CHIGI ALBANI, Agostino
Nacque a Roma, da Sigismondo Chigi principe di Farnese e da Flaminia Odescalchi, il 16 maggio 1771, terzogenito dopo due femmine: Eleonora e Virginia.
La madre era morta dando alla luce il C., che era nato con un grave difetto: era "stroppiato, avendo li piedi rivoltati, talmente che dovrà camminare con il malleolo invece delle piante" (da una lettera di mons. Giorgio d'Adda del 19 dic. 1772, cfr F. Calvi, pp. 348 s.); soltanto alcuni anni dopo venne operato con successo dal chirurgo Marcucci di Lucca.
Inviato a studiare a Siena nel collegio Tolomei, retto dai padri scolopi, nel 1780 (non bisogna dimenticare che Siena era il luogo originario della famiglia Chigi), il C. vi rimase per dieci anni ricevendo un'istruzione accurata e aperta, dalle materie letterarie alla filosofia alle scienze fisiche e matematiche. Della sua perizia in quest'ultimo campo dette prova sostenendo pubblicamente delle tesi di fisica, De respiratione... (Senis 1788), cui era unita un'esercitazione di calcolo infinitesimale. Diciassettenne, egli era stato già ascritto all'Accademia degli Innominati di Siena.
Nel 1790 il C., in seguito al processo intentato contro suo padre per l'accusa di tentato veneficio contro il cardinale Carandini e che si era concluso con la condanna all'esilio e con la confisca dei beni del principe, fu costretto a ritornare a Roma per cercare di tutelare nel migliore dei modi i suoi interessi. Perciò l'inizio della sua vita pubblica romana non fu dei più felici: poté ottenere qualche successo in campo letterario con la nomina a pastore arcade con il nome di Teonte Euroteo (14maggio 1791) e l'accoglimento nella colonia arcadica Velina (10 ott. 1792); ma nonostante le molte suppliche al pontefice, soltanto dopo la morte del padre (avvenuta a Padova nel 1793) riuscì a entrare in possesso del patrimonio familiare. Venne allora investito del titolo feudale di principe di Farnese ed ebbe da Pio VI la dignità di maresciallo perpetuo di Santa Romana Chiesa e di custode del conclave (4 giugno 1793). L'eredità patrimoniale era ingentissima e valutata ad oltre due milioni e mezzo di scudi tra immobili, titoli di credito, bestiame e grano, e comportante un reddito annuo di oltre 58.000 scudi.
La proprietà fondiaria comprendeva le terre di Farnese, Ariccia, Formello, Campagnano, Sacrofano, Cesano, Magliano Pecorareccio, le tenute della Casaccia, della Cacciarella, di Campo Leone, dell'Olgiata e di Castelfusano, oltre ad alcune vigne. La proprietà mobiliare era costituita in gran parte da luoghi di Monte (scudi 179.716,75 impiegati al 2,95%) e da lettere di cambio (252.941,57scudi impiegati al tasso medio del 3,8%), che complessivamente fornivano il 23,72% del reddito globale, che dipendeva quindi in prevalenza (ma non esclusivamente) dalla rendita fondiaria.
Nel 1794 il C. sposò Amalia Carlotta Barberini dalla quale ebbe dodici figli: Francesco, Alessandro, Sigismondo, Laura, Giulia, Francesco, Costanza, Augusto, Flavio, Flaminia, Giovanni, Giustina. Principe del Sacro Romano Impero per diritto di primogenitura, il 24 giugno 1794 il C. ricevette dall'imperatore la chiave di ciambellano.
Amante degli studi scientifici, ma soprattutto letterari e artistici, egli frequentò assiduamente i circoli e i salotti culturali di Roma: il suo palazzo stesso fu aperto a poeti e letterati nei ricevimenti del giovedì e della domenica di cui fu assiduo frequentatore il Monti; il C. intervenne spesso alla conversazione erudita che si adunava in casa di Maria Pizzelli Cuccovilla, ove convenivano il Monti, E. Q. Visconti, A. Canova, F. M. Renazzi, A. Kaufmann, J. Andrés, R. Cunich, B. Stay, Serassi e di cui furono ospiti anche Goethe, il Baretti, la Saluzzo Roero.
Attiva fu in quel periodo la sua presenza in Arcadia: il marzo 1794 recitò delle stanze in onore di Amarilli Etrusca (Adunanza tenuta dagli Arcadi il dì 2 marzo 1794,giorno in cui fu collocato nella sala del Serbatoio il ritratto di Amarilli Etrusca,sig.ra Teresa Bandettini, Roma 1794, pp. 23 ss.); il 14 dic. 1794 recitò un'ode (Adunanza tenuta dagli Arcadi il dì 24 decembre 1794 per l'acclamazione fra le pastorelle d'Arcadia di S. E. la sig.ra Principessa Donna Amalia Carlotta Barberini Chigi, Roma 1795, pp. 57 ss.); nel 1795 pronunciò l'Elogio accademico per l'abate Raimondo Cunich. Il 12 maggio 1794 fu ascritto all'Accademia dei Forti e l'11 settembre a quella delle Belle Arti di Firenze.
Nel periodo seguito all'armistizio di Bologna, che produsse a Roma un'eccitata atmosfera di animosità antifrancese e controrivoluzionaria, il C., come altri nobili, non lesinò contributi in denaro per la preparazione della difesa armata contro le truppe del Direttorio: egli stesso il 25 sett. 1796 fu nominato tenente colonnello del I battaglione della truppa civica, carica che ebbe un semplice valore onorifico come del resto l'altra, attribuitagli il 1º dic. 1797, di deputato di una delle congregazioni economiche incaricate di suggerire piani di riforma. Il 27 genn. 1798 venne nominato ad interim ministro di Toscana a Roma in sostituzione di Luigi Angiolini, cosicché, entrate nella città le truppe del Berthier, innalzate sul suo palazzo le insegne granducali, egli si rifiutò di accogliervi come ospiti degli ufficiali francesi. In compenso il C., che mantenne l'incarico diplomatico fino al marzo, evitò accuratamente ogni gesto contrario al nuovo governo "giacobino" e tentò già il 21 febbraio di ottenerne le simpatie offrendo come dono alla Repubblica 400 colonnati.
Questo atteggiamento filogovernativo, ostentato in varie occasioni (il 16 marzo un abate di casa Colonna esclamava: "Il principe Agostino Chigi pare si sia impazzito; sta facendo il giacobino a Farnese; che voglia diventare console lui pure?": cfr. Silvagni, I, p. 479), gli tornò utile per difendere il proprio patrimonio; ad esempio contro la blanda azione riformatrice della municipalità di Ariccia ottenne ai primi di marzo un rescritto del ministro della Giustizia che ordinava il rispetto di tutte le proprietà del principe, tanto che questi poté impedire addirittura alla municipalità e al "pubblico generale Consiglio dei padri di famiglia" di radunarsi nel palazzo Chigi di Ariccia (Lefevre, La rivoluzione, p. 500).
Dovette in cambio pagare salate contribuzioni ai Francesi; e il 24 nov. 1798, alla vigilia dell'ingresso in Roma delle truppe napoletane del gen. Mack, insieme ad altri nobili e a prelati fu rinchiuso come ostaggio nell'ex convento delle Convertite, sfuggendo poco dopo a una nuova reclusione in Castel Sant'Angelo nascondendosi in casa. Caduta la Repubblica e nominato dal governo provvisorio napoletano deputato sopra la Grascia, il 17 ott. 1799 ottenne il permesso di partire per Venezia per esercitare il suo ufficio di custode e maresciallo del conclave. Soggiornò a Venezia dal 31 ott. 1799 al 31 marzo 1800, poi rientrò a Roma il 30 aprile dopo varie soste a Padova, Vicenza, Verona, Mantova, Modena, Bologna, Firenze, Siena, spesso ospite della nobiltà locale, sempre attento osservatore di monumenti e opere d'arte, assiduo frequentatore di tavoli da gioco, balli e teatri (cfr. G. Incisa della Rocchetta, Il conclave..., pp. 308-22).
Con la restaurazione del governo pontificio, il C. accentuò il tono brillante impresso alla sua vita privata: a palazzo Chigi si aprì uno dei salotti più frequentati dall'aristocrazia romana per riunioni culturali, conversazioni, serate di gioco e di ballo. Nel carnevale del 1805, dando prova di notevole gusto coreografico, ideava due splendide mascherate rappresentanti il Concilio e il Convito degli dei per le nozze di Amore e Psiche.
In Arcadia egli recitava degli Sciolti in lode del defunto card. Gerdil (8 genn. 1804), un Elogio di V. Alfieri (18 giugno 1804), delle Ottave in onore del defunto card. S. Borgia (15 sett. 1805), un'anacreontica per la rappresentazione della Zaira di Voltaire (27febbr. 1806), un sonetto in onore dei ss. Pietro e Paolo (12 luglio 1807; pubblicato a Roma nel 1824), un'ode (29 nov. 1807) nell'Accademia poetica in sette lingue per la morte di Maria Pizzelli nata Cuccovilla fra i poeti Lida..., Roma 1808 (pp. 31 ss.), delle ottave sulla passione di Cristo (15 apr. 1808).
A qualche civettuola apertura verso la cultura laico-illuministica faceva da pendant un radicato rispetto della tradizione cattolica nei suoi risvolti più formali ed esteriori. Sul piano politico il C. cercava pure di ostentare una certa modernità di vedute: amico del cardinale Consalvi, che spesso era suo ospite, ne approvava la linea di governo contro l'opposizione aspra degli "zelanti".
Con la seconda occupazione francese di Roma (febbraio 1808) seguita dalla deportazione di Pio VII (luglio 1809), il C. collaborò attivamente con il nuovo regime, pur mantenendo buoni rapporti con ambienti e uomini rimasti fedeli al papa.
Egli fu nominato il 1º ag. 1809 senatore di Roma, il 16 apr. 1810 membro del Consiglio municipale di Roma, il 30 ag. 1810 del Consiglio di amministrazione del debito pubblico degli Stati romani, il 5 sett. 1810 del comitato di vaccinazione, il 19 ott. 1810 della Commissione per il miglioramento dell'agricoltura nell'Argo romano, il 6 nov. 1811 del Bureau consultivo dell'amministrazione delle Acque di Trevi, Paola e Felice, il 10 genn. 1812 presidente del collegio elettorale del circondario di Roma, il 10 giugno 1812 membro della commissione per le assegne e i diritti delle prelature, il 20 sett. 1812 del Consiglio generale del dipartimento del Tevere (di cui fu presidente nel 1813), dal 1812 vicepresidente della Commissione degli ospedali; il 31 ag. 1811 era stato nominato conte dell'Impero.
Occupata per breve tempo Roma dalle truppe del Murat, il C. fu nominato prefetto di Roma (24 genn. 1814) e grande dignitario del R. Ordine delle Due Sicilie (28 gennaio); il suo nome appare poi tra i firmatari di una petizione al congresso di Vienna per ottenere un governo soggetto al Murat. Restaurato lo Stato pontificio, egli si ritirò dagli uffici pubblici (conservò soltanto l'antica carica di deputato della Grascia) e grazie all'amicizia con il Consalvi non subì alcuna molestia per l'appoggio fornito al regime napoleonico; si dedicò con nuovo fervore agli studi letterari: frequentava il salotto dell'avvocato Bompiani, presso S. Maria della Pace, ove il 20 febbr. 1815 lesse una Dissertazione sulle leggi emanate sotto l'impero di Vespasiano, e le riunioni dell'Accademia Tiberina e dell'Arcadia, in cui recitava spesso versi e ragionamenti (tra tutti merita segnalare Gli usi di Roma in occasione del S. Natale, letto l'8 dic. 1821 nell'Accademia Tiberina); nel 1817 portava a compimento un'epitome dell'Orlando furioso dell'Ariosto; dal 22 marzo 1817 fu socio onorario dell'Accademia romana di archeologia. Il 9 giugno 1819 veniva nominato consigliere intimo dell'imperatore.
Nel palazzo di piazza Colonna, che era sempre meta d'obbligo per i visitatori italiani e stranieri (nel dicembre 1827 vi fu Stendhal che ammirò "alcune buone statue greche e cinque o sei quadri del Carracci, Tiziano e Guercino": Passeggiate romane, II, Firenze 1956, p. 21), la vita sera fatta più pacata, lontana dallo sfarzo festaiolo dei decenni precedenti: la situazione finanziaria del C., incapace di amministrare fruttuosamente il vasto patrimonio, si era fatta meno brillante tanto da costringerlo a cedere alla Camera apostolica il 17 settembre 1825 per 120.000 scudi l'ex feudo di Farnese, mantenendo il titolo principesco trasmissibile ai primogeniti.
Nel 1825 il C. divenne presidente del collegio per la filologia dell'università di Roma. Esercitò in meno di otto anni per tre volte l'ufficio di custode del conclave (1823, 1829, 1830-31), l'ultima delle quali in un delicato momento politico che insinuava anche nel suo animo di conservatore molte apprensioni: le "trois gloricuses" di Parigi avevano apportato "tutte cose ben poco piacevoli per noi" (Diario Chigi, a cura di F. Sarazani, p. 25) e quando folti gruppi di rivoltosi minacciarono Civita Castellana con il pericolo di puntare verso Roma il C. esclamò: "Dio ci aiuti!" 25 febbr. 1831, (ibid., p. 46);l'amnistia concessa dal card. Benvenuti ai ribelli sconfitti nelle Romagne e nelle Marche fu giudicata "inaspettato e stranissimo passo" (30 marzo 1831, ibid., p. 52).
Il suo era il conservatorismo di un uomo d'ordine, che tuttavia rimaneva scettico e critico di fronte all'incapacità del governo pontificio di far fronte ad ogni situazione, come quando nell'agosto 1837 le autorità stentavano ad ammettere l'esistenza del colera che mieté centinaia di vittime, tra cui la moglie del C. (23 ag. 1837) e il figlio Augusto.
Nel 1839 il C. fu costretto a vendere ad Abramo Mieli, un commerciante romano ebreo, tutti i beni posseduti in Toscana, compreso il palazzo di famiglia in Siena. Negli anni 1841-42 affittò una parte di palazzo Chigi all'ambasciata del Belgio e negli anni dal 1847 al 1853 (con la parentesi '48-'49) alla rappresentanza diplomatica del Regno di Sardegna. Diminuiva anche il suo impegno letterario che trovava ancora qualche sprazzo nelle riunioni arcadiche, né più significativa era la sua attività come membro del Consiglio amministrativo della Comarca (dal 1834). Rimaneva invece un attento osservatore della vita romana, di cui registrava impassibile nel suo Diario, iniziato nel 1801, gli episodi di qualche rilievo. Dopo il rapido conclave del 1846 seguì con distaccato interesse gli avvenimenti politici, la nascita del mito di Pio IX, le manifestazioni popolari. Confermato nel 1846 consigliere amministrativo della Comarca, fu nominato da T. Mamiani il 6 luglio 1848 membro dell'Alto Consiglio legislativo.
È difficile cogliere dal suo Diario con quali sentimenti egli, ormai anziano, avesse partecipato ai fatti romani del 1848-49: la sua preoccupazione maggiore sembra tuttavia abbastanza chiaramente quella che siano evitati gravi disordini, ma quando questi accadono la responsabilità è volentieri attribuita agli "esteri" (cfr. Diario, pp. 259, 265).
Costituita la Repubblica romana, rassegnò le dimissioni da membro del Consiglio amministrativo di Roma e Comarca: ciò farebbe pensare a un'avversione al governo repubblicano che certamente ci fu, sebbene temperata da un generico patriottismo municipale che lo induceva nel Diario a definire "nostri" i soldati che difendevano Roma dalle truppe francesi (ibid., pp. 286 ss.). Con la restaurazione pontificia fu pronto a manifestare la sua adesione in un sonetto (Pel fausto ritorno in Roma della Santità di Nostro Signore Papa Pio IX. Solenne adunanza tenuta dagli Arcadi il giorno 12 di maggio1850 nella Protomoteca Capitolina, Roma 1850, p. 33), e stigmatizzò poi nel novembre come "dispiacevoli e gravi" le leggi Siccardi in Piemonte (Diario, p. 322). L'11 nov. 1852, alla morte del principe Filippo Albani, il C., come nipote di Giulia Augusta Albani, acquistò i titoli e i beni degli Albani aggiungendo tale cognome al suo.
Il C. morì a Roma il 10 nov. 1855; fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Maria del Popolo.
Lasciò erede dei titoli e dei beni il figlio Sigismondo (24 ag. 1798-10 maggio 1877); il patrimonio era sempre cospicuo, ma per la carente amministrazione il bilancio tra entrate e uscite alla morte del C. presentava un disavanzo passivo di oltre 245.000 scudi completamente coperto da prestiti comportanti interessi passivi di oltre il 4% per un totale di 11.137 scudi annui: tale indebitamento provocava la crescita del disavanzo in assenza di un più dinamico e redditizio impiego del patrimonio familiare.
Il C. ha lasciato un lungo diario, già più volte citato, in ventuno quaderni, conservati nell'Archivio Chigi (ora in deposito presso la Bibl. Ap. Vat.), busta 3966 bis, con il titolo Memorabilia privata et publica. Gliavvenimenti narrati vanno dal 1º genn. 1801 al 9 nov. 1855, con alcune brevi interruzioni dovute a malattia e con una più lunga dal 10 giugno 1809 al 10 giugno 1814 contrassegnata dal motto: "Me numquam tacuisse nocet". Esso, che rappresenta una delle più interessanti fonti per la storia della società romana nella prima metà dell'Ottocento, è stato utilizzato spesso e pubblicato parzialmente, ma attende ancora un'organica edizione completa. Da segnalare finora sono il Diario del principe don AgostinoChigi dal1830 al 1855,preceduto da un saggio di curiosità storiche, a cura di C. Fraschetti, Tolentino 1906, talvolta infedele all'originale e molto lacunoso (ripubblicato con il titolo Il tempo del Papa-Re,Diario del principe donAgostino Chigi dall'anno 1830 al 1855, a cura di F. Sarazani, Milano 1966), e Roma nell'anno 1829 attraverso il diario inedito di donAgostino Chigi, a cura di E. Veo, in NuovaAntologia, 1º sett. 1929, pp. 59 ss. Le numerose altre opere inedite del C., in parte citate, sono conservate nella Bibl. Ap. Vat. sia tra i manoscritti Chigiani sia nell'Archivio Chigi; un elenco completo di essi si può trovare in Cugnoni, pp. 37-44.
Fonti e Bibl.: Lettere, relazioni di viaggi, bilanci economici, libri di conti del C. si trovano in Bibl. Ap. Vat., Archivio Chigi, nn. 327-29, 342-49, 353-56, 601, 652, 654, 713, 715, 1023-33, 1060-1061, 1075, 1581-1705, 1772-1774, 3294, 3717-21, 3966 ter, 9689-90, 9698-9701, 9708, 9716-17; A. Checcucci, Necrologia del principe D. A. C., Roma 1855; F. Calvi, Curiosità stor. e diplom. del secolo decimottavo…, Milano 1878, pp. 348 s.; D. Silvagni, La corte e la società romana nei secc. XVIII e XIX..., I-II, Roma 1881-83, passim; G. Cugnoni, Notizie della vita e degli sudi del principe don A. C.-A., Roma 1894; U. Frittelli, Albero geneal. della nobil famiglia Chigi patrizia senese, Siena 1922, tav. IV e pp. 144 s.; E. Michel, La Biblioteca Chigiana, in Rass. stor. del Risorg., XI (1924), pp. 739-744; F. Chigi, A Roma nel 1798, in Strenna dei romanisti, VIII (1947), pp. 36-40; G. Incisa della Rocchetta, Anno Santo 1825. Dal Diario di A. C., ibid., XI (1950), pp. 13-18; R. Lefevre, La rivoluz. giacobina dell'Ariccia, in Rass. stor. del Risorgimento, XLVII (1960), pp. 467-520; G. Incisa della Rocchetta, Il conclave di Venezia nel diario del principe don A. C., in Boll. dell'Istituto di storia della società e dello stato veneziano, IV (1962), pp. 668-323; O. F. Winter, Repertorium der diplomat. Vertreter aller Länder, III, Graz-Köln 1965, p. 452; A. Cretoni, Roma giacobina..., Napoli 1971, pp. 39, 288, 296, 397, 401; R. Lefevre, Palazzo Chigi, Roma 1973, pp. 190-196.