MONTEFELTRO, Agnese di
MONTEFELTRO, Agnese di. – nacque a Pesaro, nel 1470, da Federico, secondo duca di Urbino, e Battista Sforza, figlia di Alessandro, signore di Pesaro, e di Costanza da Varano.
Quasi nulla si conosce dell’infanzia di Agnese, che, rimasta orfana di madre nel 1472 e di padre nel 1482, fu affidata alle cure delle sorelle maggiori sotto la tutela dello zio paterno Ottaviano Ubaldini della Carda. È possibile che della sua istruzione si occupasse anche l’umanista Vespasiano da Bisticci, già curatore della biblioteca del duca Federico e precettore dell’ultimogenito Guidubaldo. Comunque, l’educazione ricevuta presso la corte urbinate e l’influenza delle donne della sua famiglia contribuirono a formare il carattere di Agnese, che con gli ambienti urbinati rimase in contatto tutta la vita.
Nel 1489 sposò Fabrizio Colonna, capofamiglia di un ramo cadetto dell’importante lignaggio baronale romano. Il contratto matrimoniale, stipulato l’anno prima, prevedeva il versamento di una dote di 12.000 fiorini d’oro. Questo matrimonio rientrava in una strategia di consolidamento di una rete di alleanze matrimoniali e fazionarie dei Montefeltro con i Della Rovere, i Sanseverino, i Malatesta, i Gonzaga e, appunto, i Colonna. La parentela con i Colonna rimontava d’altra parte già agli anni del pontificato di Martino V, quando Guidantonio di Montefeltro, padre di Federico, aveva sposato Caterina Colonna, nipote del pontefice.
Nel 1490 nacque la prima figlia della coppia, Vittoria, che sarebbe divenuta marchesa di Pescara e celebre poetessa; seguirono Ferdinando, avviato alla carriera ecclesiastica e deceduto tra la fine del 1517 e l’inizio del 1518, Federico, condottiero morto nel 1516, Ascanio, che sarebbe stato tra i protagonisti della scena politica e militare italiana tra il 1520 e almeno il 1545.
È probabile che già immediatamente dopo le nozze Agnese scegliesse come sua dimora il palazzo Colonna di Marino piuttosto che i quartieri colonnesi presso piazza Ss. Apostoli a Roma. Della cittadina fece, negli anni successivi, la sede di una piccola corte sul modello di quella urbinate.
Alla sua iniziativa si deve probabilmente attribuire la trasformazione della residenza colonnese da castrum a vero e proprio palazzo rinascimentale. Sembra che Donato Bramante abbia contribuito all’architettura del palazzo di Marino, oltre a essere stato l’artefice dell’edificazione di un ninfeo nei boschi circostanti il palazzo Colonna di Genazzano. Se pure non vi sono, al momento, tracce esplicite di un rapporto diretto con Bramante, il testamento di Agnese ricorda, tra i servitori più stretti, un Antonio Bramante alias Roscio da Urbino, probabilmente parente. Non vi sono dubbi, invece, circa l’intervento a Marino di Antonio da Sangallo il Giovane, che del Bramante era stato allievo. Lo sviluppo architettonico e artistico della corte di Marino, oggettivamente modesto eppure significativo nel contesto provinciale e dei castra appartenenti ai lignaggi baronali romani, va legato alla permanenza di Agnese nel piccolo centro laziale e al suo ruolo di attenta amministratrice delle terre e delle relazioni sociali e politiche dei Colonna, ruolo accresciuto dalla prolungata assenza del marito, che si divideva tra gli impegni sui campi di battaglia e la sua residenza napoletana. La corte di Agnese a Marino ospitò personaggi politici di grande spicco, come Elisabetta Gonzaga, Isabella d’este e suo fratello Alfonso, duca di Ferrara, in fuga da Roma dopo la rottura con Giulio II nel 1511. Vi soggiornarono anche Jerónimo Vich e Juan Manuel, ambasciatori rispettivamente di Ferdinando II d’Aragona e dell’imperatore Carlo V tra il 1507 e il 1522, e Hugo de Moncada, già viceré di Sicilia e generale dell’imperatore. Se la scelta di Marino da parte dei principali esponenti del partito imperiale in Italia è da ricondurre al ruolo che i Colonna svolsero durante le guerre d’Italia, è però ad Agnese che, in assenza del marito, si deve attribuire, almeno in parte, il governo di quelle relazioni. Anche le corrispondenze e le opere di alcuni degli umanisti che si giovavano del mecenatismo dei Colonna indicano chiaramente che Marino cominciò in quegli anni a prendere la fisionomia di altre residenze colonnesi site tanto a Roma, presso il palazzo adiacente alla chiesa dei Ss. Apostoli, e a Napoli, nel palazzo di via Mezzocannone, quanto in centri minori come Genazzano e Subiaco. Tra i letterati umanisti vicini ad Agnese va ricordato almeno il viaggiatore Ludovico de Varthema che, appellandola «unica observatrice de cose notabili et amatrice de ogne virtù», le dedicò il suo Itinerario (Barozzi, 1996, p. 56). È probabilmente già negli anni di residenza a Marino che la figlia di Agnese, Vittoria, avviò la sua formazione umanistica, poi ampliatasi a Napoli e a Ischia.
La pur scarsa documentazione relativa ad Agnese conservata presso l’Archivio Colonna in Subiaco induce a ritenere che il suo ruolo e le sue capacità di domina non si limitassero a quella dimensione domestica tipicamente riconosciuta alla matrona rinascimentale e neppure alla sola amministrazione delle terre, ma concernessero, come anche per altre grandi donne dell’epoca, l’ambito propriamente politico.
Di questo ruolo di Agnese restano poche ma significative tracce documentarie. Vanno ricordati anzitutto due documenti di procura, datati 18 agosto e 23 settembre 1510, con cui Fabrizio Colonna, in vista della sua partenza per i campi di battaglia dell’Italia centrosettentrionale, assegnava alla moglie il governo del patrimonio e della famiglia. È possibile che tale decisione fosse dovuta anche alla forte competizione tra i capofamiglia all’interno del lignaggio Colonna e anche solo del ramo di Marino (poi di Paliano), ma resta il fatto che quel ruolo venne effettivamente ricoperto da Agnese, come risulta attestato in diverse fonti. Per esempio, nell’aprile 1512, nel delicato contesto delle agitazioni successive alla sconfitta degli eserciti ispano-pontifici a Ravenna del 1512, il re di Aragona Ferdinando II indirizzò una lettera dai toni perentori a Fabrizio Colonna chiedendogli di ordinare ad Agnese di provvedere affinché nelle sue terre non si facesse «ningun perjuyzio ni deservicio a Su Santitad» (Serio, 2008, p. 186). Un altro esempio si può trarre dalla lettera che papa Leone X scrisse personalmente ad Agnese nel marzo 1521, chiedendole l’immediato rilascio di un certo Gondisalvo, contestabile del bargello di Roma, da lei fatto arrestare in quei giorni (ibid., p. 272).
Anche relativamente agli interventi nell’amministrazione delle terre, la documentazione è scarsa. Nel 1516, per esempio, è direttamente indicata come «patrona et domina castri Riparum», cioè del castello di Ripa (Subiaco, Archivio Colonna, IIIBB, 84, 15). La sua attività come amministratrice si articolò nella cura dei patronati nelle chiese locali e delle necessità dei servitori e dei vassalli, ma anche nella capacità di gestire la rete di creditori e debitori ‒ declinata su scala locale e internazionale – su cui si fondava una parte consistente dell’economia signorile e nelle relazioni con le comunità. Tra 1518 e 1519, per esempio, intervenne personalmente nella controversia sul testamento di un suddito abruzzese, Francesco di Domenico Leonardi (ibid., IIIBB, 55, 15). Ancora, nel febbraio 1523, tre anni dopo la morte del marito e la difficile successione del figlio Ascanio, Agnese produsse un documento di esenzione fiscale in favore di due suoi sudditi, Angelo e Simone Petrella di Cave, nipoti di Teodora, che era stata nutrice di Fabrizio Colonna (ibid., IIIBB, 63, 17). Lo stesso Ludovico de Varthema, nella dedica del suo Itinerario, descrive Agnese come «cerca le cose del suo Illustrissimo Signore consorte occupata » (Barozzi, 1996, p. 57).
Anche i contrasti che, tra il 1519 e il 1520, opposero Fabrizio e Ascanio Colonna dimostrano il rilievo assunto da Agnese. Nel suo testamento, Fabrizio stabilì che il controllo della domus e di tutto il patrimonio sarebbe spettato non al figlio, che fino ad allora aveva rifiutato di eseguire le volontà paterne e di sposare Giovanna d’Aragona, cui era fidanzato dal 1518, ma ad Agnese; solo dopo la celebrazione del matrimonio il ribelle Ascanio sarebbe potuto entrare legittimamente in possesso dell’eredità. La scarsità delle fonti rende impossibile stabilire in che misura questo punto del testamento di Fabrizio venisse effettivamente applicato. Certo sul piano delle relazioni della famiglia con le corone europee, e in particolare con Carlo V, la successione di Ascanio al padre fu lineare e immediatamente efficace. Intanto, nel breve arco di tempo trascorso dalla morte di Fabrizio (marzo 1520) al matrimonio di Ascanio con Giovanna d’Aragona (giugno 1521), Agnese mantenne ‒ de iure se non de facto – il controllo dell’amministrazione patrimoniale, delle terre e delle relazioni del gruppo familiare, almeno su scala locale. Lo testimoniano i pochi documenti contabili e gli atti ancora reperibili nell’archivio di famiglia.
In quegli anni si intensificò l’impegno dei Colonna del ramo di Marino, con il supporto dell’intero lignaggio, per ottenere l’investitura del Ducato di Urbino: un’aspirazione naturalmente condivisa anche da Agnese, che partecipò attivamente alle rivendicazioni dei Colonnesi. Risalgono al 1522, in particolare, una serie di documenti genealogici e un inventario dei beni «stabili » e mobili ereditati da Agnese dopo la morte del padre Federico, inventario ottenuto da Ottaviano Ubaldini, curatore testamentario del duca Guidubaldo, morto nel 1508 (Subiaco, Archivio Colonna, Miscellanea storica, IIA, 30, 37). Le dispute attorno al Ducato urbinate, tornato ai Della Rovere dopo la breve parentesi di governo di Lorenzo de’ Medici (1516-19), si erano riaccese con la morte di Leone X e l’aumento del peso politico e militare ispanoimperiale in Italia. Le pretese dei Colonna, fondate sull’eredità di Agnese, ma anche su parentele con i Montefeltro, si inserirono negli scontri tra il partito filofrancese, quello filoimperiale e la complessa formazione politica dei «buoni italiani», che rivendicava l’autonomia delle Signorie italiane rispetto ai due grandi poteri monarchici.
Agnese morì intorno al 1° aprile 1523, di ritorno da una visita a S. Maria di Loreto, come testimonia una lettera del figlio Ascanio al marchese di Mantova (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Corrispondenza estera, Napoli e Sicilia, b. 809, doc. 534). Fu sepolta nella chiesa di S. Maria in Palazzolo, sul lago di Castel Gandolfo.
Le ultime volontà, stese il 1° aprile, poco si distaccano dal modello di testamento femminile del primo Cinquecento, disponendo piccoli lasciti per le donne e per i servitori più fedeli. E tuttavia appaiono significative la formale istituzione di suo figlio Ascanio come erede universale ‒ secondo quanto prescritto nel testamento di Fabrizio ‒ e la menzione dell’eredità sul Ducato di Urbino, che Agnese trasmise al figlio.
Fonti e Bibl.: Subiaco, Archivio Colonna, IIIAC, 1 (scritture contabili della M.); IIIBB, 53, 46 (procura di Fabrizio a favore della M., 23 settembre 1510); 54, 87 (testamento); 55, 15; 55, 16 (testamento di Fabrizio); 55, 20 (testamento); 56, 91 (procura di Fabrizio a favore della M., 18 agosto 1510); 63, 17; 84, 15; Miscellanea storica, IIA, 30, 37; Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Corrispondenza estera, Napoli e Sicilia, b. 809, doc. 534. P. Bembo, Vita dello illustrissimo s. Guidobaldo duca d’Vrbino. E della illustriss. sig. Helisabetta Gonzaga sua consorte, Firenze 1555, passim; P. Giovio, Le vite di Leon X et d’Adriano Sesto sommi pontefici, et del cardinal Pompeo Colonna …, Vinegia 1557, passim; D. De Sanctis, Columnensium Procerum icones et memoriae, Roma 1675; B. Baldi, Della vita e de’ fatti di Guidobaldo I da Montefeltro duca d’Urbino, Milano 1821, passim; A. Coppi, Memorie colonnesi, Roma 1855, p. 271; P. Mestica Chiappetti, Vita di Costanza Varano, Jesi 1871, passim; A. Luzio - R. Renier, Mantova e Urbino. Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Torino-Roma 1893, pp. 206-209; E. Tordi, Agnesina di M. madre di Vittoria Colonna, Firenze 1908; G. Franceschini, I Montefeltro, Milano 1970, ad ind.; G. Tomassetti, La Campagna romana antica medioevale e moderna, a cura di L. Chiumenti - F. Bilancia, Roma 1976, IV, pp. 212-216, 243, 276 s.; A. Lucarelli, Agnesina di M. castellana di Marino, in Rinascimento nel Lazio, Roma 1980, pp. 493-502; M. Bonvini Mazzanti, Battista Sforza Montefeltro. Una «principessa » nel Rinascimento italiano, Urbino 1993, ad ind.; P. Barozzi, Ludovico de Varthema e il suo Itinerario, Roma 1996, pp. 55-57; M. Montagnani, Il palazzo Colonna di Marino, in Castelli romani, XL (2000), 2, pp. 40-51; A. Crielesi, Le vicende storico artistiche del convento di Palazzolo, in Il convento di Palazzolo sul lago Albano, a cura di M. Cogotti, Roma 2002, pp. 82-85; A. Serio, Una gloriosa sconfitta. I Colonna tra Papato e Impero nella prima età moderna, Roma 2008, ad indicem.