CARDUCCI, Agostino
Nacque a Isoletta, una frazione del comune di Arce (prov. di Caserta fino al 1925, poi di
Frosinone) il 13 dic. 1873, da Antonio e da Filomena Panzera, e compì gli studi secondari in Arpino. Laureatosi in medicina e chirurgia presso l'università di Roma nel 1897, si indirizzò subito alla carriera ospedaliera: vinto il concorso come assistente medico negli Ospedali riuniti di Roma, fu poi aiuto medico, aiuto chirurgo e primario. Libero docente in patologia speciale medica nel 1905 e in clinica medica nel 1917, nel 1937 fu nominato aggregato clinico dell'università; dal 1944 al 1948 fu direttore generale sanitario del policlinico Umberto I e dal 1949 al 1954 dell'ospedale S. Spirito di Roma. Formatosi secondo la tradizione ospedaliera romana con una eccellente preparazione teorica, basata soprattutto sull'anatomia patologica appresa alla scuola di E. Marchiafava e con la costante minuziosa osservazione al letto del malato, il C. si segnalò come valente clinico. Maestro di numerosi giovani medici, nel 1933 fondò con R. Bastianelli la Scuola medica ospedaliera, della quale fu poi presidente.
La sua produzione scientifica fu vasta e toccò vari campi della patologia e della clinica medica, dalla semeiotica all'anatomia patologica, alla terapia, sempre orientata in senso eminentemente pratico: nella discussione dei casi, nella sistemazione nosografica di alcuni processi patologici, nella ricerca delle cause di determinate malattie, nella messa a punto di precisi schemi terapeutici, affronto e risolse con metodo clinico vari problemi prospettatigli dalla quotidiana esperienza nelle corsie.
Autore di numerose pubblicazioni sulla patologia cardiovascolare, sulle malattie del sangue, sulle febbri tifoidee e paratifoidee, il C. va ricordato soprattutto per i suoi studi sulle encefaliti, sulle recidive malariche e sulla febbre bottonosa. Subito dopo la prima guerra mondiale, ebbe modo di osservare numerosi casi di encefalite letargica, ricoverati dal 1919 al 1920 al policlinico Umberto I di Roma durante la diffusione epidemica della malattia; l'accurato studio clinico che condusse gli consentì di distinguere le varie forme, delle quali dette una mirabile descrizione (Sulla così detta encefalite letargica, in Riv. ospedal., X[1920], pp. 2-11). Alla ricerca delle cause, e quindi del metodo di cura, delle recidive malariche, il C. fu spinto dall'osservazione che queste nella varietà a breve scadenza avvengono di solito al settimo giorno di apiressia o a un giorno multiplo di sette: egli intuì la presenza di forme speciali del parassita nel periodo di latenza delle prime infezioni responsabili delle recidive, per evitare le quali propose di somministrare il chinino in modo discontinuo per varie settimane (Sulla cura e sulla causa delle recidive nella malaria, in Atti d. Soc. per gli studi della malaria, VI[1905], pp.23-37; Nuove ricerche sul modo di evitare le recidive nella malaria, ibid., VII[1906], pp. 107-14).
Gli studi successivi avrebbero dovuto confermare l'esattezza dell'ipotesi del C. sull'esistenza delle forme speciali, identificate nella fase esoeritrocitaria da G. Raffaele, e la validità del metodo terapeutico che aveva proposto. Nel 1920 descrisse una malattia, della quale aveva osservato il primo caso dieci anni prima, caratterizzata da febbre continuo-remittente e da un'eruzione papulonodulare (Su una speciale febbre eruttiva, in Rivista ospedaliera, X[1920], pp. 251-274); in realtà, la malattia era stata descritta da A. L. J. Conor e A. Bruch a Tunisi (Une fièvre éruptive observée en Tunisie, in Bull. de la Soc. de path. exot., III[1910], pp.492-96), ma i casi consegnati, alla letteratura erano ancora pochi, e non ne era stata individuata la causa. Il C. mise in evidenza soprattutto il carattere di non contagiosità della malattia, che permetteva di differenziarla nettamente dal tifo esantematico: questa sua osservazione clinica ebbe poi piena conferma dieci anni più tardi, quando D. Durand e Conseil poterono dimostrare che l'agente etiologico della febbre bottonosa è una ricketsia, la ricketsia Conori, trasmessa con la puntura della zecca dei cani.
Più tardi il C. espose dettagliatamente l'etiologia e le caratteristiche della malattia, che è ancor oggi designata come febbre bottonosa di Carducci (Sulla natura della febbre eruttiva, in Policlinico, sez. pratica, XXXIX [1932], pp.1615-1619).
Il C. appartenne a varie società e accademie mediche, e nel 1915 gli fu concessa la medaglia d'argento per l'opera svolta a favore dei terremotati della Marsica.
Morì a Roma il 22 ag. 1970.
Bibl.: P. Introzzi, Trattato ital. di medicina interna, V, Venezia - Roma 1965, pp. 1227 s.; M. Rastelli, A.C., in Atti d. Accad. Lancisiana di Roma, n. s., XV (1971), I, pp. 92-98; Encicl. medica ital., VIII, col. 1043 (s.v.Ricketsiosi).