PANDOLFINI, Agnolo
PANDOLFINI, Agnolo. – Nacque a Firenze nel 1363, secondogenito di Filippo e di Dora Boscoli.
Immatricolato nel 1393 all’Arte dei Setaiuoli, abbandonò definitivamente la professione notarile esercitata dai suoi avi sino dalla fine del XII secolo, periodo al quale risalgono le prime notizie genealogiche della famiglia. Originari di Prato ed esponenti della parte guelfa, i Pandolfini si trasferirono a Signa nel corso del Duecento quando la conflittualità tra guelfi e ghibellini nell’area pratese diventò eccessivamente accesa e violenta. L’esercizio della professione notarile e la partecipazione alla vita pubblica resero i Pandolfini una delle famiglie eminenti di Signa, sino a venirne considerati casato autoctono e a cognomizzarne la provenienza. L’inurbamento in Firenze è attestato dalla fine del XIII secolo, quando Giovanni, il nonno di Agnolo, fu eletto per la prima volta notaio dei Signori. Fino agli anni Venti del Quattrocento, la documentazione riporta in modo incostante l’identificazione onomastica della famiglia, che si affermò solo nei decenni successivi in ricordo di un antenato eponimo da riconoscere, forse, in Pandolfino, avo del notaio Giovanni.
La zona di residenza fiorentina dei Pandolfini fu il quartiere S. Giovanni, gonfalone Leon d’oro; secondo i dati del catasto, tuttavia, tra il 1427 e il 1430 Agnolo e i suoi familiari si trasferirono nel gonfalone Chiavi, parrocchia di S. Procolo. In tal modo, Pandolfini si trovò ad abitare nel centro politico-religioso di Firenze, vicino al palazzo del Podestà e al palazzo dei Signori, ma anche al duomo e alla sede dell’arcivescovo. Non fu senza dubbio casuale, all’interno di tale processo di assestamento abitativo da parte dei Pandolfini, la scelta come sede della cappella di famiglia la Badia, una delle chiese più antiche di Firenze, tuttora esistente.
Pandolfini ricevette una raffinata cultura umanistica ed entrò in contatto con le personalità più significative del mondo intellettuale fiorentino; insigne conoscitore del latino e della filosofia, fu amico intimo di Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti, Matteo Palmieri e Vespasiano da Bisticci, la cui bottega libraria era situata nelle immediate vicinanze dell’abitazione dei Pandolfini e che ad Agnolo dedicò una biografia, successivamente pubblicata nelle Vite.
Partecipò attivamente alla vita pubblica fiorentina, sotto il profilo sia politico sia culturale. Dal 1° ottobre 1407 al 1° aprile 1408 fu capitano di Volterra. Nel 1409 fece parte della commissione incaricata di controllare il lavoro di revisione della raccolta statutaria di Firenze affidato al giurista Giovanni da Montegranaro. La presenza nella commissione di personaggi eminenti della società fiorentina quali, tra gli altri, Niccolò da Uzzano, Maso degli Albizzi e Lapo Nicolini è chiara testimonianza della posizione di prestigio rivestita dai Pandolfini all’inizio del XV secolo. Nel 1411, fu ambasciatore a Bologna insieme a Iacopo Salviati, con l’incarico di evitare l’azzeramento del debito pubblico bolognese nei riguardi dei mercanti fiorentini. Nel 1413 fu il rappresentante dell’arte dei setaiuoli nella magistratura dei sei Applicatori degli statuti e, nel giugno dell’anno successivo, fu inviato a Napoli, insieme a Tosetto Tosetti, per trattare le clausole della pace con il re Ladislao d’Angiò. Nel bimestre 1° gennaio - 1° marzo 1415 fu gonfaloniere di Giustizia, la massima carica politica del reggimento fiorentino che ricoprì in seguito altre due volte, nel 1420 e nel 1431. Tra il 1418 e il 1419 fu inviato due volte dalla Signoria di Firenze presso Niccolò Fortebraccio, sia per stipulare con lui un accordo di condotta sia per seguire da vicino le trattative, conclusesi positivamente, fra lo stesso Niccolò e papa Martino V.
Il terzo e quarto decennio del XV secolo furono assai intensi per Agnolo sotto il profilo dell’attività diplomatica. Nel 1422 si recò a Siena e nel 1425 a Roma insieme a Rinaldo degli Albizzi e Nello Martini. Lo scopo dell’ambasceria era assai delicato, dal momento che si trattava di mantenere inalterato il fragile equilibrio dei rapporti tra il governo di Firenze e Martino V. Infatti, la pressione esercitata sul pontefice in senso antifiorentino dal duca di Milano Filippo Maria Visconti e il contemporaneo temporeggiare del papa in relazione al recupero dei territori della Chiesa occupati dai milanesi preoccupavano molto le autorità di Firenze. Agnolo e i suoi colleghi ribadirono l’obbedienza di Firenze alla Chiesa e la sua fedeltà al pontefice. Nel 1432, Agnolo e Luigi Guicciardini furono mandati a Siena, dove si trovava il re dei Romani, Sigismondo di Lussemburgo, in attesa di ricevere la corona imperiale da parte del nuovo papa Eugenio IV.
Rinaldo degli Albizzi, in quegli anni alla guida dell’oligarchia al potere in Firenze, avrebbe desiderato invitare in città il pontefice e il sovrano tedesco nella speranza che lo svolgimento dell’incontro e l’auspicata incoronazione di Sigismondo imponessero Firenze e il suo governo all’attenzione internazionale. Il progetto di Rinaldo, però, fu vanificato dall’opposizione interna e Sigismondo ricevette la corona imperiale a Roma. Eugenio IV, comunque, si recò a Firenze nel 1434 dopo l’avventurosa fuga da Roma a bordo di una galea fiorentina e Pandolfini fece parte della delegazione incaricata di scortare il pontefice al suo ingresso in città.
L’attività diplomatica non distolse Agnolo dal suo impegno nella politica interna, nella quale fu coinvolto in modo continuativo sia come titolare di uffici in Firenze sia come rappresentante della Signoria presso le comunità soggette. Fra il secondo e il terzo decennio del Quattrocento fu, tra l’altro, uno degli Otto di custodia, uno degli ufficiali dell’Onestà, camerario della Camera del comune, console del Mare, membro dei Dieci di Balìa, vicario in Valdinievole, podestà di Pistoia e vicario del Mugello. Il suo impegno pubblico si mantenne costante fino al termine della sua vita: nell’ottobre 1445, già ottantaduenne, fu eletto per un anno ufficiale delle Carni e portò regolarmente a termine l’incarico.
È quindi infondata la notizia riportata da Vespasiano da Bisticci secondo cui Pandolfini, pur avendo preso le parti di Cosimo de’ Medici contro Rinaldo degli Albizzi, decise di ritirarsi a vita privata dopo il 1434, in seguito al bando di esilio comminato da Cosimo, dopo il suo rientro in Firenze, al banchiere Palla Strozzi con il quale Pandolfini era imparentato tramite la moglie Ginevra Strozzi. Altrettanto inesatta è l’attribuzione ad Agnolo del Governo della famiglia, opera malamente mutuata dal terzo libro della Famiglia di Leon Battista Alberti e composta probabilmente quindici anni dopo la morte di Pandolfini.
La situazione economica della famiglia fu florida sino all’inizio degli anni Trenta del secolo; infatti, il rilevamento catastale del 1430 censì beni immobili in Firenze e nel contado oltre a una consistente disponibilità di danaro investito nei titoli del Monte comune. Nel corso del decennio successivo, tuttavia, Agnolo decise di dividere l’ingente patrimonio fra i suoi due eredi, Carlo e Giannozzo, entrambi genitori di numerosi figli. La necessità di assicurare la dote alle figlie costrinse i Pandolfini a vendere molte proprietà e nel 1442 Agnolo dichiarò soltanto 2000 fiorini di debiti a fronte di un nucleo familiare che contava 34 membri. Probabilmente, fu proprio per la situazione di difficoltà finanziaria che Agnolo decise di lasciare la città per trascorrere i suoi ultimi anni nel contado, pur continuando a rivestire incarichi pubblici.
Morì nel gennaio 1446 e fu sepolto nella chiesa di S. Martino a Gangalandi.
Le esequie, tuttavia, furono celebrate in Firenze e il reggimento fiorentino, riconoscendo l’importanza da lui rivestita nella vita pubblica della città, volle onorarne la memoria concedendo che la cerimonia funebre avesse luogo sotto le insegne del Popolo e della Parte guelfa.
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