CANAL, Agostino
Nacque a Venezia, il 29 dicembre del 1557, da Gabriele di Agostino e da Lucrezia, che era figlia del nobile cipriota Giovanni Benedetti.
Gabriele, nato nel 1525, fuprovveditore e capitano a Legnago, sopracomito a Lepanto e sovrintendente alle ciurme e poi all'artiglieria nel corso dell'assedio di Navarrino, provveditore a Cefalonia; morì a Candia, ov'era provveditore generale della cavalleria, nel 1581.
Anche il C. dedicò l'esistenza al servizio della Serenissima. Sopracomito nel 1588, provveditore a Marano nel 1589-91, fu, nel 1596-1601, "per il spatio di cinque continui anni", provveditore generale della cavalleria a Candia, col compito di indurre la riluttante nobiltà locale "a dilettarsi, per... ornamento e per salute della loro patria, dell'essercitio cavalleresco".
Membro del Senato nel 1602, dal 27 sett. 1603 all'inizio del 1606 il C. è provveditore e capitano a Corfù, impegnato "ad intendere et vedere le cose delle biave et della camera fiscale come più considerabili" - la penuria di grano e la mancanza di denaro erano costanti assilli dei rettori veneti -, a vigilare sulle "infestationi de' corsari", ad addestrare "le cernede", di per sé "malissimo disciplinate, poco atte a maneggiar l'armi", a curare il buon funzionamento delle piazzeforti, sorvegliando la soldatesca, le artiglierie, i vettovagliamenti e, in particolare, i lavori di fortificazione. "Ho finito" - scriveva orgoglioso al Senato il 23 dic. 1605 - "di perfettionare la cortina di questa fortezza, la qual riesce, così, nobile et bella", lunga e spessa, solidissima nei "fondamenti".
Dal maggio 1607 al gennaio 1611 il C. è provveditore d'armata, al comando della squadra più numerosa per far fronte alla più ardua delle incombenze: "la sicurtà de' i mari di Levante et la riputatione" delle "forze" a ciò destinate. Non mancano gli scontri con i corsari: il 27 sett. 1609 dà notizia, esultante, della cattura di una galeotta barbaresca comandata da un rinnegato spagnolo, con centododici uomini alla catena, novanta dei quali "schiavi christiani"; nel 1610 sconfisse sei galere tunisine e nell'accanito combattimento, in cui il C. fu colpito da un'archibugiata alla guancia, ebbe la morte il pirata Dragut.
Ma gli scarsi mezzi limitavano l'azione del C. a garantire, volta per volta, la tranquillità della navigazione alle navi mercantili, mentre l'indole volitiva l'avrebbe spinto a snidare e ad attaccare a fondo i corsari: "sa il signor Dio - scriveva al Senato il 30 giugno 1610 - come io vada procurando l'incontro di questi ladri e se vi attendo con ogni industria possibile... ma convengo attender principalmente all'essecution di quanto... mi si commette alla giornata per interesse delle cose publiche". Certo, il C. avrebbe desiderato una impostazione meno cauta, delle direttive meno reticenti; ancora il 25 ag. 1607 aveva sottoscritto, assieme a Filippo Pasqualigo e a Piero Bondumier, una scrittura, presentata al capitano generale da mar Giovanni Bembo, in cui si suggeriva di "armar bertoni", con equipaggi scelti ed efficiente artiglieria, per "poter assalir et vincer quei de' nemici". Ma vi si riteneva soprattutto necessario che fossero "dati ordini rissoluti et non pieni di dubbio, come altre volte è successo" e che fosse concesso, esplicitamente, il diritto di preda, "poiché chiaramente si è conosciuto che molte difficilissime imprese si sono facilitate con la promessa fatta da' capitani a' soldati di concedergli il sacco".Merito del C., in questo periodo, l'approvvigionamento "de' formenti" alla Dalmazia, a Corfù, a Cefalonia; in quest'ultima provvide alla "regolatione della cavalleria" e al censimento della popolazione atta alla "marinarezza". Nel desiderio di un rigoroso riordino amministrativo, individuò il numero dei mancanti nelle galee, apportando un risparmio di 32.522 ducati.
Nel contempo il C. denunciò l'abuso per cui "servivano nelle galee molti condannati senza esser posti ne i libri... perché li sopracomiti, tenendo... occultate le sentenze, trabalzavano li meschini da una galea all'altra, né poteva sapersi quando havessero principiato il tempo delle loro condanne, né quando fosse per terminar l'habito di tanta miseria". Lo indignavano la deplorevole condizione, le malattie e l'alta mortalità cui i galeotti erano soggetti; e, pur esigendo una più attenta sorveglianza da parte degli "aguzini", il C. capiva come fuggissero "elegendo più tosto di goder la libertà in paese straniero che viver in servitù di tante asprezze et molestia". Lo preoccupava altresì il decadere, qualitativo e quantitativo, degli equipaggi liberi: molti marinai cercavano di licenziarsi preferendo "habitare in terra con qualche poco di traffico", e, "quello ch'è di maggior pregiuditio, applicano li loro figli ad ogn'altra professione". Questo il danno più rilevante del ritardo, ormai cronico, dei pagamenti, in modo che al presente l'armata resta creditrice molte volte di cinque et sei paghe".
Il C. fu, infine, provveditore generale in Dalmazia e Albania: si sforzò di "terminar le risse et i dispareri di questi confini" - specie tra i sudditi veneti di Novigrad e i turchi di Carino irritati per la progettata costruzione di un forte - per dedicarsi, senza intralci, alle "persecutione et assedio" degli Uscocchi. Energico e deciso, il C. reagiva alle loro provocazioni con rappresaglie a danno degli arciducali: quando gli Uscocchi arsero "alcune ville" e rubarono del bestiame nella zona di Raspo, il C. fece "depredare et abbrusciare... nel territorio di Pisin la villa di Boglion" ed "altri villaggi, case et luochi... distrugendo vini feni formenti et altre robbe... per valuta di molte miera di ducati oltre haver depredato circa ottanta animali grossi". Colto da "febre terzana", morì a Zara il 28 sett. 1612.
Una fosca e tragica ombra getta sul C. un'accusa, dalla data incompleta, nella copia dell'Arch. di St. di Venezia degli Arbori del Barbaro: all'indicazione del matrimonio, del 3 febbr. 1591, con Elena di Ermolao Tiepolo- da cui nacque un unico figlio, Gabriele (1594-1617) - segue l'annotazione "fu da esso avvelenata del 16..".
Fonti e Bibl.: Lettere del C., parecchie sottoscritte anche dal bailo Zaccaria Gabriel e, dal 5 luglio 1604, dal bailo Giovanni Lion, dal 29 sett. 1603 al 9 febbr. 1606 in Arch. di Stato di Venezia, Senato. Dispacci rettori. Corfù, filze 4, 5; lettere del C. provveditore della cavalleria a Candia e dal 5 apr. 1612 al 23 sett. 1612 e dal 7 maggio 1607 al 13 genn. 1611: Ibid., Senato, Lettere provveditori da terra e da mar, filze 426, 763, 1200; lettere del C. del 1º e 25 ott. 1605: Ibid., Senato. Dispacci Candia, filza 2; la relazione del C. sul provved. dell'armata del 20 sett. 1611 e quella sul provved. a Candia del 31 ag. 1601: Ibid., CollegioSecreta. Relazioni, buste 55, 81; la scrittura al Bembo, sottoscritta col Bondumier e col Pasqualigo: Ibid., Secreta. Materie miste notabili, 67; Ibid., Avogaria di Comun. Nascite, reg. 3, c. 95v; Ibid., Matrimoni, reg. 3, c. 86r; sulla malattia e morte del C. lettera del 25 sett. 1612 dei rettori di Zara, il capitano Antonio Loredan e il conte Marino Molin, e del 28 sett. 1612 del suo segretario Alessandro Busenello: Ibid., Senato. Dispacci rettori. Dalmazia, filza 111. Si veda ancora: Ibid., M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, p. 226; originali membranacei di ducali al C. in Venezia, Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3036/22.4, 3101, 3102,9 3103/2, 3104/12, 3109, 3110, 3111, 3470, 3472; I libri commemoriali della Republica di Venezia, a cura di R. Predelli, VII, Venezia 1907, p. 129; P. Sarpi, La Repubblica di Venezia, la casa d'Austria e gli Uscocchi, a cura di G. e L. Cozzi, Bari 1965, pp. 42, 43, 60; A. Morosini, Historiae venetae, in Degl'istorici delle cose veneziane, VII, Venezia 1720, pp. 452-453, 466-467, 468; G. Diedo, Storia della Repubblica di Venezia, II, Venezia 1702, pp. 465-466; M. Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Roma 1935, p. 95; A. Tenenti, Venezia e i corsari 1580-1615, Bari 1961, p. 170.