CIAMPELLI, Agostino
Nacque a Firenze il 29 ag. 1565 da Andrea di Lorenzo calzoláio (Firenze, Archivio di S. Maria del Fiore, Libro dei Battesimi, 1560-70, c. 13).
La sua educazione giovanile si svolse nell'ambito della riforma antimanieristica di Santi di Tito, che mimva a ilina semplificazione formale del repertorio tardomanieristico, a una maggior aderenza alla realtà nei suoi aspetti più limili e quotidiani. Il C. fece proprie queste teorie alla scuola dei Titi, presso la quale fu messo a studiare, esercitandosi a lungo nel disegno dal vero con l'intento di riallacciarsi alla grande tradizione cinquecentesca fiorentina di fra' Bartolomeo f. Andrea del Sarto, per i quali il disegno era alla base della pittura. La sua prima attività si svolse nell'ambito della corte medicea: nel 1586 egli dipinse, su disegno del Ligozzi, il fregio con "uccelli, pesci, sassi, nichi "che correva lungo lo zoccolo della tribuna degli Uffizi, distrutto nel Settecento (Heikamp, 1963, p. 245) e, sempre nella tribuna, la decorazione nel sottarco che inquadrava lo studiolo del Buontalenti (Arch. di Stato di Firenze, Guardaroba Mediceo, vol. 112, cc. 184, 203, 207v, 217, 220, 224). I documenti hanno rivelato che nel 1588 il C. eseguì anche cinque disegni per tavoli di marmo da realizzare in pietre dure (ibid., vol. 181, c. 25). Nel 1589, in occasione dell'addobbo di Firenze per le nozze di Ferdinando I e Cristina di Lorena, al C., ufficialmente compreso nell'ambito della scuola di Santi di Tito, fu commissionata la scena del Duca di Guisa che assale Calais al Canto dei Camesecchi (R. Gualtierotti, Descrizione del regale apparato per le nozze..., Firenze 1589). La nota fissa che caratterizzò l'attività del pittore fu una stretta aderenza ai modi del maestro, che gli riconobbe anche il Lanzi; ciò appare evidente sin dalle sue prime opere quali la Chiamata dis. Andrea nella sacrestia del duomo di Pescia, o la Visitazione con le due tele laterali raffiguranti S. Michele Arcangelo e S. Sebastiano in ss. Stefano e Nicolao sempre a Pescia. In quest'opera il colore si mantiene su toni scuri e fumosi che risentono direttamente del cromatismo più denso importato da Venezia a Firenze dal Passignano nel 1589, chiuso entro schemi disegnativi toscani, ravvivato da qualche lucentezza nei particolari di stoffe preziose veronesiane. Le stesse caratteristiche tornano nella Natività della Vergine in S. Michelino Visdomini a Firenze del 1593, dove il pittore ricrea un modesto interno borghese ricco di quell'intimità domestica tanto cara a Santi di Tito. Risale a questo periodo l'affresco del palazzo Corsi, già Tornabuoni, del fregio nello stanzino di Alessandro de' Medici allora arcivescovo di Firenze, con le Storie di Ester e Assuero (Ginori Lisci, 1972), e con un motivo decorativo di putti che sostengono lo stemma del cardinale: fu questa probabilmente la prima opera su commissione del prelato, che presto chiamerà l'artista a Roma, garantendogli una continua protezione neIrambiente romano. Verso la fine dell'anno 1594 il C. lasciò Firenze per stabilirsi definitivamente a Roma: la data della sua partenza si ricava dai Registri dell'Accademia del disegno, della quale era stato console nel 1592 (Arch. di Stato di Firenze, Registri dell'Accademia d. disegno, vol. 26, c. 59v), dove il 9 ott. 1594 è annoverata un'entrata del camerlengo Cosimo Gani berucci in sostituzione del Ciampelli. Il pittore fu chiamato a Roma insieme con Giovanni Balducci dal cardinal de' Medici, che lo ospitò nel suo palazzo a Trinità de' Monti in un rapporto definito "servitù particolare" (Haskell, 1966, p. 30) e lo utilizzò nella decorazione della chiesa di S. Prassede: il prelato era stato creato cardinale del titolo di S. Prassede proprio nel 1594 (Cristofori, 1888, p. 63). Qui infatti egli dipinse il bel quadro con S. Giovanni Gualberto (in sacrestia), firmato e datato 1594, a ragione ritenuto la sua opera più felice (Zeri, 1957, p. 59); affrescò l'Ecce Homo nella navata destra f. la Cena di Betania nel refettorio del convento (oltre ad una Madonna col Bambino sopra la porta della sacrestia e un Angelo custode sopra l'acquasantiera, oggi scomparsi).
Il Baglione afferma che il C. aveva portato con sé da Firenze un quadro con le Nozze di Cana, oggi perduto, ma di cui restano il modello al Louvre (n. 1057: Thiem, 1971, fig. 4) e numerosi disegni preparatori per le figure dei servi agli Uffizi (Prosperi Valenti Rodinò, 1979, nn. 32-39): l'opera, esposta al pubblico, fu molto lodata nell'ambiente artistico romano, perché, nell'atmosfera intellettualistica del tardomanierismo romano, il finguaggio accostante del fiorentino risuonava come una voce più accessibile al popolo, secondo i dettami della Controriforma. La prima affermazione ufficiale del C. si ebbe nel 1596-97 quando fu chiamato a dipingere le Cinque storie dell'Apocalisse nel battistero lateranense (Lauer, 1911; A. M. Corbo, in Commentari, XXI [1970], pp. 141 s.), gli Evangelisti nell'arco trionfale di S. Giovanni in Laterano e la Tortura di s. Clemente e il Miracolo dell'acqua nella sacrestia della basilica, in occasione del rinnovamento dell'edificio promosso da papa Clemente VIII per il giubileo del 1600 (Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Fabbriche 1524, cc. 27, 255). Gli affreschi del Laterano lo presentano in stretto rapporto con la pittura tardomanieristica romana in certe esuberanze formali che ricordano Federico Zuccari e Nicolò Pomarancio; ma resteranno un episodio isolato nella sua lunga attività artistica, perché già nell'Annunciazione, dipinta a Roma nel 1597 e inviata ai padri ottimati di Reggio Calabria (M. P. Di Dario Guida., Arte in Calabria..., Cosenza 1976, n. 49), torna nella composizione uno schema semplificato alla Santi di Tito. Solo l'impianto delle figure ha assunto una monumentalità maggiore di quella del maestro, quale si ritrova negli Angeli che reggono i misteri della Vergine affrescati nel 1600 nel coro di S. Maria in Trastevere su commissione di Alessandro de' Medici, nominato quell'anno cardinale del titolo di quella chiesa (Cristofori, 1888, p. 81). Dal 1600 al 1603 circa il C. fu impegnato in decorazioni per fabbriche gesuitiche insieme con il fiorentino Andrea Commodi: nella tribuna della chiesa dei novizi in S. Vitale, dove affrescò la Tortura e il Martirio del santo (per la nuova cronologia, generalmente fissata al 1595, vedi Prosperi Valenti Rodinò. 1979, n. 41, pp. 66-68) e nella chiesa madre del Gesù dove decorò la cappellina di S. Andrea (Hibbard, 1972, pp. 29 ss.), la volta della sacrestia e la cripta sotto l'altar maggiore, quett'ultima distrutta nel XIX secolo Tecchiai, 1952; Strinati, 1979).
L'essere richiesto dai gesuiti, che erano considerati i propugnatori della Controriforma in campo artistico, veniva a sottolineare ancor più la capacità del C. nel divulgare in forme semplificate il messaggio sacro, in perfetta adesione al programma propedeutico voluto dalla Controriforma. Anche l'iconografia della cappella rientra in questo programma didattico, perché vi sono istoriate scene di martiri con lo scopo di ammaestrare il riguardante: il Martirio di s. Lorenzo e di S. Stefano nelle pareti laterali, quello di S. Agnese e di S. Caterina d'Alessandria nelle lunette in alto e l'Incoronazione della Vergine tra i ss. vescovi nella volta. Nei primi due affreschi il pittore mostra una ricerca di compostezza e linearità nello svolgimento della scena su un solo piano, un'esigenza di accentramento dell'episodio principale, che testimonia come l'impennata manieristica di S. Vitale e del Laterano sia ormai superata a favore di un'impostazione di preclassicismo. Questo nuovo indirizzo non rimase lettera morta a Roma, perché artisti come il Baglione e il Vanni hanno risentito del classicismo primitivo presente nei pittori toscani della fine del XVI sec., quali il Cigoli e il Ciampelli. L'affresco della sacrestia dei Gesù invece, che svolge il dotto tema teologico dell'Adorazione dell'Eucarestia con citazioni patristiche, probabilmente suggerite dai gesuiti stessi, si svolge su piani sovrapposti f. rivela l'incapacità dell'artista di creare un'unità spaziale, caratteristica comune a tutto il tardomanierismo.
Il C. sembro aver raggiunto il momento di massima affermazione a Roma nel 1605, quando il suo protettore Alessandro de Medici fu eletto papa Leone XI. Difatti il nuovo pontefice, per cui aveva già dipinto una tela con Sante martiri in S. Agnese fuori le Mura, gli commissionò la pala d'altare con Cristo che appare a s. Martino per la chiesetta di S. Martinello alla Pietà (dal 1746 trasferita in S. Maria del Pianto), due tele con Cristo al Limbo e l'Entrata in Gerusalemme per la chiesetta della Trinità delle Monache a Napoli, oggi l'una in S. Pietro ad Aram, l'altra in ss. Severino e Sossio, ed i perduti affreschi nel palazzo ex Santacroce alla Pietà. Ma venti giorni dopo essere stato eletto papa, Leone XI morì ed il C. vide che la sua sperata posizione di privilegio veniva a crollare, mentre si affermavano a Roma i due càpiscuola della pittura fiorentina Cigoli e Passignano, giunti proprio in quegli anni, cui andarono le più importanti commissioni del periodo: in S. Maria Maggiore e in S. Pietro.
Fu probabilmente intorno al secondo decennio del secolo che il C. dovette realizzare un importante ciclo decorativo nella villa del cardinale Acquaviva a Frascati, ora villa Grazioli, di recente individuato da Alma Tantillo Mignosi (1980).
Le quattro sale affrescate dal C. illustrano, la prima il Giorno con il carro del Sole e scene di vita campestre; l'altra, forse un'Aurora con altre figure, molto rovinate; fra le due la galleria con putti in volo su un cielo definito ai margini da una pergola di rose (probabile collaborazione fra il C. e AgostinoTassi); ed infine nell'ultima stanza varie figure femminili allegoriche con putti che sorreggono gli stemmi Acquaviva e Carafa, proprietari della villa.
Intorno al secondo decennio del secolo il C. intensificò i rapporti con l'ambiente toscano. Nel 1610 entrava di nuovo a far parte dell'Accademia di Firenze (Arch. di Stato di Firenze, Registri dell'Acc. del dis., vol. CXXIV., c. 35). Ma già nel 1608 era entrato a Roma nella Arciconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini (Roma, Arch. dell'Arciconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini, vol. 300, cc. 118 ss.), il che gli procurò la commissione di opere per la chiesa della nazione: la Morte di s. Antonio (1612), un'Assunta, perduta, ma di cui restano i due laterali con S. Anna e S. Giuseppe, ed infine la decorazione della cappella della Vergine, affrescata nel 1614 con un ricco repertorio iconografico inneggiante alla verginità di Maria.
In queste opere e nel Battesimo di Cristo della Galleria Corsini a Firenze, attribuito da sempre a Santi di Tito ma restituito al C. dal Briganti (1938), si nota un ampliarsi delle forme e un sobrio disporsi delle figure nello spazio, che risentono delle posizioni classicistiche assunte dal Cigoli nei suoi ultimi anni. Gli stessi caratteri distinguono le Esequie dì Michelangelo, inviate nel 1617a Firenze per la Galleria Buonarroti e la Distruzione degli idoli dipinta a Roma nel 1618einviata al monastero di S. Bartolomeo a Borgo Sansepolcro, oggi nella Pinacoteca di questa città.
Morto il Cigoli nel 1613, partiti il Passignano e quasi tutti gli altri pittori toscani, il C. poteva riaffermare la sua posizione di fiorentino a Roma: dal febbraio 1623 al febbraio del 1624 fu eletto principe dell'Accademia di S. Luca (Pirotta, 1970, pp. 16-20), e nel 1624, con l'appoggio dei fratelli Sacchetti, toscani anche essi, gli fu commissionata tutta la decorazione della chiesetta di S. Bibiana (Pollack, 1928, p. 28), la prima opera di restauro intrapresa da Urbano VIII Barberini appena eletto papa.
Il C. eseguì nella chiesetta soltanto gli affreschi raffiguranti: S. Bibiana giace insepolta, la Sepoltura della santa, S. Olimpia fa edificare la chiesa, gli Angeli musicanti ai lati della porta e una tela con S. Demetria terminata nel 1626perché in un secondo momento gli fu affiancato, per la pressione dei Sacchetti e del cardinal Francesco Barberini, il giovane Pietro da Cortona, cui si deve la decorazione della navata sinistra. In questa opera, da considerare il suo capolavoro, il C. mostra di non essere insensibile alla lezione classicistica del Domenichino, in particolare negli affteschi di Grottaferrata, e di aderire al modo di porgere le storie sacre in forme umane e accostanti del pittore bolognese, che doveva sentire particolarmente vicine alla sua educazione riformata fiorentina. Mentre lavorava, in S. Bibiana, egli eseguì varie opere per Urbano VIII, di cui ci resta testimonianza nei documenti: una Natività di Nostro Signore su rame e cinque storie nella cappella segreta di Nostro Signore nel palazzo vaticano (Pollack, 1928, pp. 376, 391), oggi disperse. Nel 1628dipinse un Ritratto di Urbano VIII, conservato nella quadreria Barberini, dove era anche un quadretto con un suo disegno a penna raffigurante un'Annunciazione (M. Aronberg Lavin, Seventeenth-Century Barberini documents..., New York 1975 pp. 10, 222).
Sui palchi di S. Bibiana strinse amicizia con il Bernini, che godeva già a quel tempo di una posizione di rilievo alla corte pontificia. Con ogni probabilità il pittore si servì di questo appoggio per ottenere l'ambita commissione del quadro raffigurante i ss. Simone e Giuda Taddeo per la basilica di S. Pietro (oggi nei depositi del Museo Petriano: Prosperi Valenti, 1972) assegnatogli nella congregazione del 1627 (Pollack, 1931, pp. 81, 584) e portato a termine nel 1629, un'opera disarmonica nell'insierne e che documenta una involuzione nello sviluppo artistico del pittore. In questi anni egli ebbe numerosi incarichi: l'Arciconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini lo chiamò per eseguire l'addobbo della chiesa in occasione del trasporto dello stendardo di S. Andrea Corsini il 5 giugno 1629 (Roma, Arch. dell'Arciconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini, vol. 302, c. 59) e infine il 12 novembre fu nominato soprastante della Fabbrica di S. Pietro accanto al Bernini (Pollack, 1931). Nel breve periodo in cui ricoprì la carica, presiedette al trasferimento del mosaico della Navicella di Giotto e alle numerose imprese promosse da papa Urbano VIII in S. Pietro (ibid.); gli vennero commissionati i cartoni per i mosaici della cupola della cappella della Madonna e la decorazione delle grotte vaticane sotto le quattro statue intorno al baldacchino. Ma il C., ormai stanco e affaticato, non poté portare a termine questi lavori: morì infatti a Roma il 22 aprile dell'anno 1630 (Roma, Archivio storico dei Vicariato, Liber 4 s Defunctorum Parrochialis Ecclesie S. Iovanni Baptistae Florentinorum 1626-1716, c. 16), dopo aver steso (il 18 aprile) un testamento sottoscritto dal Bernini, dal Borromini e dallo scultore toscano Andrea Bolgi (M. Del Piazzo, Schede Borrominiane, in Commentari, XIX[1968], p. 234).
Un aspetto molto rilevante dell'opera del C. è la sua attività grafica, di cui rimangono numerosi esempi agli Uffizi e al Louvre, provenienti dalla collezione Baldinucci; altri fogli al Gabinetto nazionale delle stampe di Roma (Prosperi Valenti Rodinò, 1977, nn. 65-69), all'Ashmolean Museum di Oxford (Parker, 1956, p. 430), al Musée de Peinture et de Sculpture di Grenoble (Voss, 1920, p. 391), al Musée des Beaux-Arts di 0rleans (Prosperi Valenti, 1973, fig. 22), al Museo di Sacramento in California (Vitzthum, 19701 n. 84) e al Metropolitan Museum di New York; non sono invece suoi i disegni a lui attribuiti nel Museo Wicar a Lilla, all'Albertina di Vienna e i fogli della Pierpont Morgan Library di New York e della Collezione Agnes Mongan a Cambridge, assegnatigli dalla Thiem (1977). Il Baglione (1642) ricorda un "libretto ove in piccolo havea, con acquarello, colorite tutte le opere, che in sua vita havea dipinte", oggi disperso o non ancora rintracciato. Sono da ricordare infine i suoi modelli per l'incisore francese Philippe Thomassin, la prima pagina del Missarum liber diFrancesco Suriani (1609), il S. Gregorio Magno ela Tortura di s. Giovanni Evangelista (Prosperi Valenti, 1971, figg. 25-28).
Per un'errata lettura della firma del C. nel quadro di S. Michele Visdomini a Firenze da parte del Richa (Notizie istoriche delle chiese fiorentine..., VII, Firenze 1758, p. 24), il C. fu confuso con un Antonio Ciampelli, al quale inesistente pittore il Thieme-Becker (V, p. 561) dedicò una voce.
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