DOLCE, Agostino
Nacque da Giovanni Battista (per alcune fonti secondarie, Daniele) e Bragadina Bragadin a Venezia nel 1561. Nel 1584 provò presso l'avogaria di Comun, unitamente al fratello Pietro, la propria cittadinanza originaria così come, nel 1573, l'aveva provata un altro fratello, Valerio. La sua famiglia era da molto tempo radicata a Venezia ed era piuttosto ricca, con proprietà immobiliari in città. Avvalendosi della cittadinanza originaria, il D. intraprese la carriera del segretario nella amministrazione dello Stato fra i ranghi dell'alta burocrazia veneziana. Ancora giovanissimo fece tirocinio nell'ambito della Cancelleria ducale. Nel 1588 venne nominato segretario ordinario e ben presto fu utilizzato in missioni presso l'armata nonché in Francia e a Costantinopoli, dove ebbe anche a rischiare la vita. Nel 1599 si sposò con Andriana Contarini e dal matrimonio nacquero i figli Lodovico, che sarà canonico di S. Giorgio, nonché Pietro e Giovanni Francesco, che abbracceranno la carriera del padre; nel 1657, contro esborso di 100.000 ducati, Lodovico e Giovanni Francesco otterranno l'aggregazione al patriziato veneziano fruendo di una delle offerte del titolo cui il governo aveva fatto ricorso per via dei bisogni finanziari provocati dalla guerra per Candia.
Nominato nel 1605 segretario del Senato, il D., dopo un breve soggiorno a Palmanova presso il provveditore Andrea Gussoni, nel 1606 fu inviato in qualità di residente a Napoli ed ivi rimase sino al novembre del 1609.
Fu forse la missione più importante della sua carriera. All'inizio della missione stessa la Repubblica di Venezia era già impegnata nello scontro con Roma provocato dalla rivendicazione allo Stato della piena potestà temporale contro le pretese della Curia di sindacare certe scelte politiche ed amministrative del governo. Paolo V aveva lanciato l'interdetto e la Repubblica, sostenuta sul piano dottrinale da Paolo Sarpi, l'aveva respinto ingiungendo al clero suddito di allinearsi sulle proprie posizioni. Una parte cospicua dei molti dispacci del D. da Napoli danno conto della sua azione diplomatica volta ad informare il viceré ed il suo entourage sulle ragioni di Venezia e allo stesso tempo volta a sondare gli umori dei governanti spagnoli e napoletani circa lo scontro in atto. Nella sostanza il D. ricavò l'impressione che ci fosse un certo riconoscimento della bontà delle posizioni di principio veneziane con qualche riserva sulla durezza della reazione politica sviluppata dalla Repubblica contro Roma. Diversi invece gli umori delle correnti papaliste locali, i cui esponenti giudicavano che a Venezia, negli ultimi tempi, si fosse troppo concesso alla libertà (ufficio dell'Inquisizione ridotto a "pura apparenza"; compiacenze verso gli operatori commerciali protestanti del fontego dei Tedeschi nonché verso l'ambasciata inglese). Comunque, il D. faceva notare come le posizioni intransigenti di alcuni prelati fossero riprovate da eminenti personaggi del governo napoletano. Per tutto il 1606 i dispacci del D. (molti in cifra) mostrano la preoccupazione che lo scontro tra Venezia e Roma potesse degenerare in guerra aperta, ragion per cui il residente segnalava ogni tipo di mosse che avessero potuto essere interpretate come indizio di preparazioni belliche (per esempio, imbarchi di truppe spagnole in Sicilia con meta Milano; movimenti delle navi spagnole), allo stesso modo che egli ragguagliava in dettaglio sui temi agitati dalla propaganda filocuriale e antiveneziana specie quella dei gesuiti. Altri interventi dei quali il D. relazionava il governo erano quelli volti ad indurre i marittimi veneti a rientrare in patria fornendoli dei mezzi necessari.
Intenso fu il suo attivismo quando si profilò la possibilità di una mediazione tra Venezia e Roma per parte di un inviato spagnolo, don Francesco di Castro: un attivismo volto a procurare informazioni e a cercare di raccogliere elementi per costruire ipotesi circa quelli che avrebbero potuto essere i contenuti della mediazione stessa. Molto attento appare altresì il D. alle preoccupazioni spagnole per la troppo enfatizzata intesa veneziano-inglese la quale - temevano gli Spagnoli - avrebbe potuto far sì che le navi inglesi trovassero appoggi in porti veneziani minacciando gravemente le flotte di Spagna. Molti anche i rapporti sulla pesantissima situazione economica di Napoli e del Vicereame con conseguenze ormai di vera e propria carestia, rapporti densi di dati e di rendiconti ricavati da fonti ufficiali con importanti dettagli sulla situazione finanziaria del Regno. Erano tutte notizie che il D. stimava utili ai fini della valutazione della possibilità che si concretizzasse un intervento militare antiveneziano dopo il fallimento della mediazione del di Castro. Con tale obiettivo appaiono anche stilate le accurate descrizioni messe insieme dal D. a proposito degli apprestamenti militari di importanti basi come Taranto, a proposito delle forze dell'esercito napoletano e dei transiti di soldatesche. In tali raccolte di informazioni egli mostra di aver avuto dei collaboratori locali (per il cui pagamento ogni tanto chiedeva denaro a Venezia), molto ben introdotti nell'apparato di amministrazione del Vicereame. Almeno in un caso, tuttavia, il D. dette affidamento a un doppiogiochista il quale, portatosi col suo aiuto a Venezia promettendo importanti rivelazioni, venne smascherato e segretamente fatto liquidare dal Consiglio dei dieci. Passati i momenti caldi dello scontro con Roma, i dispacci del D. continuarono a fornire copiose informazioni sulla situazione del Regno e sull'attività di carattere consolare che egli andava svolgendo. A richiesta del consultore in iure Paolo Sarpi, in qualche dispaccio fornì puntuali descrizioni circa le prassi politico-amministrative seguite a Napoli a proposito di talune configurazioni del rapporto con le autorità ecclesiastiche, ad esempio spedì un dossier sull'exequatur regio.
Tornato a Venezia alla fine del 1609, il D. nel maggio del 1614 fu spedito come residente a Milano ed ivi rimase per pochi mesi sino al novembre dello stesso anno. Nel settembre del 1616 fu mandato nei Grigioni ed in Svizzera insieme col segretario Giovanni Battista Padavino per cercar di arruolare soldati da mettere al soldo della Repubblica. Fu una missione travagliata (Morbegno, Coira, Zurigo) che non fruttò molti risultati in quanto le popolazioni e le autorità locali si opposero agli arruolamenti che, oltreché dai Veneziani, venivano tentati anche dai Francesi. Il D., tra l'altro, nel maggio del 1617, fu derubato nottetempo nei pressi di Como da un bergamasco e per inseguire il ladro perse i contatti con il Padavino. Il bisogno di genti d'arme da parte di Venezia era determinato dalla guerra in cui si era cacciata contro gli Arciducali d'Austria con operazioni belliche, condotte nel Friuli ed in particolare sotto Gradisca che andavano mostrando tutta la debolezza degli eserciti veneziani.
Tornato a Venezia, il D. continuò a ricoprire importanti incarichi nell'alta burocrazia e fu anche segretario del Consiglio dei dieci in tempi gravidi di inquietudine e di sospetto per le trame - vere, esagerate, o anche inventate - di spionaggio, di controspionaggio e di destabilizzazione che si tessevano in città in relazione alla presenza di numerosi agenti stranieri, spagnoli soprattutto. Furono i tempi della così detta congiura del marchese di Bedmar, ambasciatore di Spagna; della liquidazione di personaggi di spicco accusati di tradimento, magari a torto come Antonio Foscarini; di clamorosi arresti anche di alcuni alti burocrati per rivelazione di segreti e corruzione. Più tardi, nel 1628, una ennesima "correzione" del Consiglio dei dieci porterà anche a qualche regolazione delle strutture dell'alta burocrazia cui il D. apparteneva, togliendo al predetto Consiglio e affidando al Senato la competenza a nominare i segretari del Consiglio stesso.
Il D. lasciò tracce di una sua stimata presenza anche nell'ambito dei circoli politico-culturali di Venezia: risulta infatti apprezzato frequentatore del "ridotto" Morosini in cui, agli inizi del Seicento, vi fu commercio di scambi intellettuali, scientifici, politici. A lui fa riferimento con affettuosa amicizia Paolo Sarpi in parecchie sue lettere. Domenico Tintoretto gli fece un ritratto e nel 1621 venne pubblicato un discorso, a lui dedicato, di Giovanni Finetti dal titolo Che le attioni humane non hanno determinata legge, compreso nel volume Discorsi e corsi di penna. Nel 1629 F.A. Superbi fece cenno a lui in modo lusinghiero nel suo Trionfo glorioso d'heroi illustri et eminenti... .
In una memoria ufficiale presentata alla Repubblica nel 1648 i figli lo ricordano morto a 74 anni, e dunque probabilmente nel 1635, dopo sessanta anni di ininterrotto servizio dello Stato.
Il D. non va confuso con l'omonimo autore della tragedia Almida, pubblicata a Udine nel 1605 (cfr. Cicogna, IV, p. 93).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, buste 365, fasc. 5; 370, fasc. 99; Ibid., Senato. III Secreta, Dispacci Napoli, filze 22-26; Ibid., Dispacci ambasciatori Milano, filze 44, 45; Ibid., Dispacci Grisoni, filze 9, 10; Ibid., Dispacci ambasciatori Svizzeri e Grisoni, filze 7, 8; Ibid., Senato. Secreta, Archivi propri Svizzera, reg. 4; Ibid., Senato. Terra, reg. 75, c. 156v; Ibid., Consiglio dei dieci, Comune, reg. 55, cc. 22r, 87r, 149rv; Ibid., Misc. codd. I, Storia veneta 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, pp. 239-242; Ibid., Storia veneta 5: T. Toderini, Genealogia delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza..., sub voce Dolce, p. 749; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. VII, 1667 (= 8459), c. 8r; Ibid., cl. VII, 202 (= 7774): R. Curti, Cronaca breve e famiglie nobili di Venezia, I, cc. 162 rv; E. Cornet, Paolo V e la Repubblica veneta. Nuova serie di documenti (MDCV-MDCVII) tratti dalle deliberazioni secrete (Roma) del Consiglio dei dieci, in Archivio veneto, III (1873), 5, pp. 222 s., 238 s., 253-256, 262 s., 307-310, 312 s.; P. Sarpi, Lettere ai protestanti, Bari 1931, I, pp. 127, 129, 141, 145, 152v; II, p. 102; G. Finetti, Discorsi et corsi di penna, Venezia 1621, p. 190; F. A. Superbi, Trionfo glorioso d'heroi illustri et eminenti dell'inclita e maravigliosa città di Venetia, III, Venezia 1629, p. 118; B.Nani, Historia della Republica veneta, I, Venezia 1676, pp. 58, 109; Memorie concernenti l'origine delle famiglie de' veneti cittadini estratte da due codici del XVI secolo l'uno d'autore incerto l'altro del Ziliolo, Venezia 1775, p. 27; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 93 s.; V, ibid. 1842, p. 85; VI, 2, ibid. 1853, pp. 877, 890 s.; E. Cornet, Paolo V e la repubblica veneta: giornale dal 22 ott. 1605 al 9 giugno 1607 corredato di note e documenti, Vienna 1859, pp. 78, 86, 197; A. Favaro, Un ridotto scientifico in Venezia al tempo di Galileo Galilei, in Nuovo Archivio veneto, III (1983), 5, p. 105; C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte ovvero Le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato, II, Berlino 1924, p. 260; G. Trebbi, La Cancelleria veneta nei sec. XVI e XVII, in Annali della Fondazione L. Einaudi, XIV (1980), p. 95, n. 88.