CENTURIONE, Agostino
Figlio minore di Luciano, del ramo degli Oltramarini, nacque intorno all'anno 1506 in una delle famiglie più antiche e più rinomate di Genova, ben nota nel mondo degli affari per le sue attività commerciali. Il C. è forse da identificare con l'Agostino ricordato dal Bonfadio come uno dei capitani della città nel 1536-37. Sicuro è che sposò una Pallavicino, dalla quale ebbe due figli: Nicolò e Giulio. Il giovane C. è stato spesso confuso con i suoi fratelli maggiori, con Adamo in particolare. Mentre è certo che egli seguì il padre e i fratelli nell'azienda familiare, mancano testimonianze sufficienti per sostenere che fosse coinvolto negli intricati negoziati finanziari tra l'imperatore Carlo V e le case mercantili e finanziarie genovesi fra il 1521 e il 1528, come afferma Ehrenberg. D'altronde, la sua età a quell'epoca porterebbe ad escludere tale possibilità.
Non si sa con certezza quando e in che modo il C. cominciò a simpatizzare per le idee della Riforma. Verso il 1542era già attivamente impegnato negli affari della famiglia che lo portarono in molti luoghi dell'Italia e del Nord Europa, e che, evidentemente, lo misero in contatto con luterani, calvinisti e altri riformati. Nel 1542, secondo la sua stessa testimonianza, ebbe contatti con ugonotti a Lione, e nel 1562,secondo i documenti della città, era incluso nella lista degli stranieri abitanti a Ginevra. Nello stesso anno, mentre era in visita a Genova, ricevette l'ordine di presentarsi davanti all'Inquisizione per dare conto delle sue relazioni con i protestanti e dei suoi errori. Il C. decise quindi di portare il suo caso a Trento per poter dare la sua testimonianza ai legati pontifici che sedevano allora nel concilio. Sebbene i legati al concilio non avessero mandato di esaminare ed assolvere gli eretici, nel caso del C. essi ritennero opportuno ascoltare, esaminare, giudicare e riconciliare con la Chiesa questo ragguardevole genovese e altri nella sua condizione. Il caso del C. provocò una contesa giurisdizionale fra i cardinali inquisitori di Roma e i legati al concilio di Trento. I primi disapprovarono l'atteggiamento di clemenza mostrato dal concilio, e credettero che fosse nocivo alla reputazione del tribunale dell'Inquisizione di Roma che ci fossero casi giudicati altrove. Alla fine prevalsero i desideri dei legati e l'inclinazione del papa, per cui il caso del C. fu lasciato alla giurisdizione del concilio dove fu esaminato il 30 marzo e il 5 aprile 1563. Il 7 aprile, il C. abiurò formalmente i suoi errori e ricevette l'assoluzione.
Il Processo, che si trova nell'Archivio Segreto Vaticano ed è stato pubblicato da L. Carcereri, contiene soltanto le deposizioni orali rese dal C. e verbalizzate dal notaio, sebbene esistessero probabilmente anche deposizioni scritte. Dalla sua deposizione, appare che egli non era mai stato propriamente membro di una Chiesa riformata, ma solo una di quelle persone, così numerose nell'Europa del Cinquecento, che passavano da una dottrina all'altra, non tanto per vera convinzione, quanto per sensibilità al fascino delle idee nuove e per irrequietezza intellettuale. Secondo la testimonianza del C. egli aveva assistito qualche volta alla cerimonia ugonotta dell'eucaristia, ma senza una diretta partecipazione al sacramento. Ammise di avere letto molti libri proibiti: un Nuovo Testamento tradotto da Calvino ed altri; una confessione ugonotta o luterana, la Institutio e alcuni dei sermoni di Calvino. Disse che a Lione non andava a messa, perché nessuno dei suoi conoscenti la prendeva sul serio e che, mentre continuava a digiunare il venerdì, non faceva più penitenza né diceva le preghiere come l'Ave Maria. Ammise di avere attaccato più di una volta la condotta e la morale del clero cattolico, ma non la dottrina romana. Di ritorno a Genova aveva detto una volta ai membri della sua famiglia di non essersi ribellato alla fede cattolica, ma di avere solo trovato piacere a leggere libri e sentire idee nuove.
La deposizione del C. davanti al concilio fa luce sulla penetrazione delle idee riformate in Liguria, sulla loro diffusione da una regione commerciale all'altra, e sulle connessioni fra il movimento riformato piemontese e quelli di Lione e di Ginevra, dove il C. affermava di essere stato esposto a idee e scritti protestanti da persone ivi incontrate.
Le punizioni imposte dal concilio furono moderate. Secondo una tradizione, non documentata, ricordata dal Vitale, il C. dopo il processo tridentino si rifugiò nel ducato di Ferrara, dove la duchessa Renata favoriva i riformati. Ma ella aveva lasciato Ferrara già nel 1560, dopo la morte del marito, e il nuovo duca Alfonso II era tutt'altro che indulgente verso la Riforma. La notizia del Vitale quindi è sicuramente errata, anche se non si sa quale fine abbia fatto il Centurione. Non si conosce la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: J. Bonfadio, Annali delle cose genovesi, Genova 1830, pp. 107, 109, 115, 134; J.-B. Galiffe, Le refuge italien de Genève aux XVIe et XVIIe siècles, Genève 1881, pp. 81-82, 149; R. Ehrenberg, Das Zeitalter der Fugger, Jena 1896, I, pp. 169, 326, 335, 338, 342, 351; II, pp. 217 ss.; M. Moresco, I rifugiati. genovesi a Ginevra nei secc. XVI e XVII, in Riv. ligure di scienze, lett. e arti, XXVI(1905), p. 317; L. Carcereri, A. C., mercante genovese, in Archivio trentino, XXI (1906), pp. 65-99; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, p. 241.