CASTELLI (da Castello, de Castellis, Castello), Agostino
Ingegnere militare e architetto, figlio di Nicolò e, secondo alcuni atti notarili, nobile, nacque con ogni probabilità a Brescia tra il 1485 e il 1488.
Già prima del 1523 deve essere stato nominato “ingegnierius magnificae civitatis Brixiae”, se tale titolo gli viene attribuito in un atto notarile del 31 gennaio di quell’anno, e in tale veste, seppure con altri, deve aver diretto e forse progettato anche i lavori per la deviazione del fiume Garza in città proprio in quello stesso anno.
Nel 1524 il C. venne nominato da Lorenzo Bragadin, capitano della città di Brescia, “superstes fabricae murorum civitatis Brixiae”, con il salario mensile di 18 lire di planeti, al cui totale concorrevano in parti eguali la Camera ducale della Repubblica di Venezia, la città di Brescia e il territorio; anzi il C., per dimostrare il suo buon volere nei confronti della patria, in data 15 apr. 1524 rinuncio in parte alle 6 lire dovutegli dalla città, accontentandosi di sole 3 lire. Come architetto della città di Brescia, il C., che in una delibera del 10 giugno 1530 è chiamato “architectus praedictis fabricis electus” – e sono le fabbriche che il Comune aveva in costruzione o in progetto –, approntò due modelli per il duomo, uno in data 24 luglio 1524 (pagato il 18 ag. 1527) e un secondo, di cui è traccia nella delibera dell’8 dic. 1529, pagato il 7 dic. 1531.
Interessantissimo questo secondo progetto per la soluzione di due chiese sovrapposte, soluzione che permetteva da un lato di eguagliare il dislivello del terreno dove la chiesa sarebbe stata costruita e dall’altro di riaprire al culto di s. Rocco una chiesa, dopo che il più antico edificio a lui dedicato era andato distrutto nello spianamento dei borghi suburbani, decretato da Venezia dopo la riconquista della città nel 1516. Il luogo scelto per il duomo che doveva costruirsi “ut non solum correspondeat Pallatio magno ceterisque fabricis publicis, quae sunt ornamento huic urbi, sed antecellat et pulcrius reddatur” era la località Paganora per ottenere la quale il C. veniva mandato a Venezia nel 1524. Nonostante questi impegni il C. rimaneva sempre ai servigi di Venezia tanto è vero che con una ducale datata 29 genn. 1528, more veneto, e quindi dei 1529, il doge Andrea Gritti ordinava alle autorità venete di Brescia di continuare a pagarlo per “essere a benefitio nostro il continuar a pagarli” attese “la bon qualità et attitudine al servitio nostro di Maestro Augustino da Castello Inzegnere”.
Le opere militari cui doveva attendere il C. dovevano essere di grande vastità, sicché egli non poteva attendere contemporaneamente agli impegni derivatigli dalla sua carica di architetto della città: è questa la causa della nomina ad architetto della città di Stefano Lamberti, avvenuta il giorno il giugno 1530. Nel 1532 gli organi di governo della Serenissima decidevano di mandare il C. a Corfù perché ne progettasse le fortificazioni, fissandogli la paga in 12 ducati “a raxon de page 8 all’anno” (la delibera in data 3 giugno ci è testimoniata, come tutte le notizie riguardanti le fortificazioni di Corfù, Orzinuovi e Vicenza, dai Diarii di Marin Sanuto).
Prima della partenza per Corfù, ai primi di luglio, il C. era con il duca di Urbino, capitano generale, a Orzinuovi per ispezionare la fortezza che si veniva costruendo sotto la direzione di Pietro d’Abano che, a quanto pare, vi aveva sostituito il Castelli. Nella prima metà del mese di luglio il C. arrivò a Corfù, dove progettò la fortificazione della piazza, di cui realizzò anche il modello; il progetto piacque a Vincenzo Cappello, capitano general da mar, sicché “si andava a Candia lo menava con mi a veder quele fabriche”; ma, mancando i soldi per attuarlo, Giovanni Moro, provveditore generale, ritenne inutile mantenere sulle spese il C. a Corfù e lo rimandò a Venezia in data 8 ott. 1532. Da Venezia, in data 2 nov. 1532, il C. venne mandato a Vicenza per essere utilizzato dal duca di Urbino, capitano generale, per le fortificazioni della città.
Dopo tanti viaggi il C. tornò a Brescia, e vi si fermò, sicché per gli anni 1535-1537 venne nominato dal Comune “superstes fabricarum”. In Brescia nel 1541 si sposò con Antonia, vedova di Bernardino de Miliis, che aveva una dote di 900 lire. Ma nel febbraio del 1542, secondo quanto afferma il Temanza, il C. ritornò a Corfù, sostituendo il Sammicheli ammalato; non sappiamo quanto si sia fermato nell’isola, certo si è che nel febbraio 1552, more veneto, quindi 1551, era a Brescia, dove sottoscriveva il progetto di Girolamo Zona per la cortina da costruire fra i due bastioni dei Francesi nel castello. Alcuni atti notarili del 1555 e del 1558, dove il C. è chiamato “ingenierius Illustrissimi Ducalis Dominii Venetiarum”, ci attestano una sua permanenza in città; qui fece testamento in data 3 genn. 1561, e qui morì già prima del 18 giugno dello stesso anno, data della lettera con cui Sebastiano Venier, capitano della città di Brescia, ne dava notizia al governo di Venezia.
Purtroppo della produzione militare del C. non si può dire nulla: è difficile, anche dove le costruzioni sono rimaste, individuare quanto a lui spetti. La tradizione critica, senza appoggi – che si sappia – documentari, gli attribuisce l’accesso settentrionale al castello di Brescia, il cosidetto “soccorso”, opera alla cui soluzione erano necessarie notevoli doti di ingegneria militare: si tratta, come si può vedere tuttora, di due ingressi fortificati, uno in basso, alla base del colle Cidneo, il secondo in alto, nei pressi della torre Coltrina, che funge da vero ingresso alla cinta fortificata, uniti fra loro da una ripida cordonata, accessibile anche ai cavalli e difesa verso l’esterno che supera in breve spazio un dislivello assai pronunciato. Cosi, è solo seguendo una tradizione, accettata dal Guerrini e dal Peroni, che si attribuisce al C. il santuario della Madonna della Misericordia di Bovegno in Val Trompia, costruito, a seguito di una miracolosa apparizione della Vergine avvenuta nel 1527, negli anni immediatamente successivi. L’edificio si presenta a pianta centrale a croce greca, con i bracci voltati a botte, il braccio verso la facciata (che, a dir del Fappani, venne rifatta nel 1781 su disegni di Matteo Gatta) si allunga per una campata e viene affiancato da due navatelle laterali di egual numero di campate, senza però che la cupola cessi di sottolineare la preminenza del gruppo centrale. Si viene così realizzando un complesso architettonico in cui si uniscono un sistema centrale e un sistema longitudinale a tre navate, dominato, come gia si disse, dalla cupola ottagona retta da tamburo su pennacchi e terminante in un lanternino. La semplice decorazione architettonica affidata a lesene tuscaniche e a cornici seccamente profilate indica come il C. si realizzasse in un linguaggio, oramai comune nella Terraferma veneta, legato agli esempi lombardeschi e scarpagnineschi, come ben mette in evidenza il Peroni.
Il Guerrini suggerisce l’ipotesi che nel santuario di Bovegno siano chiari riferimenti ai progetti che il C. fece per il duomo di Brescia: l’affermazione appare assai dubbia ed eccessiva allo stesso Peroni, il quale, però, fa giustamente rilevare come nei più antichi progetti per il duomo nuovo risalenti agli inizi del sec. XVII sia presente “la medesima ambiguità tra un sistema centrale ed uno longitudinale a tre navate. Conoscendo l’attaccamento conservatore che a Brescia si dimostra nei programmi edilizi... resta il sospetto che veramente qualche affinità potesse sussistere tra il progetto del C. per il duomo e l’impianto del santuario di Bovegno”. Ancor più ipotetica l’attribuzione al C. del santuario di S. Maria della Stella sopra Gussago: gli è attribuito per una certa qual analogia e per la corrispondenza cronologica col santuario di Bovegno, essendo stato iniziato nel 1537 e perché la “vivace libertà inventiva” con cui la chiesa è stata risolta “ci avverte della presenza di un architetto di notevole qualità”, che si pensa possa essere stato il C., per un senso di “robustezza quasi fortificatoria” che la chiesa tradisce all’esterno (Peroni). Se certi aspetti – un certo arcaismo in talune soluzioni, la sobrietà decorativa, il gusto per una interpretazione centralizzata, seppur articolata, dello spazio – avvicinano i due santuari, è pur vero che molte sono le differenze che li separano, sicché l’attribuzione al C. di S. Maria della Stella di Gussago va accolta con molta prudenza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Brescia, Cancell., Pretoria Infer., ducali n. 1, f. 170; n. 2, f. 119; n. 3, f. 19v; n. 4, f. 119v; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1903, LVI, coll. 310, 539, 542, 609 s.; LVII, coll. 18, 140, 185; T. Temanza, Vita dei più celebri architetti e scultori venez., Venezia 1778, p. 160; B. Zamboni, Memorie intorno alle pubbliche fabbriche di Brescia, Brescia 1778, pp. 56, 120, 127; S. Fenaroli, Diz. degli artisti bresciani, Brescia 1877, p. 95; G. Nicoderni, Il Castello di Brescia, in Emporium, LXXXIV (1936), p. 14; P. Guerrini, La Madonna di Bovegno, in Memorie stor. della Diocesi di Brescia, 1948, pp. 42 ss.; C. Boselli, L’architetto comunale di Brescia nel sec. XVI, in Atti del I convegno nazionale di storia dell’archit., Firenze 1956, pp. 353 s., 357 s.; G. A. Zorzi, Notizie d’arte e artisti nei diarii di Marin Sanudo, in Atti dell’Istit. veneto di scienze lettere e arti, CXIX (1960-61), pp. 525 s.; A. Peroni, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 784-787; A. Fappani, I santuari bresciani, Brescia 1972, II, pp. 12-16; IV, pp. 7-11; C. Boselli, Il regesto artistico dei notai roganti in Brescia dal 1500 al 1560, Brescia 1976, I, pp. 88 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 145.