CUSANI, Agostino
Della nobile famiglia dei marchesi di Somma, nacque a Milano il 20 ott. 1655 da Ottavio e Margherita Biglia. Compì gli studi nel Collegio Romano; laureatosi in utroque a Pavia, esercitò l'avvocatura a Milano. Presbitero il 2ag. 1682, ricevette gli ordini nel 1685 e, nello stesso anno, fu nominato protonotario apostolico. Da questo momento, grazie alla sua preparazione giuridica ed ai sempre più stretti rapporti con la Curia romana, il C. iniziò una rapida carriera nell'amministrazione dello Stato della Chiesa prima e nella diplomazia poi. Durante il pontificato di Innocenzo XI, fu nominato commissario alla Sanità, carica appositamente istituita per fronteggiare il pericolo della diffusione di una sospetta pestilenza dal Regno di Napoli. Anche sotto i pontefici successivi, il C. continuò a ricoprire importanti incarichi nella burocrazia papale: Alessandro VIII lo ammise fra i rnembri del Buon Governo, promuovendolo presidente della Camera apostolica il 5 genn. 1694; Innocenzo XII, il 20 sett. 1695, lo ascrisse fra i chierici della medesima Camera. Il 2 apr. 1696 fu creato vescovo di Amasya, titolo che mantenne fino al 14 ott. 1711, alla fine dello stesso rrese di aprile il papa lo inviò nunzio ordinario a Venezia, dove era internunzio G. A. Venturini. Prima di partire per Venezia, il 5 maggio, fu nominato assistente al soglio pontificio.
In un momento politico assai delicato, in cui i problemi posti dalla successione spagnola acuivano le tensioni fra i maggiori Stati europei, l'abilità diplomatica del C., a Venezia come in seguito a Parigi, risultò, alla prova dei fatti, assai scarsa. Durante la permanenza a Venezia, il C. si trovò a coordinare l'incerta politica pontificia nei confronti sia della Francia, sia di Venezia e dell'Impero. Nei primi mesi del 1701, l'ambasciatore francese card. C. d'Estrées giunse a Venezia con istruzioni segrete di Luigi XIV per assicurare la protezione francese alla Repubblica e per tentare di formare una lega di principi italiani contro l'Impero. Il C. non aveva ricevuto istruzioni in proposito, ma era stato solo invitato a riferire i progetti francesi al card. Paolucci, segretario di Stato di Clemente XI. Da Roma gli giungevano consigli di temporeggiare, di non prendere posizione su nessuna delle questioni determinanti, quali i rapporti, allora assai tesi, fra Roma e lo Stato sabaudo, per la cui soluzione era stata proposta al C. la mediazione francese. Le trattative con il cardinale d'Estrées fallirono e sfumò il progetto di una lega antimperiale fra gli Stati italiani, sebbene nel giugno 1701 non fossero mancate le pressioni sul C. da parte del card. Paolucci, soprattutto dopo che le truppe imperiali erano entrate nei territori pontifici.
Alcuni incidenti diplomatici, imputabili anche alla condotta superficiale del nunzio, contribuirono ad acuire la tensione fra Venezia e la S. Sede. Infatti, poiché l'ambasciatore veneto a Roma Erizzo non aveva comunicato al papa le tappe diplomatiche che dovevano portare alla costituzione della lega antimperiale, il C. a Venezia cercò di scavalcare l'autorità del Senato rivolgendosi direttamente al doge Alvise Mocenigo per ottenere la designazione di una persona con cui trattare e chiarire definitivamente la condotta dell'Erizzo nei confronti del papa. Il Senato, dopo questa mossa del C., accusò Clemente XI di essere stato troppo circospetto con l'ambasciatore veneziano, mentre il C. venne tacciato di superficialità e di eccessiva ed inopportuna loquacità. Nell'estate 1701, dopo l'occupazione di Ferrara da parte delle truppe imperiali, la posizione del nunzio dinanzi al Senato era già compromessa. Mentre, ancora nell'agosto, il C. riceveva da Paolucci istruzioni perché "con profondissimo segreto" si concludesse "un'opera il fine della quale altro non deve essere che liberare li, propri stati per una parte dal pericolo, per l'altra dall'attuale incommodo delle truppe straniere" (Rometti, p. 350), gli avvenimenti militari al Nord e la rivolta a Napoli compromisero definitivamente gli sforzi, per altro non molto decisi, di concludere una lega antimperiale.
Il C. restò a Venezia fino al 31 luglio 1706: il 29 maggio di quell'anno Ciemente XI lo aveva destinato nunzio ordinario in Francia, in sostituzione del card. Gualtieri.
Questi, prima della partenza da Parigi, aveva lasciato un'Istruzione in cui si enumeravano i principali problemi che il nuovo nunzio avrebbe dovuto affrontare, in un momento assai delicato per i rapporti fra Luigi XIV ed il papa. Non erano infatti mancati, dalla fine del XVII secolo, attriti per le questioni di confine fra il territorio papale di Avignone e la Provenza: "bene spesso", scriveva il Gualtieri, "succede che per attentati fatti dagli ufiziali francesi su la legazione di Avignone... nascano diffidenze. Bisognerà rappresentare in tal caso esattamente gli inconvenienti e richiamare la giustizia e pietà del Re, dalle quali si può sperare riparo et ordine più favorevole" (f. 172r). Gli attentati all'immunità ecclesiastica non venivano solo da ufficiali regi francesi, ma anche da parte del duca di Savoia che, nel territorio di Nizza, aveva preteso di assoggettare gli ecclesiastici alle "contribuzioni de pesi ordinarii e straordinarii" (ibid.). La questione del riconoscimento e del rispetto dell'immunità ecclesiastica, sia per le persone, sia per i patrimoni, era stata solo parzialmente affrontata e risolta: essa infatti venne a costituire, fra il 1708 ed il 1709, un ulteriore motivo di frizione fra la Francia e Roma, nel contesto dell'equilibrio europeo già logorato dalla guerra di successione spagnola. Ma, come aveva preannunziato il Gualtieri, il problema principale sarebbe stato, anche per il C., il giansenismo ed il gallicanesimo.
Con la nomina del C., giudicato "ardente e bellicoso" (Le Roy, p. 214), il papa sperava di imprimere la necessaria risolutezza alla politica nei confronti del gallicanesimo dell'Assemblea dei vescovi francesi e di Luigi XIV per poter affrontare in maniera più decisa l'eresia giansenista, dopo che nel 1705 era stata pubblicata la bolla Vineam Domini. Il C. non si mostrò tuttavia più risoluto e capace del suo predecessore.
Dopo che l'assemblea dei vescovi francesi ebbe pronunziato, in via cautelativa, le tre massime per il rispetto delle libertà gallicane, Clemente XI inviò in Francia due brevi. Nel primo, diretto a Luigi XIV, si affermava che i vescovi francesi dovevano ormai solo ubbidire ed eseguire, senza discutere e giudicare, i provvedimenti romani; nel secondo, inviato all'arcivescovo di Parigi Noailles, quale capo dell'Assemblea episcopale, si ribadiva che il solo giudizio in materia di fede e di prassi ecclesiastica spettava alla S. Sede. Il C. temette che presentare i due brevi, come insisteva il Paolucci, equivalesse a rompere i rapporti fra Roma e Parigi e che probabilmente egli stesso sarebbe stato immediatamente invitato ad allontanarsi dalla Francia. Adducendo diversi pretesti, lasciò quindi trascorrere sei mesi, mentre da Roma gli ordini di presentare le lettere pontificie diventavano sempre più pressanti; infine chiese al re il permesso di consegnare il breve a lui destinato, mentre avrebbe ancora differito la presentazione dell'altro, giudicandolo meno importante. Dopo che Luigi XIV acconsentì ad una comunicazione ufficiale dei due brevi, il C. fu ricevuto a corte dove gli furono restituite ambedue le lettere di Clemente XI per essere, quella rivolta al re, molto dura e offensiva, e l'altra, quella destinata ai vescovi, addirittura inutile, mentre gli fu ingiunto di non occuparsi di questo affare e di tenere segreti, frattanto, i testi dei brevi. Il nunzio, per timore di conseguenze per la sua persona, accettò, trovandosi così in aperto contrasto con le direttive impartitegli da Roma. Nella primavera del 1707, però, copie dei brevi furono diffuse in latino ed in francese: l'accusa di averli indebitamente propagati fu rivolta, in ambiente parigino, al nunzio, mentre da Roma furono incolpati i giansenisti, nel tentativo, forse, di proteggere il Cusani. Nel medesimo anno, per rimediare alle conseguenze causate da questo incidente diplomatico, il C. esercitò una forte pressione sul Noailles perché fosse posta fine alla "contumacia" delle monache dei convento di Port-Royal. Come aveva scritto il Gualtieri nella citata Istruzione, esse non avevano accolto la bolla Vineam Domini e "l'affare è di sommo rilievo, trattandosi della religione e potendo cagionare un pessimo essempio" (f. 17 1 v). D'intesa col Noailles, il C. ribadì le pene già comminate nella bolla contro Port-Royal, continuando a fare pressione sull'arcivescovo finché, nel novembre 1707, si arrivò all'interdetto contro l'abbazia ed alla dispersione delle monache.
Questo successo sul pericoloso centro giansenista sembrò restituire fiducia e autorità al C., la cui vita a Parigi veniva equamente divisa fra gli affari politici, la mondanità e la compagnia di una dama di Montaigu, giudicata però da Luigi XIV troppo loquace ed intrigante e fatta esiliare a Tulle per ordine regio. Quando, nell'ottobre 1708, si giunse ad una rottura dei rapporti fra il papa e l'imperatore Giuseppe I, la posizione del nunzio diventò nuovamente assai delicata.
Mentre la Curia attendeva ancora una mediazione ed un aiuto concreto da Luigi XIV, il C. dovette scontrarsi ripetutamente contro l'aperta resistenza del ministro della Guerra Chamillart e di altri esponenti francesi che protestarono contro lo scarso impegno militare pontificio e tacciarono Clemente XI di tradimento, accusandolo di patteggiamenti segreti con l'imperatore. Il C. si adoperò perché Luigi XIV ritirasse il divieto di procedere ad arruolamenti in Avignone e fosse permesso il libero transito delle truppe pontificie in territorio francese. Malgrado gli sforzi di agire concordemente col vicelegato di Avignone, il nunzio ricevette da Roma l'ordine di presentare, il 23 ott. 1708. un ultimatum. In esso si imponeva a Luigi XIV di inviare un contingente di dodicimila uomini in difesa del papa: solo con un effettivo appoggio francese sarebbe stato infatti possibile formare una lega di principi italiani contro Giuseppe I. Dopo la conclusione dell'accordo fra il papa e l'imperatore nel gennaio del 1709, il C. venne costretto a difendere a Versailles la critica posizione pontificia: con il riconoscimento di Carlo d'Asburgo come re di Spagna da parte di Clemente XI, egli temeva nuovamente di essere espulso da Parigi in seguito ad una inevitabile rottura fra il papa e la Francia. I ministri francesi chiedevano infatti, nel tentativo di salvare i rapporti fra i due Stati, che Clemente XI affermasse di esser stato costretto a riconoscere Carlo d'Asburgo contro la sua stessa volontà.
L'incertezza avuta dal nunzio in tutta la complessa vicenda diplomatica, la ostilità che gli mostrava apertamente il Noailles per la questione giansenista, indussero il papa ad inviare a Versailles mons. Alamanno Salviati come nunzio straordinario incaricato fra l'altro di sostituire, anche nelle trattative con il Noailles., il C., che "aveva apertamente mostrato a tutti la sua incapacità e la sua leggerezza" (Le Roy, p. 230). Il C., che il 14 ottobre 1711 era stato nominato vescovo di Pavia ed aveva incaricato il fratello Ottavio, abate del monastero benedettino di S. Simpliciano a Milano, di prendere temporaneo possesso della diocesi, si congedò personalmente il 24 nov. 1711, rimanendo però ancora a Parigi. E vecchio nunzio continuò ad essere assillato dalla questione giansenista, sulla quale tentò anche una mediazione attraverso Fénelon, considerato come l'ultima speranza per il trionfo dell'ortodossia cattolica in Francia.
Il 3 febbr. 1712, dopo un viaggio avventuroso durante il quale fu assalito da predoni, il C. prese possesso della nuova sede vescovile.
Il 18 maggio 1712 fu creato cardinale col titolo di S. Maria del Popolo. Durante i tredici anni di governo della diocesi pavese, il C. si trovò spesso in contrasto con i rappresentanti del governo austriaco i quali avevano già iniziato una politica apertamente volta a ridurre le immunità ed i privilegi ecclesiastici. Come si può desumere dal suo carteggio con il Paolucci, molto ricco fra il 1712 ed il 1724, non mancarono inoltre motivi di attrito fra le autorità religiose pavesi ed il vicino governo sabaudo, sempre in materia di riconoscimento e rispetto di immunità dei patrimoni ecclesiastici.
Destinato nel gennaio 1713 alla legazione di Bologna, il C. si recò per poco in quella città e mantenne comunque stretti legami con la sua diocesi, continuando ad occuparsi anche da Bologna di problemi amministrativi e giurisdizionali, nel tentativo di dirimere i contrasti sorti con l'autorità civile e demandati a Roma alla S. Congregazione per le Immunità. Il C. desiderava da Roma, come afferma in una lettera del settembre 1714, chiare istruzioni per una linea di condotta coerente nei confronti dei governo austriaco, lamentando esplicitamente la carenza di una precisa posizione politica pontificia su questi problemi. Lasciata definitivamente la legazione bolognese nel dicembre 1718, il C. incontrò privatamente nel suo palazzo milanese il principe governatore per preparare un futuro colloquio ufficiale con i rappresentanti pontifici. Nel 1720, mentre una risoluzione della Congregazione per le Immunità emanata due anni prima sembrava definitivamente salvaguardare la libertà e la giurisdizione ecclesiastiche nel Milanese, la politica austriaca rinnovò gli attacchi contro di essa, imponendo il giuramento di fedeltà per le terre e i feudi donati dalla Chiesa a titolo oneroso. Il C., pur chiedendo istruzioni a Roma, affermava "che non sarà senza dubio se non con forti minacce per obbligarmi a tal giuramento", giustificando la sua resistenza nel contesto della più generale opposizione espressa da tutto il clero milanese.
Le difficoltà nel governo della diocesi furono soprattutto segnate. fra il 1720ed il 1724, dai contrasti con i rettori e con gli studenti ospiti del collegio Ghislieri. Il C. denunziava a Roma "quanto si pratica dentro e fuori del Collegio", affermando che "non vi è eccesso che li collegiali non commettino e che non ne vedino impuniti senza castigo né del vescovo, né del rettore" (Lettere..., V, 84,f. 110r): il collegio era divenuto un centro di opposizione e di scherno della Curia ed in particolare della persona del vescovo.
Il C., già nel settembre 1720, proprio per l'amarezza suscitata da contrasti che non riusciva più a dominare, aveva esplicitamente chiesto al papa di poter rinunziare alla diocesi di Pavia ed invitava il Paolucci a cercare "un soggetto di maggiore abilità" per difendere i diritti della Chiesa locale. La sua speranza. espressa in una lettera al segretario di Stato, era di poter vivere a Roma. Questa veniva però ancora delusa. Il 31 ag. 1721 consacrò a Pavia la chiesa di S. Francesco di Paola; il 28 settembre celebrò l'elevazione di sette corpi santi esistenti nella basilica dei SS. Gervaso e Protaso. Il 12 luglio 1724, dopo aver pubblicato il giubileo universale per l'imminente anno santo, rinunziò alla diocesi pavese nelle mani dei neo eletto Benedetto XIII, al cui conclave il C. aveva partecipato, senza però appoggiare la candidatura dell'Orsini. Nell'aprile 1725 compì un ultimo soggiorno a Roma; fu ricevuto dal papa al quale raccomandò la promozione di mons. Serbelloni, legato di Ferrara, all'Inquisizione di Malta. Per le ormai precarie condizioni di salute, non partecipò al conclave per l'elezione di Clemente XII. Ritiratosi a Milano, vi morì di apoplessia il 28 dic. 1730. Fu sepolto nella chiesa delle cappuccine di S. Prassede.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Fondo Albani, 121, t. VIII; Ibid., Nunz. di Francia, dal n. 218 al n. 224: lettere del C., alcune delle quali in cifra, dal 3 genn. 1707 al 26 dic. 1712; Ibid., Lett. di cardinali. 76, f. 564; 77, ff. 405, 547, 592, 713; 80, ff. 235-36, 254, 345, 355; 81, f. 245; 82, f. 99; 83, ff. 76-77, 161-162; 84, ff. 66-69, 110-111, 182; 89, ff. 204, 546, 676; 90. f. 93; Ibid., Diocesi di Pavia. 88, f. 69; Ibid., Legazione di Bologna, 93. ff. 2-418: lettere dei card. Casoni e C. dal 4 genn. 1713 al 4 dic. 1715; 94, ff. 1-463: lettere del C. dal 16 febbr. 1716 al 10 dic. 1718; Bibl. Ap. Vat., Ottob. lat. 3144, ff. 169r-172v: Istruzione sovra gli affari della nunziatura di Francia lasciata dal card. Gualtieri a mons. Cusani suo successore; A. Cerruti. La nunziatura veneta di monsignor A. C. ..., in Arch. stor. lomb., III (1876), pp. 29-71, 182-250, 377-447; J. Basnage, L'état présent de l'Eglise gallicane. contenant divers cas de conocsence sur ses divisions, avec un examen critique dei erreurs et de la conduite de Clement XI, Amsterdarn 1719, p. 182; F. Fénelon de Salignac de la Mothe, Correspondance, VIII, Paris 1829, pp. 107, 118; Ph. Argellati. Bibl. script. Mediol., I, 2, Mediolani 1745, coll. 536 s.; F. A. Marroni, De Ecclesia et episcopis Papiens. comment., Romae 1757, pp. 49 s.; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinali della S. R. C., VIII, Roma 1794, p. 121; G. Carsoni, Notizie risguardanti la città di Pavia, Pavia 1876, p. 234; A. Le Roy, Le gallicanisme au XVIII siècle. La France et Rome de 1700 à 1715, Paris 1891, ad Indicem; F. Magani, Cronotassi dei vescovi di Pavia, Pavia 1894, pp. 105 s.; F. Pometti, Studii sul pontificato di Clemente XI(1700-1721), in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XXI (1898), pp. 340-351; L. Karttunen, Les nonciatures apostol. perman. de 1650 à 1800, Genève 1912, pp. 80, 100, 241; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, ad Indicem; H. Kramer, Habsburg und Rom in den Jahren 1708-1709, Innsbruck 1936, pp. 46-51 e 106-111; J. Orcibal, Fénelon et la court romaine(1700-1715), in Mélanges d'archéologie et d'histoire, LVII (1940), p. 296 e n. 3; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica mediiet recentioris aevi, V, Patavii 1952, pp. 80, 306.