jacopo (Frediani, pp. 22 s.).
Nel 1582 è documentato per la prima volta a Pisa, città nella quale intrattenne importanti e prolungati rapporti di committenza, e risulta impegnato nella realizzazione di apparati per le Quarantore per la locale Confraternita di S. Lucia dei Ricucchi, che gli avrebbe allogato anche la tela centrale del soffitto dell'oratorio con il Martirio di s. Donato, portata a termine nel 1587 e oggi dispersa (Ciardi, p. 14). Nel 1584 fu di nuovo a Massa, dove si impegnò a dipingere entro il dicembre dell'anno seguente una tavola con la Madonna del Rosario per la Confraternita omonima nella chiesa di S. Pietro, distrutta nel 1808 insieme con i suoi arredi. Al contempo eseguì, sempre in città, decorazioni esterne per alcuni palazzi, tra cui quello di Giovan Battista Mazzei, in documentato rapporto di amicizia con il G. (Frediani, p. 26). Sulla facciata, ancora in costruzione nel 1584, realizzò la "favola della caduta dei giganti fulminati da Giove", scomparsa ma ricordata da Frediani (p. 47) che ne rintracciava il modello nell'analogo soggetto realizzato da Perin del Vaga nel palazzo Doria di Genova. Non sarà inutile ricordare che il padre Giovan Battista era stato a Genova nel 1547 per conto di Innocenzo Cibo, e che Andrea Doria gli concesse di vedere le pitture del suo palazzo (ibid., p. 34).
La protezione del signore di Massa, e i rapporti di parentela tra i Cibo e i Medici, furono con ogni probabilità decisivi per porre il G. nella condizione di godere a Pisa del favore granducale, che gli procurò una serie di lavori patrocinati da Francesco I, o a lui collegabili. Tra il 1584 e il 1585 il G. eseguì alcune pitture a fresco sulla volta della loggia terrena nella casa dell'Opera del duomo (Tanfani Centofanti, p. 6), dove elaborò una complessa decorazione a riquadri tra grottesche di matrice fiorentina e perinesca allo stesso tempo, specialmente nella vivacità cromatica nella resa delle figure (Ciardi, p. 15). Inoltre, dal 1584 l'Opera del duomo decise di allogare ad alcuni artisti il completamento dell'intervento di Benozzo Gozzoli nel Camposanto. L'8 nov. 1585 il G., "al presente abitante in Pisa", ricevette l'incarico dall'operaio Girolamo Capponi. Come da contratto, il pittore si impegnò a portare a termine il suo lavoro entro il maggio successivo, e a non accettare altre commissioni (Tanfani Centofanti, p. 6).
All'interno di una partitura architettonica illusionistica, tra colonne corinzie, balaustre aggettanti e festoni di frutta e fiori sui quali siedono ignudi che sostengono medaglioni e tabelle a finto rilievo, trovano posto i due Episodi della vita di Ester, dove il G. inserì una serie di ritratti di personaggi contemporanei. Tra di essi Alberico e lo stesso granduca di Firenze, al quale, in quanto signore di Pisa, spettava il giuspatronato del Camposanto.
Entrato nelle grazie del Medici, il G. ottenne commissioni non meglio specificate per la chiesa di S. Stefano dei Cavalieri (Ciardi, p. 42), e lavorò alla costruzione del palazzo granducale a San Nicolò nel 1587. Il 19 ottobre dello stesso anno morì Francesco I, e il G. partecipò alla realizzazione degli apparati per le solenni esequie.
Più o meno contemporanei furono i lavori condotti dal G., ancora a Pisa, sulla facciata e in alcuni ambienti di palazzo Lanfranchi, dove, persino nella scelta dei soggetti mitologici (storie di Diana, Ercole, Amore e Psiche) tratti da Ovidio o dalle Metamorfosi di Apuleio, si manifestano ancora una volta quelle ascendenze culturali genovesi proprie della pittura del G., che inserì le scene all'interno di una decorazione a grottesche, reinventate secondo un gusto monumentale e, in sostanza, manieristico.
A questo periodo pisano del G. sono state riferite anche la Madonna in trono con Bambino e i ss. Giuseppe e Torpè del Museo nazionale di S. Matteo, probabilmente realizzata per la chiesa cittadina di S. Giuseppe, dove risalta un'impaginazione teatrale riconducibile alla sua maniera; e, più dubitativamente, il Cristo in croce e santi, conservato nello stesso museo (ibid., pp. 15, 18).
Non si conosce l'anno della morte del G., che avvenne molto probabilmente nel 1588 e comunque, come si desume da alcuni atti notarili di pertinenza familiare (Frediani, p. 30), prima del 2 dicembre.
Un volume di 60 carte che contiene poesie di argomento erotico-amoroso (Mss. Palat. 300) della Biblioteca nazionale di Firenze, interamente attribuito al G., è il solo documento relativo a un'attività letteraria che forse fu più ampia di quanto anche le stesse fonti ricordino (Burresi - Mazzarini - Lorenzi, p. 264).
Fonti e Bibl.: T. Trenta, Memorie e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca, VIII, Lucca 1822, pp. 98 s.; C. Frediani, Notizie della vita di A. G., Massa 1828; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori… nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa, Modena 1873, pp. 117-122; C. Ridolfi, L'arte in Lucca studiata nella sua cattedrale, Lucca 1882, pp. 189 s.; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 5 s.; C. Baracchini - A. Caleca, Il duomo di Lucca, Lucca 1973, pp. 56, 62, 139; U. Giampaoli, Il palazzo ducale di Massa, Massa 1979, pp. 36, 38; I palazzi dei mercanti nella libera Lucca del '500… (catal.), Lucca 1980, pp. 222, 362, 376, 390; M. Burresi - M.T. Mazzarini - R. Lorenzi, in Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici (catal.), Pisa 1980, pp. 263 s.; M. Tazartes, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1982, II, p. 726 e ad indicem; E. Borelli, Nel segno di Fra Bartolomeo. Pittori del Cinquecento a Lucca, Lucca 1984, pp. 45-48, 180; I. Belli Barsali, Lucca. Guida alla città, Lucca 1988, pp. 93, 98, 134; M. Tazartes, Immagini negli oratori e nelle confraternite lucchesi del '500, in Città italiane del '500 tra Riforma e Controriforma, Lucca 1988, pp. 191, 202 s.; F. Paliaga, La produzione dei soffitti perduti lignei a Pisa nel Seicento, in Antichità viva, XXX (1991), 4-5, p. 31; M. Russo, in Il tempo di Alberico: 1552-1623 (catal.), Massa 1991, p. 203; R.P. Ciardi, Cultura artistica a Pisa: coordinate locali, in R.P. Ciardi - R. Contini - G. Papi, Pittura a Pisa tra manierismo e barocco, Pisa 1992, ad indicem.