Holland, Agnieszka
Regista e sceneggiatrice cinematografica polacca, nata a Varsavia il 28 novembre 1948. Cineasta intimamente segnata dal cinema polacco e dalla scuola praghese che hanno contribuito alla sua formazione culturale insieme alla Nouvelle vague francese (Jean-Luc Godard e Robert Bresson), la H. possiede uno degli sguardi più liberi, acuti e apolidi, in grado di non sacrificare i propri aspetti più peculiarmente europei, ma di contaminarli con le forme hollywoodiane contemporanee. I suoi film, spesso legati alle tematiche complesse della famiglia, della sessualità, del conflitto con la Storia, dei passaggi delicati e misteriosi tra infanzia, adolescenza ed età adulta, possiedono la forza e la grazia di restare con discrezione accanto ai propri personaggi, seguendone i movimenti e le scelte, con la morbidezza lenta dei carrelli, con la sensualità di uno sguardo che non si distoglie dai corpi e dai volti e che, al tempo stesso, nel filmare riesce a lasciare uno spazio creativamente aperto e praticabile, quell'ambigua e densa sospensione che percorre e tanto di frequente chiude i suoi film. Figlia di madre cattolica e padre ebreo, la cui famiglia era stata sterminata dai nazisti nel ghetto di Varsavia, la H. crebbe in un ambiente in cui si praticava un appassionato attivismo politico, critico nei confronti del regime. Il padre, quadro del partito comunista polacco, morì in circostanze misteriose durante un interrogatorio, cadendo da una finestra, quando la H. aveva tredici anni. Trasferitasi in Cecoslovacchia fu ammessa giovanissima ai corsi della FAMU, la celebre scuola di cinema di Praga, dove ebbe come insegnanti Miloš Forman e Ivan Passer, e lì visse il periodo della Nová Vlna e della Primavera di Praga, conclusosi con la repressione sovietica e per la H., in quanto dissidente, con l'esperienza del carcere. Nel 1971, ottenuto il diploma, ritornò in Polonia ed entrò a far parte di un collettivo di cineasti guidati da Andrzej Wajda. Nel 1973 esordì come assistente alla regia di Krzysztof Zanussi per Iluminacja (Illuminazione), e realizzò il televisivo Niedzieene dzieci (1977, I ragazzi della domenica). Partecipò anche alla stesura di varie sceneggiature, soprattutto con Wajda, tra cui, non accreditata, Człowiek z marmuru (1977; L'uomo di marmo), Dyrygent (1980; Il direttore d'orchestra), Człowiek z z̊elaza (1981; L'uomo di ferro), stabilendo con quel regista un intenso rapporto creativo. Da sempre, inoltre, coltivava un vivo interesse per il teatro e a Gorca e a Cracovia mise in scena vari testi, tra cui Lorenzaccio di A. de Musset, Il processo di F. Kafka e Woyzeck di G. Büchner. Nel 1979, la H. realizzò il suo primo film per il grande schermo: Aktorzy prowincjonalni (Attori di provincia), che ottenne il premio FIPRESCI al Festival di Cannes, mentre Gorączka (1981, noto anche come Fever), che la regista dichiarò essere "un film realizzato in uno stato di libertà interiore mai più ritrovato" (Piazzo 1991), in Polonia venne subito considerato un film di culto, segnato da alcune sequenze di esplicita violenza e di accentuato erotismo. Opera metaforica, sospesa tra passato e presente, è ambientata nella Polonia del 1905 ed è la storia di una bomba, che funziona anche come di-spositivo narrativo, di un gruppo di rivoluzionari e del loro uso della violenza come problematico strumento di lotta. Successivamente uscì Kobieta samotna (Una donna sola), realizzato prima del colpo di Stato del 13 dicembre 1981, che costrinse H., già all'estero, a stabilirsi a Parigi. A lungo inedito, il film fu presentato a Montréal nel 1987, ottenendo il Gran premio del nuovo cinema. Gli anni dell'esilio coincisero con la sua crescente affermazione artistica e contribuirono a farle elaborare uno stile apolide, libero e personale. Con Bittere ernte (1985, Raccolto amaro), incentrato sulle peregrinazioni di una donna ebrea in fuga obbligata a nascondersi dai nazisti, nel 1986 ottenne una nomination all'Oscar per il miglior film straniero, mentre nel 1988 la H. affrontò con To kill a priest (Un prete da uccidere) un pezzo di storia polacca che la riguardava da vicino. Prendendo le mosse da un fatto realmente accaduto, il film disegna la figura di padre Alec (Christopher Lambert), nella realtà padre Jerzy Popiełuszko, prete vicino a Solidarność, ucciso dalla polizia segreta. La Storia è stata spesso mostrata dalla H. come complessa compresenza di opposte realtà con cui vanno fatti i conti, duramente e senza autoindulgenza. Così avviene, per es., in Europa Europa (1990), vincitore del Golden Globe, che racconta la vicenda reale di un ragazzino ebreo che per salvarsi nella Germania nazista si finge ariano, fino al punto di arruolarsi militare nella gioventù hitleriana. Nel 1992 è stato presentato alla Mostra del cinema di Venezia Olivier Olivier, film sospeso tra l'andamento da favola crudele con cui viene narrata la vicenda di un bambino che un giorno non fa più ritorno a casa e il duro realismo di un fatto di cronaca. Nel 1993 la H. ha diretto The secret garden (Il giardino segreto), tratto dal romanzo di F.H. Burnett e prodotto da Francis Ford Coppola, ancora incentrato su un gruppo di bambini e il delicato passaggio dall'infanzia all'adolescenza. La H. riesce a filmare con uno sguardo anticonformista e tenero, partecipe del mistero proprio di ogni trasformazione, i dettagli dei volti, come a cogliere i particolari del paesaggio naturale, la brughiera che circonda il castello e il giardino nascosto e riportato alla vita dai ragazzi. Total eclipse (1995; Poeti dall'inferno), girato in Belgio, mette in scena il rapporto devastante fra P. Verlaine e J.-A. Rimbaud (interpretato da un giovanissimo e sorprendente Leonardo DiCaprio) pur non riuscendo a essere particolarmente convincente. Ma è stato con Washington Square (1997), dal romanzo di H. James, forse il suo film più sentito e compiuto, che la H., ormai stabilitasi negli Stati Uniti, ha raggiunto la pienezza di uno stile capace di coniugare la problematicità e lo spessore di uno sguardo europeo con le forme tipiche del cinema hollywoodiano. Quest'opera, sottile e coraggiosa, al limite della crudeltà, intimamente femminile, raccoglie, senza cadere nella facile trappola del ritratto psicologico, la sfida di mostrare, e di filmare, le trasformazioni degli esseri umani. Dominato dalle ombre e dalle dissolvenze, illuminato dall'intensa presenza di Jennifer Jason Leigh, è molto più di un remake di The heiress (1949) diretto da William Wyler, da cui prende in effetti le necessarie distanze per riscrivere quel medesimo personaggio di Catherine nel solco della differenza, alla luce di un'incommensurabile libertà femminile. Con The third miracle (1999; Il terzo miracolo) la componente religiosa insita nella formazione della regista viene reinvestita e interrogata problematicamente e materialisticamente. Il prete (Ed Harris), protagonista del film, che sembra aver perduto la fede, è alla ricerca di risposte che forse non arriveranno mai. Questa stessa chiave, che coinvolge il destino, la fatalità, il miracolo, il bisogno d'amore e l'incombenza della morte, ritorna anche nell'opera presentata in concorso alla Mostra del cinema di Venezia nel 2002, Julie walking home, che, come spesso avviene nel cinema della H., non si consegna allo spettatore come opera finita, ma come spazio libero, come punto di fuga, attraverso e oltre il cinema, come testo aperto su cui poter lavorare.
S. D'Arbela, Nuovo cinema polacco. L'inquietudine e lo schermo, Roma 1981, pp. 139-41.
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