BEAZIANO (Beazzano, Bevazzano), Agostino
Nacque a Treviso da famiglia di origine veneziana (Francesco Beaziano un secolo prima era stato cancelliere della Repubblica), non si sa in quale anno, ma certamente verso l'ultimo decennio del sec. XV. Si avviò al sacerdozio soprattutto per le prospettive economiche che esso gli offriva, e ottenne infatti benefici e onori da Leone X. Al seguito di questo papa cominciò la sua carriera diplomatica per intercessione del Bembo, il quale nel 1514, a Venezia, dove il B. risiedeva, impiegò il giovane letterato in affari a lui. affidati dal pontefice e lo condusse a Roma. Nel luglio del 1515 fu inviato dal papa presso il doge Loredan per chiedere le armi necessarie alla fortificazione di Ancona contro i Turchi e per cercare a Venezia libri greci che mancavano alla sua biblioteca. A Leone X il B. dedicava sonetti e versi latini esaltandone il mecenatismo e vagheggiando la possibilità di dedicarsi interamente agli ozi letterari.
Furono questi gli anni più felici della sua vita: nel 1521 il Bembo, rispondendo al Longolio che gli chiedeva notizie degli amici romani, parlava della fortuna da cui era particolarmente assistito il Beaziano. Nominato cavaliere di Rodi, di Gerusalemme, uditor di Rota, strinse rapporti con i più famosi personaggi dell'ambiente romano, tra cui il Navagero, il Castiglione, Raffaello e il Bembo. Della familiarità con Raffaello e col Navagero rimane testimonianza in un quadro dei primo col ritratto dei due letterati.
L'amicizia col Navagero fu tuttavia inter rotta, poco prima del '519, da uno screzio sorto in seguito ad un'offesa che il B. ritenne grave e imperdonabile, ma che pure dimenticò, quando alla morte del Navagero (1529), scrisse versi in suo onore, lodati dal Bembo come bellissimi anche se non sufficientemente limati (P. Bembo, Lettere, II, l. V, in Opere, VI, Milano 1809, p. 185; si è pensato che il Bembo si riferisse alla stanza "Del poetico onor un nuovo Omero", presente nella raccolta delle Rime del 1538, laddove egli parla di una "elegia"). All'epoca del soggiorno romano, in cui stretti e caldi rapporti gorrevano fra il B. e il Navagero, appartiene invece un grande elogio dell'umanista veneto ("Navagero andar po' la patria altera"). Al medesimo periodo risale l'amicizia del B. con F. M. Molza, con A. Colocci, col Tebaldeo, ch'egli elogiò vivo e pianse da molto come una delle più gravi, perdite della moderna poesia, col Sadoleto e col Contarini. Ma soprattutto a questo periodo risale l'amicizia che lo legherà al Bembo sulla base di un quotidiano rapporto di vita, ma anche di una vera e propria venerazione che il B. conservò per il maestro del petrarchismo.
Alla morte di Leone X il B. si trattenne a Roma, mantenendo frequenti contatti col cardinal Egidio da Viterbo, e ne scriveva al Bembo lontano, ma nessuna testimonianza esiste di rapporti diretti con Adriano VI. Nel 1523 il B. era di nuovo a Venezia, nel maggio dello stesso anno tornava a Roma passando a visitare il Bembo nella sua dimora padovana. Sotto Clemente VII, che in quell'anno saliva al pontificato, la corte papale dovette accoglierlo cm tutti gli onori tributati agli umanisti dal nuovo papa, 'se questi in una bolla poteva ricordarlo come "continuus commensalis meus" di cui lodava la probità e i meriti. Nel 1524 dedicava a Clemente VII un'epistola latina in cui salutava l'elezione di G. M. Giberti a vescovo di Verma, auspicando per lui un ulteriore riconoscimento. Nel 1525 egli era ancora a Venezia, trattenendovisi oltre il previsto, sicché nel novembre il Bembo lo rimproverava di non essere già a Roma, alla vigilia di una probabile elezione a cardinale di Ercole Gonzaga, che avrebbe potuto fruttargli qualche vantaggio. Ma il B. aveva forse già l'intenzione di ritirarsi nel suo paese natio. Nel 1526 è a Roma, dove segue preoccupato le vicende diplomatiche e militari e presta i suoi servigi al Bembo lontano. Avverte già il male che lo costringerà all'inerzia negli ultimi armi della vita: in un sonetto di risposta al Mezzabarba, che glì augurava di tornare in patria dove l'attendevano serenità e ozio letterario, egli accennava malinconicamente allo scherno della fortuna dal quale solo la poesia riusciva ormai a distrarlo. Nel 1524 aveva accampato diritto sul beneficio di Giavera, nella diocesi di Treviso, rimasto vacante, ma dovette competere col prevosto di Nervesa, cui dapprima fu costretto a cedere. Nel novembre del 1526 è di nuovo a Venezia, dopo aver lasciato Roma forse definitivame, nte, e si dedica fra l'altro a studi di filosofia: per questo chiede al Bembo un Plotino e un Temistio che già aveva consultati a Roma. Si trattenne a Venezia fino al '29; nel '27 era impegnato nella difesa di certi suoi diritti per cui ricorse, tramite il Bembo, ad Angelo Gabriele, avogadore. Frattanto otteneva da Innocenzo Sinibaldo da Pesaro la commenda di Pola e di Aquileia. Si trattenne per qualche tempo a Murano, dove fu visitato da G. Aleandro, poi: a Verona, finché si stabilì definitivamente a Treviso, dimorando nella Ca' Maravegia e recandosi spesso nella sua villa di Giavera.
Poco si sa della sua vita privata: gli accenni indiretti, contenuti nelle lettere degli amici, a sue rime d'amore non trovano riscontro nell'opera che di lui ci rimane. Nei lunghi anni trascorsi a Treviso in cattive condizioni di salute fu assistito da una figlia, di nome Alteria, andata sposa a Sacripante dei Rinaldi, gentiluomo di Treviso, e da un figlio adottivo, Delfinone de' Medici, chierico milanese, al quale il 31 ag. 1541 affidò la procura per riscuotere gli affitti e le contribuzioni livellarie dei coloni del priorato di S: Nicolò, nella diocesi di Aquileia. Negli anni successivi alla sua definitiva partenza da Roma si registra la più notevole attività di poeta in volgare dei B.: egli partecipò alla vita di quel gruppo di letterati che si raccoglievano intorno al Bembo uniformandosi al rinnovamento da lui propugnato. Ebbe familiarità con Cola Bruno, segretario del Bembo, al quale indirizzò due sonetti, uno dei quali in morte del giovinetto Lucio Bembo (1535); ma fu anche amico di quei letterati che operarono nel centro padovano rinnovato dalla munificenza del doge Gritti, e che daranno vita nel '40 all'Accademia degli Infiammati.
La sua opera di poeta lirico, quale a noi è pervenuta, appartiene prevalentemente al quarto decennio del secolo e coincide con gli anni trascorsi dal Bembo fra Padova e Venezia. Da uomo di Chiesa e da umanista gli perseguì costantemente il sogno di un impero pacificatore, alleato della Chiesa e vincitore dei Turchi. L'eco degli avvenimenti politici e militari è dovunque presente nei suoi versi, dalla battaglia di Pavia alla vittoria di Tunisi sul Barbarossa: al centro è sempre la figura di Carlo V, al quale il B. si rivolge con un'ammirazione talmente incondizionata. da suscitare riserve e critiche da parte di qualche contemporaneo. Dopo la vittoriosa spedizione di Tunisi, nel 1538, pubblicò a Venezia, presso Zanetti da Brescia, gran parte delle sue poesie volgari e latine. Le prime constano di due parti, ambedue dedicate all'imperatrice Isabella: alle rime in lode di Isabella, a quelle in onore di Carlo e a quelle rivolte agli amici (e che contengono indirettamente le lodi dell'imperatore) si aggiungono rime diverse, come quelle dedicate a Tiziano per alcuni ritratti, al Pordenone, al Sansovino, al Fracastoro, all'Aretino, che nel 1537 gli dedicò un sonetto (Lettere, l.I, Milano 1960, p. 251). Un gruppo di sonetti sono indirizzati a Vittoria Colonna, di cui il B. loda i meriti letterari, altri a personaggi di primo piano nelle guerre sostenute da Carlo V, quali il marchese di Pescara, Andrea Doria, Ferrante Gonzaga, il marchese del Vasto, e ancora al duca d'Urbino, al figlio Guidubaldo, ad Alvise Badocr. Segue una raccolta di stanze, epitaffi funebri dedicati ad amici e personaggi illustri. I versi latini constano di elegie, epistole poetiche, epigrammi dedicati a Leone X, a Carlo V e a suo fratello Ferdinando, al Fracastoro, all'Aretino. Nel 1545 il B. salutava con un carme latino l'elezione del doge Francesco Donato. Alla morte del Bembo (1547) scriveva una serie di componimenti latini e italiani per ricordare il maestro e li indirizzava agli amici comuni; l'anno seguente raccoglieva queste poesie sotto il titolo Lachrymae e dedicava l'opera a Marcantonio Giustinian, suo benefattore.
Trascorse a Treviso gli ultimi anni della sua vita, costretto dalla sua lunga malattia ad una quasi totale inattività ma fu confortato, oltre che dall'affetto dei congiunti, dal ricordo degli amici lontani e dalla stima degli umanisti trevigiani. Il nome e la stima che aveva acquistato gli permettevano, nel 1548, di rivolgersi direttamente a Ferrante Gonzaga per raccomandargli un nipote che desiderava avviarsi al mestiere delle armi. Il 2 gennaio dell'anno seguente faceva testamento, nominando, erede il figlio adottivo con l'invito che questi assumesse il proprio cognome. Morì nel corso del 1549 (si conserva infatti, fra gli altri, un epitaffio in sua lode scritto da Leonardo Mauro, il quale morì nello stesso anno). Fu sepolto nel duomo di Treviso: sulla. tomba, l'iscrizione: "Hospes, Beatianus hic est, scis coetera; num tam / Durus es, ut siccis hinc abeas oculis?.
Oltre ai componimenti letterari già menzionati, altri il B. ne lasciò manoscritti, alcuni dei quali furono pubblicati in raccolte diverse. Una canzone scritta in occasione della vittoria sui Turchi, pubblicata a Venezia nel 1571, ha generato l'erronea datazione della sua morte dopo quella data. Nel Cinquecento presso il genero del poeta si conservavano ancora manoscritte omelie sopra l'Evangelo, elegie sacre, un'élogio della città di Treviso, una Historia Veneta in esametri, commedie e tragedie, un libro De principum institutione, un libro De universitate e alcuni elogi di illustri condottieri. Ma la sua fama fu soprattutto legata all'opera di poeta in volgare: l'Ariosto lo nomina accanto al Benibo, al Fracastoro e a Trifon Gabriele (Orl. fur., c. XLVI, st. 15); l'Aretino lo pone fra i grandi che popolano il moderno Parnaso alla cui sommità è il Bembo (Lettere, l. I, p. 280). Filippo Oriolo da Bassano nel canto XVII del Monte Parnaso interpreta simbolicamente il nome "Bevazzano" come derivato dell'aver bevuto al fonte Castalio. Nel Cortegiano del Castiglione il B. è ricordato dal Bibbiena come uomo di spirito per un aneddoto sull'avarizia. Il suo ritratto, accanto a quello del Navagero, ritenuto ora l'originale raffaellesco, è conservato nella Galleria Doria in Roma. Esso si trovava nel sec. XVI nella casa del Bembo in Padova (cfr. V. Golzio, Raffaello nei documenti, nelle testimonianze dei contemporanei e nella letteratura del suo secolo, Città del Vaticano 1936, p. 162).
Opere: Il poemetto Verona fu pubblicato assieme al Benacus del Bembo: Ad Clementem VII Pont. Max.... Verona, Romae, ex aedibus F. M. Calvi, 1524, cc. 7v-11r; alle cc. 12v-13r sono raccolti quattro epigrammi del B., uno diretto al Bembo, gli altri al Giberti. Il poemetto fu ripubblicato nel 1527 e nel '28 dal Manuzio, nel 1531 a Venezia da B. Stagnino, raccolto da G. Gruter nelle Delitiae Italorum poetarum, Francoforte 1608, I, pp. 334-39. La più cospicua raccolta di versi porta il titolo De le cose volgari et latine del Beazzano, Venetiis, per B. Zanettis de Brixia, 1538; una ristampa è l'edizione veneziana di Giolito de' Ferrari, del 1551. Il carme in onore di Francesco Donato fu pubblicato nel 1548 presso Giolito de' Ferrari (Ad Franciscum Donatum electum Venetiarúm principem carmen).Le Lachrymae in funere Petri Bembi cardinalis videro la luce presso lo stesso edit nel 1548. Per le rime incluse in varie raccolie del Cinquecento cfr. G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 574 s. A queste si aggiunga una stanza nei Lirici veneziani del sec.XVI, Venezia 1788, p. 106. Un sonetto dedicato a Cornelio Castaldi è conservato inedito nella Bibl. Marciana, cod. It.IV, 492 (= 6297), f. 214 r., Nove lettere del B. dirette al Bembo sono raccolte nel vol. I delle Lettere da diversi re et principi et cardinali et altri huomini dotti a mons. Bembo scritte, Venezia, F. Sansovino, 1560, ff. 126-138. La lettera al Gonzaga è raccolta nelle Letteredi scrittori italiani del sec.XVI, Bologna 1877, pp. 2729.Per le lettere dei Bembo che riguardano il B. cfr. soprattutto P. Bembo, Opere, Milano 1808-10, V, pp. 41, 73, 14; VI, pp. 59, 184, 185; Epist. fam., l. V, p. 16; Epist. Leonis X Pont. Max. nomine script.,l.X, p. 45.
Bibl.: Oltre al Mazzuchelli, cfr. A. Superbi, Trionfo glorioso d'eroi venez., Venezia 1629, l. III, p. 133; F. S. Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, pp. 230 s.; G. Tiraboschi, Storia d. letterat. ital., IV, Milano 1833, pp. 229 s.; L. A. Ferrai, Il processo di Pier Paolo Vergerio, in Arch. stor. ital., XVI(1885), p. 45; V. Cian, Un decennio della vita di Pietro Bembo, Torino 1885, p. 119; Id., Un medaglione del Rinascimento, Cola Bruno messinese e le sue relazioni con Pietro Bembo, Firenze 1901, pp. 55 s., 80 (a p. 95 è pubblicato un sonetto inedito indirizzato al Bruno); A. Serena, La cultura umanistica a Treviso nel sec. XV, Venezia 1912, pp. 257-63 (a pp. 381 s. sono pubblicati documenti relativi alla vita del Beaziano).