DECIO (Desio, De Desio), Agostino (Agosto)
Milanese, attivo come miniatore dal 1531 al 1590, fu celebrato dai contemporanei, in particolare dal Lomazzo, il quale ne scrive nel Trattato (1584) e gli dedica un sonetto (1587), citandolo sempre insieme al figlio Ferrante. Il nome di battesimo Ferrante è stato talvolta scambiato per un cognome e quindi padre e figlio sono citati come "Decio ed Augusto Ferranti" (Malvezzi, 1882).
Al D. sono state attribuite una serie di opere eseguite per Francesco II Sforza, firmate "Decius fa.", datate dal 1531 al 1535. Dato biografico sicuro è la supplica in favore del D., che era accusato di omicidio, stesa da suo fratello Antonio, anch'egli miniatore, nel 1553 (in Malaguzzi Valeri, 1917, p. 227).
Due sue opere appartennero a Federico Borromeo, che le elenca tra le miniature nell'atto di donazione (1618) alla Biblioteca Ambrosiana: "Una Madonna col figliuolo, e con S. Catherina diminiatura di Agosto Desio Milanese, alta quattro once, e larga tre con cornice d'ebano. Un'Adoratione dei magi di cui il disegno è di Raffaello, e la pittura di Agosto Desio Milanese, alta sette once, e largatinque, con cornice di pero orriata d'oro" (in Galbiati, 1951, p. 278).
Il cardinale le menziona anche nel suo Musaeum (1625), accanto alle miniature di Gerolamo Marchesini: "... Et artis eiusdem Augustus Decius tabellam fecit... Decius minio celebris, ex Raphaelis exemplari Magos adorantes... fecit". E ancora A. Santagostino (1671) annota nella Galleria della Libreria Ambrosiana quattro opere di "Dezio. Agosto Dezio miniatore. Una testa in profilo. Un'Adorazione de' magi. Una Madonna con il Bambino. Un'Annunziata. Tutte fatte con grandissima diligenza".
Le due miniature donate dal cardinal Federico. cioè la Madonna con il Bambino e l'Adorazione dei magi, risultano nella Guida sommaria dell'Ambrosiana del 1907 e sono citate da Galbiati nel 1951; viceversa, sono date per disperse da Castelfranchi Vegas (1952) e da Bona Castellotti (1980). La Madonna con Bambino si trova tuttora nella sala detta dei Barocci in una teca a forma di tempietto; bisogna precisare che non vi è raffigurata s. Caterina ma s. Giovannino; l'Adorazione dei magi è firmata in basso a sinistra "Aug./ Dec. F." e misura cm 30 × 26, inv. 904.
In quest'unica miniatura firmata, la ripresa semplificata di moduli raffaelleschi corrisponde alla tipologia devota e convenzionale della Controriforma. Certo è stilisticamente assai diversa dai grandi libri miniati all'epoca di Francesco II Sforza: in primo luogo quelli donati dal duca alla cattedrale di Vigevano nel 1534, il Messale firmato a f. 121v "Decius Fa", ornato di quattordici miniature figurate, l'Evangelistario (Consacrazione di s. Ambrogio), l'Epistolario (S. Ambrogio debella gli eretici), firmato "Detius Fa", il Manuale pontificio che non contiene miniature figurate, ma solo iniziali. Subito dopo viene il Messale per Gerolamo Mattia, priore di S. Maria della Scala in Milano, già di proprietà di Geroiamo D'Adda, ora della Pierpont Morgan Library di New York (ms. 377),ornato con una Crocefissione e un'Adorazione dei magi, firmato e datato 1535.Antecedente è l'Evangelistario con le armi degli Sforza e di Danimarca, miniato per Francesco II e la moglie Cristina, figlia di Cristiano II, ora alla Biblioteca Trivulziana di Milano (ms. 248): da accettare, anche per ragioni stilistiche, la data 1531 che si legge sul fondo della miniatura del f. 112v, raffigurante la Morte. Il primo foglio, decorato da un fregio a festone di fiori, sorretto da due putti, con il Padre Eterno benedicente, corrisponde ai modi di Francesco Binasco, mentre tutte le altre composizioni corrispondono allo stile delle miniature firmate Decio. La Resurrezione a f. 62v è del tutto simile a un grande foglio staccato del Kupferstichkabinett di Berlino Dahlem (n. 1756). Collegato ai libri suddetti è il disegno di una Crocefissione con la Madonna, s. Giovanni e la Maddalena del Museo del Louvre (inv. RF445), con ricca incorniciatura a grottesche, modello certo per un foglio miniato.
Di fattura più affrettata e di qualità più modesta sono i corali della chiesa della Beata Vergine Incoronata di Lodi, quattro dei quali recano le date 1540 e 1541 e inoltre il nome del calligrafò, il frate servita Giovanni da Pandino, al quale si deve la scrittura di parte dei volumi di Vigevano. Da sottolineare la presenza nell'Innario (ms. 5) al f. 116r, oltre ad una delle consuete iniziali figurate, di una xilografia, sul margine inferiore, raffigurante S. Caterina d'Alessania, che ci riporta all'attività di Giovanni Antonio Decio. Ciò conferma che i Decio erano organizzati in bottega familiare secondo la tradizione dell'area lombarda: certamente dalla loro bottega uscirono oggetti di oreficeria ornati da lastrine in vetro dorato e dipinto (églomisé) e da smalti e probabilmente anche lavori di glittica, in cui si manifesta la raffinata interpretazione del classicismo del Bambaia inconfondibile nei libri miniati per Francesco Sforza: cito come esempi due lastrine églomisées rappresentanti la Natività del Museo Duca di Martina (Napoli) e del Victoria and Albert Museum (Londra), e lo, splendido calice con piede a smalti (Milano, Musei del Castello, inv. Oreficeria n. 80).
In queste opere mancano riferimenti diretti alla maniera dell'Italia centrale, mentre vengono sviluppati e aggiornati moduli lombardi del primo ventennio del '500. A differenza del Clovio, il quale opera isolato e annovera solo alcuni allievi in tarda età, la dinastia dei Decio fa parte dei "virtuosi" lombardi delle arti minori, in particolare della glittica quali i Saracchi, i Miseroni, i Masnago.
Mentre è lineare e sostanzialmente identificabile la produzione fino ai corali di Lodi, cioè fino agli anni '40, rimane un vuoto per arrivare all'unica opera firmata Augustus Decius, cioè all'Adorazione dei magi dell'Ambrosiana. È sorprendente anche che non si riesca a individuare alcuna miniatura riconducibile ai Decio in grandi imprese di illustrazione di libri liturgici che proseguono in Lombardia fino nel Cinquecento inoltrato, come i corali della certosa di Pavia, che disinvoltamente furono loro attribuiti dal Salmi (1956), oppure i libri da coro ordinati da Pio V per il convento domenicano di Boscomarengo, eseguiti a Roma a partire dal 1567 da vari miniatori, uno dei quali di cultura lombarda, più specificamente cremonese, identificato da F. Zeri con Raffaello da Cremona (comunicazione scritta).
Sono invece assai complessi i legami tra Francesco Binasco (o maestro B. F.) e i Decio per le miniature dei corali del monastero dei SS. Angelo e Niccolò a Villanova Sillaro (presso Lodi), disperse in molte collezioni. Tra le poche conservate nella parrocchia, due esposte nel 1982 alla mostra Zenale e Leonardo (M. Natale-A. Zanni, Milano 1981, pp. 61 s.), presentano questa ambivalenza: l'Adorazione dei pastori, databile tra fine '400 e inizio '500, corrisponde a Francesco Binasco, mentre l'Annunciazione, correttamente riferita al terzo decennio del '500, è quanto mai simile alle miniature firmate "Decius Fa.". Tale linea stilistica prosegue nei corali già nel convento olivetano di S. Vittore al Corpo di Milano, poi passati all'Archivio storico e ora nella Biblioteca Trivulziana di Milano, scritti negli anni 1545-46, attribuiti da G. Bologna (1971 e 1973) genericamente "al Decio", intendendo il più noto, cioè Agostino.
A distanza di quarant'anni dalle ultime opere - attribuibili (corali di Lodi, 1540-41) e di trenta dall'unico dato documentario (1553), troviamo le testimonianze puntuali del Lomazzo sul D. negli anni '80.
Nel Trattato (1584), dove lo inserisce in un discorso celebrante i maggiori artisti dell'epoca (scultori e pittori) come autori di ritratti dei regnanti, è menzionato per un ritratto di Carlo Emanuele I di Savoia. Nelle Rime (1587) un sonetto dei Grotteschi gli è intitolato: "Agosto Decio con Ferrante il figlio", e accostato a Nunzio Galizia e a Giulio Clovio, se pur con un giudizio d'inferiorità nei confronti di quest'ultimo. Il Morigia (1595) aggiunge una miniatura per Rodolfò d'Asburgo e la notizia che fu chiamato a Roma da papa Gregorio XIV (Niccolò Sfondrati di Somma Lombardo), insieme al figlio Ferrante, nell'anno del suo pontificato (1590).
Il lungo arco di attività, oltre che di vita, del miniatore non ha mancato di vita, del miniatore non ha mancato di stupire quanti si sono occupati di lui: mentre sono incontrovertibili, le notizie del Lomazzo e del Morigia sull'attività del D. a fine secolo, risulta alquanto ostico accettare che il Decio che si firma nei libri per Francesco II Sforza sia lo stesso artista. Certo si può pensare a un aggiornamento culturale continuato di cui ci manca la documentazione intermedia. Ma rimane aperta l'ipotesi che il miniatore sforzesco sia un altro della famiglia, di una generazione precedente (forse il padre o forse Giovanni Antonio?).
Ferrante, figlio di Agostino, è menzionato sempre come collaboratore del padre; insieme a lui si recò a Roma presso papa Gregorio XIV, ma ritornò a Milano alla morte dei pontefice (1591).
Fonti e Bibl.: G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura [1584], a cura di R. P. Ciardi, in Scritti sulle arti, II,Firenze 1974, pp. 379, 381; Id., Rime... divise in sette libri, Milano 1587, p. 113; F. P. Morigia, Nobiltà di Milano, Milano 1595, p. 283; F. Borromeo, Musaeum [1625], Milano 1909, pp. 19 s.; A. Santagostino, L'immortalità e gloria del pennello. Catalogo delle pitture insigni che stanno esposte al pubblico nella città di Milano [1671], a cura di M. Bona Castellotti, Milano 1980, p. 71; L. Malvezzi, Le glorie dell'arte lombarda, Milano 1882, p. 217; G. Mongeri-G. D'Adda, L'arte del minio nel ducato di Milano, in Arch. stor. lomb., XII (1885), p. 338; Guida sommaria per il visitatore della Bibl. Ambrosiana e delle collezioni annesse, Milano 1907, pp. 73, 140; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, Milano 1917, III, pp. 203-08, 224-27; A. Tornielli, I corali miniati di Vigevano, Milano 1946, pp. 6, 33, 44 ss., 49, 52, 55, 89, 97; G. Galbiati, Itinerario per il visitatore della Bibl. Ambrosiana, della Pinacoteca e dei monumenti annessi, Milano 1951, pp. 118, 133, 278; L. Castelfranchi Vegas, A proposito dei Decio miniatori lomb. del sec. XVI, in Commentari, III (1952), pp. 194 ss.; M. Harrsen-G. K. Boyce, Italian Manuscripts in the Pierpont Morgan Libr., New York 1953, pp. 56 s.; M. Salmi, La miniatura italiana, Milano 1956, p. 78; C. Santoro, I codici miniati della Biblioteca Trivulziana, Milano 1958, pp. 44 s.; P. Wescher, Francesco Binasco, Miniaturmaler der Sforza, in Jahrbuch der Berliner Museen, II (1960), p. 91; Schede Visme, II,Torino 1966, p. 400; M. Levi D'Ancona, The Wildenstein Collection of Illuminations. The Lombard School, Firenze 1970, p. 9; G. Bologna, Una racrolta miscell. dell'Arch. storico civico di Milano, in Arte lombarda, XVI (1971), pp. 157-67; Id., Miniature lombarde, Milano 1973, pp. 52, 92 s.; A. Novasconi, Le miniature di Lodi, Lodi 1976, pp. 61-66, 228-49; S. Pettenati, I Decio e i vetri églomisés, in Per Maria Cionini Visani. Scritti di amici, Torino 1977, pp. 48-51; G. Mariani Canova, Miniature dell'Italia settentrionale nella Fondazione Giorgio Cini, Venezia 1978, pp. 59-63; J. J. Alexander, Wallace Collection, Catalogue of Illuminated Manuscripts Cuttings, London 1980, pp. 44-49; Schede Vesme, IV, Torino 1982, p. 1246; S. Pettenati, I corali di Pio V, in Pio V e Santa Croce di Bosco, aspetti di una committenza papale (catal.), a cura di C. Spantigati-G. Ieni, Alessandria 1985, p. 173; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 518; E. Aeschlimann, Dictionnaire des miniaturistes..., Milano 1940, pp. 53 s.