Vedi AGORA dell'anno: 1958 - 1994
AGORÀ (v. vol. I, p. 141)
Lo spazio pubblico per eccellenza della città greca, unitamente a quello religioso, costituisce l'osservatorio privilegiato per lo studio della storia, non solo urbanistica e architettonica della pòlis, ma anche per tutto ciò che attiene alle istituzioni politiche, ai culti e al loro reciproco intrecciarsi.
E chiaro da tempo quel fondamentale scarto differenziale tra l’Iliade, nella quale il termine a. indica prevalentemente l'assemblea, e l’Odissea, nella quale invece sta soprattutto a significare il luogo in cui si riunisce l'assemblea; si passa da una certa indeterminatezza topografica (quando la parola indica l'assemblea questa non si tiene sempre nello stesso posto) alla creazione di un luogo stabile nell'ambito delle strutture politico-religiose che caratterizzano la pòlis.
Il grande sviluppo degli scavi e delle ricerche nell'ultimo trentennio consente una più precisa conoscenza dei monumenti e della storia di alcune tra le più importanti a. della Grecia continentale, nonché dei primi elementi relativi all'organizzazione spaziale dell'a. nel mondo coloniale.
Molto dibattuto è stato il problema dell’archàia a. di Atene. Da Judeich in poi si è posta l'attenzione su un frammento di Apollodoro, trasmessoci da Arpocrazione (s.v. Pàndemos Aphrodite), cui viene accostato un passo di Pausania (1, 22, 3). Si è voluto attribuire all'epiclesi pàndemos un significato politico e, sulla scorta di Pausania, far risalire il culto al sinecismo di Teseo; come a. di Teseo viene ora indicata questa più antica piazza ateniese, che doveva trovarsi nella spianata alle pendici O-SO dell'acropoli, sito ideale in un'epoca nella quale la piazza serviva molto spesso come luogo di adunanza per le assemblee religiose connesse con i rituali del santuario urbano.
Gli scavi del Dontas hanno identificato ormai chiaramente l'area del Santuario di Afrodite Pàndemos, che coincide con il luogo indicato da Pausania; se si considera, inoltre, che Tucidide (11, 15, 36) indica l'area a S dell'Acropoli come quella occupata dalla città più antica, si dovrà concluderne che una piazza si trovava alle pendici dell'Acropoli, prima che fosse organizzata l’a. del Ceramico.
Ne sarebbero conferma indiretta l'episodio riportato da Plutarco (Sol., 8) dal quale si apprende che Solone recitò nell'a. un'elegia da lui composta per incitare gli Ateniesi alla spedizione di Salamina (in un periodo - il 621 a.C. - in cui le testimonianze archeologiche mostrano che l’a. del Ceramico non era ancora in funzione) e un passo della Politica di Aristotele (XV, 4) in cui si narra che Pisistrato convocò il popolo all'ingresso dell'Acropoli, per incitarlo ad accettare il suo potere. Non si può, tuttavia, condividere l'opinione di chi (Oikonomidis) sostiene che questa a. più antica fu soppiantata da quella del Ceramico solo nel sec. V a.C. La continuazione, a livelli molto intensi, degli scavi americani nell'a. di Atene ha permesso la scoperta di alcuni importanti edifici, ben noti dalle fonti, come la Stoà Basìleios nella quale si trovavano le kỳrbeis su cui erano scritte le leggi di Solone; su di esse, all'entrata in carica, gli arconti giuravano di custodire i nòmoi; l'Altare dei Dodici Dei (eretto da Pisistrato il Giovane), la Stoà di Zeus Eleuthèrios; di recente sarebbe stata individuata la celeberrima Stoà Poikìle.
La posizione dell'a. all'interno dello spazio urbano è stata anche variamente considerata in rapporto alla storia urbanistica generale.
Di recente, a questo riguardo, R. Martin ha ribadito la ormai classica distinzione tra raggruppamento urbano di tipo evolutivo e progressivo, nel quale colloca le città la cui formazione urbana viene a definirsi nel lungo periodo, p.es. come effetto di sinecismi, e le città che lo stesso studioso classifica come risultato di un atto volontario, unitario, pensando ovviamente alle nuove fondazioni e alle colonie.
La posizione dell'a., in entrambi i casi considerati, risulta dirimente e va a collocarsi tra gli elementi che segnano la distinzione tra un tipo e l'altro.
Nel primo caso appaiono esemplari l'a. di Corinto e quella di Atene. A Corinto le intense ricerche della missione americana consentono di cogliere il complesso susseguirsi dell'occupazione del suolo nella spianata sotto il Tempio di Apollo e il progressivo costituirsi, a partire dal VII sec. a.C., di uno spazio politico nel quale fondamentale risulta l'attrazione del luogo di culto, per la stretta connessione tra pratiche religiose ed esercizio del potere. Così come gli scavi dell'a. di Atene hanno mostrato da tempo il costituirsi precoce di uno spazio politico caratterizzato in modo sufficientemente autonomo rispetto a quello religioso che pure viene a occupare l'a., ma in posizione quasi subordinata e di integrazione, rispetto alle funzioni politiche.
C'è tuttavia da considerare che la separazione tra uno spazio pubblico che si situa al centro di una città arcaica del continente greco e quello di una città «fondata» rimanda a una visione ormai tradizionale e non pienamente soddisfacente dell'urbanistica greca; si tratta di un modo di schematizzare introdotto dagli studi degli inizî del secolo (soprattutto dal von Gerkan) che appare eccessivamente formalista e tale da eliminare la possibilità di intravvedere dialetticamente il combinarsi di una serie di elementi disparati nel processo formativo della città greca.
È arbitraria la concezione che vorrebbe le realtà urbane risultanti da processi storici completamente differenti, soprattutto quando si consideri la situazione del c.d. vecchio mondo greco, per il quale risulta insufficiente la spiegazione che ritiene le città «caotiche» prive di piani urbanistici regolari (e perciò «irregolari»), frutto delle preesistenze micenee, di sinecismi, ecc. Intanto a ben vedere i sinecismi, quelli veri in senso di conurbazione, non sono anteriori al V sec. a.C. e quando si parla di età arcaica è evidente che per questa epoca (che tra l'altro non conosce nemmeno la parola synoikismòs) il termine assume il senso di comunanza politica, permanendo per lungo tempo in Grecia il villaggio agricolo, il modo più consueto di occupare lo spazio.
Inoltre, pur con tutte le cautele che derivano dalla coscienza che non esiste un nesso di necessità tra aspetti istituzionali, formazioni economiche e sociali e organizzazione dello spazio tale da poter disporre secondo categorie i differenti aspetti fenomenici e trasferirli sic et simpliciter alla struttura, c'è sempre da considerare che lo spazio si definisce innanzitutto in rapporto ai regimi di proprietà e sarà semmai da esplorare il modo differente con cui è possibile parlare di «percezioni gentilizie» (Kriesis) nella Grecia continentale e «spartizioni primarie» (Asheri, Lepore) nelle città «fondate» e nelle colonie, senza dover per questo riaprire il dibattito sulla presunta isomoirìa del mondo coloniale.
Così come non è accettabile quel criterio di tipo evoluzionistico che identifica l'irregolare con l'arcaico e il regolare con le epoche più recenti: le ultime ricerche francesi a Latò provano, p.es., quanto siano pericolosi tali processi di identificazione. L'impianto di Latò, da sempre indicato come prototipo di città e di a. arcaiche, alla luce di queste ultime indagini, risalirebbe all'età ellenistica, per cui piuttosto che parlare del modo di abitare dorico, come pure si è fatto, il fenomeno andrà inquadrato nelle particolari condizioni storiche di quella società, in quel tempo.
Sotto un altro profilo, la posizione dell'a. viene studiata sempre dal Martin in rapporto all'impianto urbano e ai legami che questo rileverebbe con le attività economiche primarie di un sito. Ciò vuol dire a. situate in città in cui sarebbero prevalenti le attività agrarie e a. di città caratterizzate dalla prevalenza di attività commerciali.
Nella prima serie si collocherebbero le a. di città come Metaponto, Olinto, nella seconda Thasos, le colonie focee, Massalia e Velia. Le città agrarie, caratterizzate da impianti regolari, con ampie arterie, numerosi legami con il territorio, avrebbero a. di enorme estensione ed edifici, come i magazzini per derrate, in cui evidente risulterebbe il legame con la terra; le città «commerciali», con impianti spesso a terrazze, situate su promontori presso la costa, avrebbero a. attratte dal porto (come a Thasos, p.es.) e segnate dalla presenza capillare di difese e di arsenali.
Non si può non condividere la gran parte di queste accurate analisi, anche se c'è da osservare che si tratta di ipostatizzazioni, dal momento che, da un lato i diversi siti risultano caratterizzati più dalla tradizione letteraria o dal concorso di diversi aspetti topografici, dall'altro perché anche in questo caso è difficile stabilire un legame simmetrico tra l'a. e il «tipo» di città, che viene definita per la sua attività economica.
Se Atene rimane, e non solo per quanto riguarda il problema dell'a., la città greca con la più alta concentrazione di informazioni letterarie, epigrafiche e archeologiche in tutto il Mediterraneo, gli scavi francesi di Megara Hyblaea ci forniscono ora un numero notevole di informazioni sulla nascita e lo sviluppo di una città greca arcaica in assoluto e in particolare sulla storia monumentale dell'a. di una pòlis coloniale.
Gli scavi di Megara Hyblaea ci insegnano: 1) che l'impianto urbano fu realizzato in un sito «vergine» senza preesistenze condizionanti; 2) che la rete delle due platèiai E-O era incrociata non ortogonalmente da due gruppi di strade N-S; 3) che uno spazio di forma trapezoidale, situato nel punto in cui si incontrano i due sistemi di orientamento N-S fu lasciato libero da costruzioni sin dall'epoca della fondazione della città, verso il 730 a.C. Dunque la nuova comunità coloniale concepisce lo spazio sin dall'inizio come un'articolazione tra pubblico e privato e al primo viene conferita quella centralità topografica e funzionale che ne farà il mèson per eccellenza della pòlis.
Già nel corso del VII sec. a.C. i lati della piazza, al di là delle strade che la delimitano, secondo una concezione tipicamente arcaica dell'urbanistica nota persino a Pausania (VI, 24, 2, in cui si distingue la «vecchia maniera» tipo Elide dalle «novità» ioniche), vengono occupati da edifici di sicura destinazione politica e civile: tra questi ricordiamo la stoà (una delle più antiche fino a oggi note) e l'edificio interpretato come heròon, altro elemento importantissimo nel quadro dell'architettura politico-religiosa di un'a. greca. Senza dare all'a. di Megara Hyblaea il valore di testimonianza paradigmatica, come sostengono a più riprese gli autori dello scavo e della pubblicazione, si può dire che questa città ci offre un esempio di impianto pubblico in una città coloniale, nella quale la piazza è concepita sin dalle origini come un'istituzione pubblica che attrae naturalmente tutti gli edifici funzionali alla vita della comunità, a cominciare dallo mnèma del fondatore, vero elemento coagulante della società politica che comporta il recupero dell'eroe nelle città della Grecia. Le colonie invece hanno avuto un ecista in carne e ossa, come osserva C. Bérard, il cui culto sarà sempre più incoraggiato dalle aristocrazie create dalle discendenze dei primi colonizzatori o da quei gruppi gentilizi che potevano vantare legami o tradizioni di legami con l'eroe fondatore. A questo proposito si possono ricordare le scoperte di heròa in varie a. del mondo greco, a volte sicuramente riportabili al culto ecistico (p.es. di Batto a Cirene, studiato da S. Stucchi), in altri casi riferibili ipoteticamente all'ecista (Posidonia) o con certezza a personaggi eminenti della storia locale (mnèma di Glauco a Thasos), senza contare i casi di particolari ed eccezionali onorificenze concesse a cittadini illustri cui fu data sepoltura nell'a. (Esiodo a Orchomenos, Milziade a Magnesia al Meandro, Erodotto a Thurii); a parte ciò il culto riservato allo hèros ktìstes nella città greca è un nòmos (Herod., VI, 38). Tra la fine del VI e il V sec. a.C. trasformazioni sociali e innovazioni nel quadro istituzionale possono forse spiegare il diffondersi di un nuovo tipo di architettura monumentale che va prevalentemente a occupare un settore dell'agorà. Si tratta degli edifici destinati a riunioni assembleari (ekklesiastèria o bouleutèria) che, in alcuni casi di recente indagati, hanno forma circolare. La testimonianza più antica viene da Metaponto, la cui a. è stata negli ultimi anni oggetto di scavi intensi, al punto da divenire una delle a. meglio conosciute del mondo greco. Innanzitutto va osservata la posizione della piazza che è contigua a quella del santuario: i due spazî pubblici separati da una semplice fila di pilastri-sèmata si trovano alla estremità orientale della città, non lontano dal muro di cinta; mentre la gran parte dei monumenti di recente portati alla luce è ancora inedita (la grande stoà che chiude l'a. verso il mare, l'edificio oracolare, ecc.). Di grande rilievo sono gli studi accuratissimi di D. Mertens sul complesso ekklesiastèrion-teatro. La stratigrafia mostra che un primo edificio ligneo, di cui sono state trovate sicure tracce combuste, fu sistemato ai bordi settentrionali dell'a. già verso la fine del VII sec. a.C.; alla metà del VI sec. a.C. fu impiantato l’ekklesiastèrion: due cavee semicircolari ché, contrapposte, danno un diametro totale di m 62 e un asse di attraversamento centrale corrispondente a due aperture; un anàlemma in blocchi squadrati regge un terrapieno di sabbia (dunque le cavee sono exaggeratae) senza altri apprestamenti fin quando, prima della metà del V sec. a.C., furono aggiunte le gradinate in pietra e lo spazio circolare (che indicativamente è chiamato orchestra in mancanza di un termine più aderente) venne delimitato da quattro file di blocchi che creano un rettangolo. In sede di interpretazione si è parlato di struttura polifunzionale, destinata ad assemblee di tipo politico, ma anche allo svolgimento di feste religiose. A brevissima distanza, così quasi per eliminare eventuali dubbi, gli scavatori hanno riportato alla luce un altare e la stele con iscrizione arcaica in cui si legge: ΔΙΟΣ ΑΓΟΡΑ.
Una spia molto significativa delle funzioni dell'edificio e di quella parte dell'a. nel quale si trova è data dal fatto che verso la metà del IV sec. a.C. l’ekklesiastèrion metapontino fu completamente distrutto e al suo posto fu edificato il teatro: sotto il profilo stratigrafico verticale, sia dal punto di vista eminentemente architettonico che da quello funzionale, si tratta di una delle espressioni più spettacolari che si possono osservare in una città greca. A Metaponto si può accostare Posidonia, dove gli scavi della missione italo-francese hanno portato alla luce un edifìcio circolare del diametro di m 35 e hanno permesso di identificare come a. la spianata situata a S dell’Athènaion, ai margini occidentali del quale si trova il celebre sacello ipogeico, scoperto dal Sestieri, che già P. Zancani Montuoro aveva interpretato come heròon. Allo stato attuale l'a. di Posidonia non presenta altri elementi significativi, ma si delinea sempre meglio la sua posizione topografica, contigua al grande santuario poliadico e all'estremità orientale della città, e si evidenzia una concezione dello spazio pubblico sviluppata in termini di notevole estensione che accomuna Posidonia a Metaponto (e forse anche a Crotone, come si evince da scavi recentissimi) e che induce a ipotizzare una certa analogia di comportamento, a tale riguardo, delle colonie agrarie achee.
Anche ad Agrigento gli scavi del De Miro hanno riportato alla luce, sulla collina di S. Nicola, sotto l'oratorio di Falaride, un grande ekklesiastèrion (diam. m 45) che deve essere datato al sec. a.C.; la sua ubicazione pone problemi in rapporto alla tradizione che vuole l'a. situata presso l’Olympièion (ma a ben vedere qui si trovava il foro e non è detto, come vedremo in seguito, che tra le due piazze si sia sempre avuta pacifica continuità spaziale e funzionale). Un altro aspetto da considerare è la definizione delle funzioni pubbliche e istituzionali di questi edifici che resta in buona parte ipotetica:
anche la capienza, se nei casi di Metaponto e Agrigento può essere elemento dirimente, per Posidonia (600 posti c.a) rimane dubbia la funzione di bouleutèrion o di ekklesiastèrion, in mancanza di documentazione letteraria o epigrafica. Se ad Atene nel V sec. L’ekklesìa si sposta per motivi di capienza dall'a. alla Pnice, si può ipotizzare ad Argo la funzione di a. della spianata sotto la Larisa nella quale, sotto l’odèion di età romana l'indagine di Ginouvès ha permesso di identificare come ekklesiastèrion del V sec. a.C. il c.d. teatro a gradini rettilinei, mentre la forma architettonica circolare ritorna nell'edificio di Samotracia che, trovandosi all'interno di un santuario, deve aver svolto funzioni relative all'amministrazione di quel luogo di culto. È noto come, dopo le recenti acute indagini di C. Krause e di F. Coarelli, l'edificio circolare di tipo assembleare greco stia alla base del Comitium di Roma e delle sue colonie.
Con il sec. V a.C. nell'a. fanno le loro comparse i mercanti, o almeno (se proprio non si può fare a meno di pensare che forme di vendita al minuto come la kapelèia non fossero del tutto assenti anche prima) a partire da quest'epoca si pone il problema delle innovazioni funzionali della piazza, a giudicare dalle variazioni del termine a. che si possono cogliere nel vocabolario, come ha osservato il Martin, alla cui opera si rimanda anche per questo particolare aspetto.
Ma il V sec. è anche l'epoca in cui, grazie a nuove fondazioni, alla creazione di nuovi quartieri, alle ristrutturazioni di città distrutte, si può osservare la nuova enfasi data all'a. sia per la sua posizione nell'ambito della città, sia per le diverse funzioni che in essa si svolgono.
Emblematici risultano i casi del Pireo, la cui a. prese il nome di Hippodàmeia dal nome del milesio che ne aveva progettato l'impianto e quello, ben noto, relativo alla rifondazione di Mileto, con le a. diversificate e soprattutto la grande a. di mezzo, situata come cerniera tra i due porti, nella quale si è vista l'applicazione del funzionalismo della scuola ionica in termine di distribuzione e caratterizzazione dello spazio. Ma anche in questo caso, piuttosto che ricorrere ad anacronistici riferimenti di stampo modernista, le situazioni urbanistiche, e, dunque, l'a. in primis, debbono essere riportate alle particolari condizioni storiche del sito, evitando generalizzazioni pericolose, come se l'organizzazione dello spazio fosse un elemento culturale suscettibile di prestiti e trasmissioni.
Ancora meno efficace risulta il ricorso al pròtos euretès per spiegare le innovazioni che si producono nel V sec. a.C.: innumerevoli circoli viziosi si sono creati attorno alla figura di Ippodamo di Mileto, a cominciare dalle forzature cui sono state sottoposte le magre fonti che tramandano qualche notizia sull'attività dell'architetto, per trarne illazioni cronologiche che di volta in volta devono servire come base per giustificare una situazione archeologica dietro la quale si intravede sempre l'ombra del milesio (o, quando proprio non se ne può fare a meno, della sua scuola o della sua «influenza»).
Di fatto, senza che nessuno sia in grado oggi di spiegare chiaramente in cosa consista l'«ippodameismo» in termini urbanistici (non escluderei che nella Politèia di Ippodamo ci fosse un capitolo dedicato alla città costruita con una serie di prescrizioni che sono diventate ippodamee per la semplice ragione che il milesio è stato il primo a trattarne per iscritto) le nuove creazioni urbane, oltre all'assunzione ormai generalizzata dello schema ortogonale tendente sempre più al reticolo piuttosto che alle strigae di tradizione arcaica, destinano all'a. spazî centrali, geometricamente definiti dalle strade che ora corrono alle spalle degli edifici che delimitano la piazza, ospitano installazioni pubbliche ed edifici destinati ad attività commerciali.
Ma, a questo riguardo, occorre fare qualche precisazione. Proprio l'esperienza di Mileto e quella di un'altra città, Olinto, celebre soprattutto per l'impianto urbano della collina N, insegnano che si deve nettamente distinguere tra il momento della pianificazione e i tempi, a volte lunghissimi, delle realizzazioni architettoniche che nella maggior parte dei casi devono essere riportate ai bisogni delle epoche in cui gli edifici sono stati costruiti e non a quella in cui è stato pianificato lo spazio.
A Mileto, se è chiaro che gli spazî pubblici sono stati ritagliati sin dal momento della rifondazione verso il 470 a.C. (ma ancora non è stato ben chiarito il rapporto tra il nuovo impianto e quello della città distrutta dai Persiani), è altrettanto evidente che i grandi programmi architettonici che concorrono alla definizione di quegli spazi appartengono all'età ellenistica, in una temperie storica certamente differente. Così a Olinto (il cui quartiere settentrionale, edificato verso la metà del V sec. a.C. fu distrutto con tutta la città da Filippo II nel 347 a.C.) la grande spianata, libera da edifici, e proprio per questo motivo interpretata dagli scavatori americani come uno spiazzo per le esercitazioni della cavalleria, risulta essere in realtà l'a., pressoché sprovvista di costruzioni (tranne un portico). Una situazione per certi versi analoga sembra prospettarsi per Neapolis in Campania. Questa città, come è noto, rientra nel novero delle nuove fondazioni del sec. V a.C., e presenta uno schema urbanistico ancora tradizionale per strigas ma anche una notevole riserva di spazio pubblico.
Poche ma significative sopravvivenze monumentali ci testimoniano sia la caratterizzazione della parte alta della città come area sacra, sia l'enorme estensione che fu riservata alle piazze. Particolarmente interessanti, a questo proposito, sono risultati gli scavi condotti sotto la Basilica di S. Lorenzo dove un grande edificio in laterizio, lungo oltre m 80 e largo m 35, svolgeva, in età romana imperiale, sicure funzioni commerciali, tanto da essere il luogo caratterizzato, in seguito, nella tradizione letteraria medioevale come «mercato vecchio» sottoposto alla Basilica del Beato Lorenzo (Cronaca di Partenope del XIV sec.) o come forum vetus o forum rerum venalium (nel manoscritto inedito di Fabio Giordano della fine del XVI sec.). Gli scavi hanno però dimostrato che un edificio in blocchi si trovava al di sotto di quello in laterizio, e si sviluppava con una planimetria affatto identica a quella dell'edificio più recente.
Il monumento più antico è stato datato alla fine del IV sec. a.C. È possibile, dunque ipotizzare che nella ricostruzione in laterizio (forse successiva al terremoto del 62 d.C.) la mutata architettura abbia mantenuto funzioni che dovevano essere già consolidate dalla fine del IV sec. a.C., epoca quest'ultima evidentemente distante dalla data di fondazione della città (c.a il 470 a.C.). Poiché non sono attestate preesistenze alla fase della fine del IV sec. a.C., si deve concludere che oltre un secolo e mezzo separa la data di fondazione dalle prime realizzazioni architettoniche in questa centralissima zona della città. Inoltre, mentre lo spazio occupato da queste installazioni commerciali si trova a S della platèia mediana, quello Ν è occupato dal Tempio dei Dioscuri (oggi Basilica di S. Paolo Maggiore) e dall'impianto dei teatri nella parte alta. Considerata la natura eminentemente «politica» del culto dei Dioscuri e la funzione di edifici destinati non solo agli spettacoli, ma anche alle riunioni dell'ekklesìa, che hanno i teatri (soprattutto, per quanto ne sappiamo, nel IV sec. a.C.), si deve dedurre che a Neapolis una vasta area, larga sei interassi di m 38 e lunga quanto due isolati di m 180 ciascuno, fu risparmiata sin dalla fondazione, ma non è detto per questo che sin dal V sec. ne fossero rigidamente determinate le funzioni. Col tempo le due piazze separate sia dall'attraversamento della platèia mediana che da un accentuato dislivello andarono a caratterizzarsi, quella superiore come spazio politico, quella inferiore come a. commerciale.
Non si può, a questo punto, senza la pretesa di disporre le testimonianze in un rapporto di causa ed effetto, ma solo con il proposito di fare riferimento a una temperie culturale, non richiamare alla memoria il celebre passo della Politica (II, 1, 1275a; IV, 7, 1238b) nel quale Aristotele loda l'a. eleuthèra dei Tessali perché hanno capito che le funzioni politiche e amministrative, ancora nella maggior parte dei casi sotto la tutela divina, non andavano mescolate con quelle commerciali, per cui era bene che nelle città si predisponessero quegli spazi differenziati che il crescente sviluppo del mercantilismo rendeva necessarî. Del resto, che questo problema fosse avvertito, si coglie bene nelle realizzazioni urbane più recenti, non solo a Mileto, ma anche a Priene, a Pergamo, senza dimenticare i casi, come quello di Pergamo appunto, in cui l'a. finisce sull'acropoli accanto al palazzo del dinasta che rappresenta il potere politico. Così come nell'ambito delle strutture economico-sociali e politiche si deve inquadrare la realizzazione di altre a. di questo periodo, come quella di Messene o quella di una città di un koinòn come Kassope o l'a. di Morgantina in Sicilia.
In ogni caso, il processo di monumentalizzazione dell'a. arriva con l'età ellenistica alla sua definizione ultima di piazza chiusa, circondata da portici e botteghe, i cui caratteri spaziali sono stati spesso oggetto di osservazioni in merito al problema del rapporto dell'a. con il foro.
Anche per l'età romana appare criticabile la concezione di uno sviluppo lineare, continuista della storia e soprattutto quello delle «influenze» e delle trasmissioni. Più che l'aspetto tecnico (le costruzioni, le organizzazioni spaziali, cui dedicano, giustamente, molta attenzione gli storici dell'architettura) qui varrebbe la pena di sottolineare le variazioni ideologiche e funzionali desumibili dal rapporto, non privo di contrasti, agorà-foro. Emblematico risulta, a questo riguardo, il dibattito recente a proposito dell'a. degli Italiani a Delo, tra una visione tecnicamente asettica delle componenti architettoniche e le importanti ricerche, ben più complesse sul piano storico, sull'ambiente sociale che ha fruito di quelle architetture. Ma, per tornare alla romanizzazione, un buon osservatorio è costituito proprio dalla diversità di comportamento in rapporto alla diversità delle situazioni storiche.
Nelle fondazioni che i Romani crearono ex novo appaiono più evidenti i criteri organizzativi della zona pubblica: le precise istituzioni romane vanno a prendere posto entro edifici come il Comitium derivato dall'idea greca dell'ekklesiastèrion e adattato alla forma romana entro il rettangolo orientato. Molto più interessante è il modo con cui la romanizzazione ha annullato o riadattato lo spazio dell'a. delle città greche che hanno continuato a esistere dopo la romanizzazione. Questo fenomeno investe gran parte delle città della Grecia, che recano nelle a. delle antiche democrazie dell'età classica, insieme ai monumenti onorarî e ai portici donati da evergeti, i segni di un nuovo ordine politico e sociale (ad Atene l'a. del Ceramico, l'a. romana, le piazze di Corinto, Argo, Filippi, Smirne, Salonicco, ecc.). Nella nuova colonia latina di Paestum (273 a.C.) la vecchia a., con i suoi contorni forse irregolari, a ridosso del limite orientale della città, viene cancellata: tutte le emergenze monumentali significative del precedente ordine politico vengono annullate e sostituite dal foro, creato con altra forma (entro il reticolo stradale), e altri monumenti al centro della città che, accanto al mantenimento del vecchio impianto, ne crea uno nuovo, affidando alla centralità della piazza, quasi emblematicamente, il ruolo di cerniera tra l'antica colonia greca e la città dei coloni di Roma. A Neapolis l'inserzione di grandi e massicci monumenti, pur nel mantenimento del medesimo schema urbano, è, come ha notato di recente I. Baldassarre, il sintomo dell'appropriazione della città greca e delle sue tradizioni culturali da parte dei Romani.
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