FAVARONI, Agostino (Agostino da Roma)
Nacque intorno al 1360 a Roma. Nulla si sa della sua famiglia di provenienza: la prima notizia certa si rinviene nei registri dell'Ordine agostiniano ed è relativa all'anno 1384, quando, dopo il suo ingresso fra gli eremitani di S. Agostino, avvenuto forse presso il convento di S. Maria del Popolo, il F. fu inviato quale studente "pro forma studii Parisiensis" presso lo Studio di Bologna dal generale Bartolomeo da Venezia per ottenere il grado di lettore.
L'affermazione di eruditi quali Herrera, Ossinger e Lanteri, secondo cui il F. nel 1379 fu uno dei deputati designati da Urbano VI per l'esame delle rivelazioni di s. Brigida (1303-1373) è contraddetta, secondo il Ciolini, dal fatto che l'Agostino da Roma di cui parla il documento è, nel 1379, menzionato con il titolo di "magister", fatto che per il F. è impossibile. Il Ciolini pertanto distingue due Agostini da Roma, di cui il primo ottenne il grado di magister nel 1370-1371, mentre il F. divenne tale nel 1392.
Nel 1386, già baccelliere, era a Firenze presso lo Studio di S. Spirito, intento a proseguire i suoi studi (Roma, Arch. gen. agostiniano, Dd. 2, f. 112v). Dal 1388 era di nuovo a Bologna, per ottenere il grado di magister: dai registri generalizi, infatti, risulta che nell'agosto 1387 fu fatto obbligo alla provincia romana di passargli, un sussidio per svolgere a Bologna gli studi "pro magisterio consequendo". Nello stesso 1388 venne nominato vicario per la provincia romana dal generale Bartolomeo da Venezia. Nel 1389 era bacchalarius Sententiarum presso l'università di Bologna, dove appunto leggeva le Sentenze tra il 1388 e il 1389. Il Ciolini colloca nel periodo che va dal 1389 al 1411 la stesura delle sue prime opere: Super Sententias libriquatuor, Super primum Sententiarum, Tractatus super Apocalypsim.
Come testimonianza della sua attività d'insegnamento ci restano un'abbreviatio del primo libro del suo commento alle Sentenze (Abbreviatio primi Sententiarum magistri Augustini de Roma), compendio portato a termine nel 1439 da Guglielmo Becchi (futuro generale dell'Ordine dal 1460 al 1469); un lavoro originale sui quattro libri delle Sentenze (Super Sententias libri IV, ms. Lat. 852 della Staatsbibliothek di Berlino) e una Quaestio sulla divisione della divinità del Cristo dalla sua umanità tra la morte e la resurrezione (Napoli, Bibl. naz., VII, C 35, ff. 99v-105r).
Nel 1392, ottenuto il grado di magister, sostituì a Bologna il magister Benedetto Contareno nella reggenza dello Studio del convento, ufficio che avrebbe conservato fino al 1405. Nel 1405 divenne provinciale della provincia romana e rimase tale fino al 1409.
Fu in questi anni che il F. compose cinquantatré prediche che vanno sotto il titolo Interrogationes seu introductiones quadragesimales e, nel 1394, il suo commento sull'Apocalisse (In Apocalypsim s. Ioannis tractatus quatuor), noto anche con il titolo De sacramentis e conservato a Roma in alcuni manoscritti (Bibl. Angelica, cod. 417 del sec. XV, ff. 1r-146r, Ibid., Fondo antico 367, copia del sec. XVII, privo della quarta parte, presente nel cod. 417 ai ff. 96r-146v; Bibl. apost. Vaticana, Chig. B VII, 118, sec. XV). La sottoscrizione del codice chigiano ci informa che l'opera fu redatta a Bologna "ad utilitatem fratris Bartholomaei de Veneciis", e quindi del generale dell'Ordine. L'opera è composta, oltre che da una esegesi del testo, anche da otto trattati sulla relazione tra il Cristo e la Chiesa. I primi quattro sono dedicati a Carlo Malatesta, che, fedele sostenitore di papa Gregorio XII, a Pisa si sarebbe adoperato tra il 1409 e il 1410 per far giungere il concilio ad un compromesso con il papa; anche in seguito, divenuto amministratore della diocesi di Cesena, il F. ebbe legami assai stretti con i Malatesta locali. Gli altri quattro trattati sono dedicati al cardinale Cosma Migliorati, allora arcivescovo di Bologna e più tardi papa Innocenzo VII. Nel terzo trattato de principatu papae, la posizione del F. appare interamente fondata sui dati della tradizione: restando nei limiti del solco già tracciato dai teologi agostiniani che lo avevano preceduto, si pone fortemente in contrasto con la Monarchia di Dante.
Nel 1411 portò a termine, mentre era reggente dello Studio del convento di Perugia, una Lectura sulla Lettera agli Ebrei, come risulta dalla sottoscrizione del codice 476 della Biblioteca Angelica di Roma, che contiene anche una Expositio super Epistulam Pauli ad Romanos redatta a Firenze nell'ottobre del 1422. Nel 1416 il F. figura tra i professori della facoltà teologica di Firenze, dove leggeva nella pubblica università l'Etica di Aristotele (di cui ci rimane il commento ai due primi libri), come si evince dalla sottoscrizione presente nel codice di Firenze (Bibl. Laurenziana, pl. XIII, I) di mano dello scriba Federico Ludovici de Folchis. A Firenze egli era ancora presente nel 1422 e nel 1426. Il F. compose anche altri commenti, tuttora inediti, ad Aristotele, precisamente al De coelo et mundo, alla Metafisica, e alla Metereologia (Ibid., pl. XIII, VII).
Nel 1418 morì il generale dell'Ordine Pietro di Vena. Nonostante nel 1417 a Costanza l'elezione di Martino V avesse posto fine allo scisma d'Occidente e reso possibile la riunione delle famiglie religiose sotto un solo superiore, nell'Ordine agostiniano ancora c'erano due generali, come risulta dalla bolla di Martino V del 5 ag. 1419: Giacomo di Pomario, provinciale della Lombardia, e Girolamo Paoli di Pistoia, nominato da Gregorio XII. Martino V elesse allora suo vicario Giovanni Zaccaria, provinciale della provincia di Sassonia, appunto allo scopo di promuovere la riunificazione: proprio Giovanni Zaccaria ebbe un ruolo decisivo nell'elezione del F. come generale nel capitolo che si tenne ad Asti, nella provincia di Lombardia, nel 1419. Il F. venne in seguito riconfermato generale per due volte: a Bologna nel 1425 e a Montpellier nel 1430. Rimase in carica per dodici anni, fino al 1431.
Negli anni del suo generalato il F. si dedicò a ristabilire la disciplina all'interno delle famiglie religiose: le conseguenze dello scisma si facevano sentire, infatti, pesantemente soprattutto per quanto riguardava la necessità di ripristinare l'unità tra le province e il centro dell'Ordine. Come risulta dal suo registro, egli si adoperò costantemente per la riforma in tutte le province, promovendo congregazioni riformate in Germania, Italia, Spagna e Irlanda. In Germania, nella provincia turingo-sassone, nominò il 15 genn. 1422 Giovanni Zaccaria come suo vicario per i presenti e futuri conventi osservanti. Confermandolo, infatti, provinciale della provincia di Sassonia, sottometteva alla sua giurisdizione tutti i loca observantiae della provincia. Fu così che presero corpo le principali congregazioni . osservanti, che avevano come scopo di ristabilire la vita comune e testimoniare un più autentico impegno, rispetto alle province, nella vocazione religiosa. In Italia il F. scelse alcuni conventi dove fu rinnovata completamente l'osservanza regolare e che furono poi proposti come modello agli altri.
Fra i generali che lo avevano preceduto, Bartolomeo da Venezia, nonostante il suo luogo d'origine, non si era mai molto occupato dei movimenti di riforma nella sua regione, mentre era stato particolarmente attento allo sviluppo dei conventi toscani, soprattutto di quello osservante di Lecceto. Il F., invece, il 9 febbr. 1421, per il convento di S. Maria di Nazareth, nominò suo vicario Gabriele Garofolo, reggente dello Studio di S. Stefano a Venezia, e gli concesse vasti poteri giurisdizionali al fine di promuovere una più severa osservanza. Il Garofolo aveva, infatti, già riunito una ristretta comunità di osservanti, tra i quali figuravano molti esponenti dell'aristocrazia veneziana, come Francesco Contarini, Daniele Morosini, Filippo Paruta e Andrea Bondumier. Il F. favorì anche lo sviluppo della congregazione di Lecceto e fondò nel 1419 la congregazione di Perugia, che trasse origine e nome dal monastero di S. Maria Novella: l'opera di riforma fu estesa anche alla provincia lombarda. Nominò nel 1419 Matteo d'Introdoco suo vicario in tutte le case osservanti di Roma e del Regno di Napoli: il 23 apr. 1423 concesse ampi poteri al suo vicario perché potesse consolidare la sua opera e governare su tutti i conventi italiani in cui già esistesse o sarebbe esistita l'osservanza. Nel capitolo celebrato dagli osservanti d'Italia nel 1424 nel convento romano di S. Maria del Popolo, Matteo d'Introdoco rinunciò al suo ufficio e al suo posto fu nominato Cristiano Franco. Questi, da vari anni residente nel convento della congregazione di S. Giovanni a Carbonara, fondato, nel 1399, da Simone da Cremona sotto il generale Bartolomeo da Venezia, fu confermato dal F. il 1º giugno 1424 quale "rector observantiarum Italicarum", con la facoltà di ricevere candidati e di eleggere o destituire i priori nei conventi sotto la sua giurisdizione.
Anche la traslazione delle reliquie di s. Monica dalla città di Ostia alla chiesa di S. Agostino a Roma, che ebbe luogo nel 1430 per ordine di Martino V su richiesta dello stesso F. e dell'agostiniano Pietro Assalhit, sacrista e confessore del papa, va vista nella prospettiva del progetto globale di riforma messo in atto dal Favaroni.
Da generale il F. continuò, comunque, allo stesso tempo ad impegnarsi nella sua attività letterafia, componendo numerosì commenti sulle lettere paoline: a Firenze terminò il commento alle lettere ai Romani (1422), ai Galati (1425), agli Efesini e ai Filippesi (1426); a Bologna quello alle lettere ai Colossesi (1427: Roma, Bibl. Angelica, cod. 641), e ai Corinti (1429: Napoli, Bibl. naz., cod. VII A 1).
Forse a breve distanza dalla sua seconda rielezione a generale dell'Ordine il F. venne accusato, sotto Martino V, di favorire la dottrina hussita e la sua posizione fu discussa in Curia. Nel 1430, infatti, l'arcidiacono di Siviglia e cardinale di S. Pietro in Vincoli Juan Cervantes diresse al F., da parte della Curia romana, un documento, di cui oggi non siamo in possesso, che raccoglieva alcune proposizioni di Giovanni Hus, giudicate nel concilio di Costanza, insieme con affermazioni del F. ad esse apparentemente vicine, estrapolate dal trattato De sacramento unitatis Christi et Ecclesiae, contenuto nel commento sull'Apocalisse. Il F., invitato a giustificare la propria posizione, compose nella seconda metà del 1430 la sua difesa Contra quosdam errores haereticorum (Basilea, Universitätsbibliothek, A IV, 17, ff. 320-328v), dedicata a Jean de la Rochetaillé, cardinale e arcivescovo di Rouen, patriarca di Costantinopoli e, in quegli anni (1427-1437), protettore dell'Ordine agostiniano. Essa dissipò momentaneamente ogni dubbio, tanto che il F. fu nominato da Eugenio IV con la bolla Dum ad universas orbis Ecclesias del 13 giugno 1431 arcivescovo di Nazareth in Puglia e, nel 1432, amministratore del vescovato di Cesena, carica alla quale rinunciò nel 1435. Come vescovo prese parte per qualche tempo al concilio di Basilea, dove risulta incorporato il 28 nov. 1432 come "poenitentiarius minor": non si può stabilire con certezza la durata del suo soggiorno a Basilea, ma di certo nell'estate del 1435 aveva lasciato la città già da tempo.
Il F. compose anche un secondo scritto di difesa, dedicato questa volta al cardinale Cervantes, intitolato Defensorium sacramenti unitatis Christi et Ecclesiae, che non ci è stato tramandato direttamente, ma che sopravvive in alcune parti di un documento relativo al F. compilato dal domenicano Heinrich Kalteisen nel corso del concilio (Bonn, Universitätsbibliothek, S 326, ff. 145r-147r, 157r-158r): al F. importava, in questa seconda fase difensoria, raccogliere e presentare le fonti in base alle quali egli aveva composto il suo trattato sulla relazione tra Cristo e la Chiesa. Di questo secondo scritto non è nota la data di composizione, e non è di conseguenza possibile collocarlo precisamente nel quadro degli eventi.
Nell'estate del 1433, nel corso dei concilio, il cardinale Cervantes aprì il processo contro alcune dottrine teologiche dei F., il quale non intervenne personalmente. Lo stesso generale Gregorio da Rimini non seguì fino alla fine il dibattito conciliare relativo al caso del suo predecessore: alla metà del giugno 1435, infatti, abbandonò Basilea nominando suo vicario il provinciale della provincia renano-sveva dell'Ordine Johannes von Hasperg. Il maestro Niccolò Amici fu promotor fidei al processo. Membri della commissione erano, tra gli altri, il domenicano Heinrich Kalteisen e il maestro di teologia Jean Germain, vescovo di Nevers. La commissione si occupò del caso dalla seconda metà del 1433 al 10 giugno 1435, quando il suo rappresentante, il vescovo Pietro di Versailles, presentò i risultati del proprio lavoro in una seduta ordinaria del concilio. In questa occasione risultò chiaramente che non tutti i padri erano d'accordo con l'opinione della commissione: i magistri italiani e soprattutto i cardinali Louis d'Aleman e Giuliano Cesarini, legato papale presso il concilio, chiesero e ottennero che il domenicano Juan de Torquemada sottoponesse di nuovo ad esame il materiale teologico incriminato e compilasse un documento contenente le proprie riflessioni ad esso relative.
Il documento di Torquemada fu pronto solo alla fine di luglio del 1435 e fu presentato nel convento dei francescani a Basilea, alla presenza del cardinale Louis d'Aleman, che aveva preso il posto del Cervantes nel settembre del 1434: Torquemada giungeva alla conclusione che le proposizioni incriminate, nonostante alcuni effettivi punti di contatto con la dottrina hussita, erano state formulate dal loro autore in buona fede e che perciò dovevano essere scagionate dall'accusa di eresia.
È verosiniilmente a questo punto, dopo l'intervento di Torquemada, che deve collocarsi il documento redatto da Heinrich Kalteisen, che si adoperò a fondo per meglio approfondire le conclusioni di Torquemada, ribadendo la differenza tra la veste meramente formale delle proposizioni e l'intento del loro autore, rigorosamente ispirato dalla fede cattolica, nel compilarle. In particolare, Kalteisen indirizzò la propria riflessione sulle fonti su cui si basava la prospettiva teologica del Favaroni.
Dopo lunghe discussioni, nel corso della ventiduesima sessione del concilio, nella cattedrale di Basilea, il 15 ott. 1435, ad opera del vescovo di Leictoure Martin Guitteriez venne resa nota la decisione del concilio relativamente a tre dei trattati del F. e, genericamente, ai suoi scritti di difesa (che non sono, in mancanza di maggiori precisazioni, quantificabili).
Sette furono le proposizioni condannate (cinque cristologiche e due sopra il Corpo mistico di Cristo), estratte dai trattati De sacramento unitatis Christi et Ecclesiae, De Christo capite Ecclesiae, De caritate Christi circa electos del commento all'Apocalisse. Pur essendo tenacemente fondata sull'auctoritas di Agostino, la concezione del F. secondo cui la natura umana del Cristo non è distinta dalla persona del Verbo fu ritenuta - insieme con le tesi che ne derivavano - troppo pericolosamente vicina al fondamento della dottrina hussita, cioè alla proposizione "duae naturae, divinitas et humanitas sunt unus Christus", che era stata condannata nel 1415 al concilio di Costanza perché poneva le basi per una radicale contestazione dell'ecclesiologia: Hus, infatti, affermando che Cristo secondo la sua divinità è il capo interno della Chiesa, non ammetteva in alcun modo la sovranità del papa sulla Chiesa.
La diversità degli intenti e degli sviluppi delle proposte teologiche del F. venne ampiamente riconosciuta, e le sue dottrine furono giudicate errate, e non eretiche: grazie a questo giudizio, indubbiamente dovuto al lungo e paziente lavoro di Torquemada e Kalteisen, il F. non fu personalmente perseguito; fu però ordinata la distruzione degli scritti in discussione. Invitato a presentarsi davanti al concilio per difendere la propria posizione, il F., insoddisfatto del giudizio del concilio, si appellò direttamente al papa. Eugenio IV accolse la richiesta, sebbene il concilio disapprovasse, ritenendo che in questa circostanza il proprio giudizio fosse inappellabile. Il 7 genn. 1436 il concilio si occupò ancora una volta degli scritti incriminati: il cardinale Louis d'Aleman venne incaricato di inviare il decreto conciliare e tutto il materiale del F. ad Avignone al cardinale Pietro de Fuxo. Non si hanno altre notizie a riguardo, ma di certo l'appello non dovette avere esiti positivi, se il F. rinunciò di lì a poco al suo ufficio di vescovo.
Di fatto, sebbene non ci restino tracce di una riabilitazione ufficiale e ancora all'epoca del Bellarmino l'opera del F. figurasse nell'indice dei libri proibiti, negli scrittori agostiniani che seguirono la sua memoria e in generale fl suo contributo teologico all'interno della scuola agostiniana fu tuttavia oggetto della più alta stima.
La sua dottrina della conoscenza è stata considerata da S. Friemel (Die theologische Prinzipienlehre des A. F. ..., Würzburg 1950) come permeata di razionalismo -teologico. A causa delle sue dottrine sul peccato originale, sulla grazia e sulla giustificazione A. V. Müller, basandosi sui commenti, ancora manoscritti, alle lettere ai Romani e ai Galati, lo ha considerato come un precursore di Lutero, sebbene a torto, come sostiene N. Toner. Mentre, infatti, nei rapporti tra i concetti di "iustitia nostra" e "iustitia Christi" Müller ha visto un'anticipazione della dottrina luterana della doppia giustificazione, Toner ha dimostrato che, a questo riguardo, si può piuttosto parlare di due aspetti della stessa giustificazione. La dottrina teologica del F. non è ancora stata, nel suo complesso, sufficientemente scandagliata, sebbene fondamentali siano da considerare, in tempi recenti, i contributi di W. Eckermann a questo riguardo: di certo nell'opera del F. è presente un costante debito alla lettura di Agostino e sicuramente gli erano ben noti gli auctores della scuola agostiniana che lo avevano preceduto, come Gregorio da Rimini e Ugolino da Orvieto.
Non abbiamo notizie sicure sulla vita del F. a partire dal momento in cui abbandonò l'ufficio di vescovo: trascorse gli ultimi anni in Toscana, nel convento di Prato, dove morì nel 1443.
I suoi resti furono tumulati a Prato nella chiesa di S. Agostino: il 6 nov. 1489 Anselmo da Montefalcone, allora generale, proibì al priore del convento di mostrame le reliquie senza la sua espressa licenza. Nell'Ordine ha titolo di beato e le sue reliquie sono ancora venerate.
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