Guidi, Aghinolfo II
Figlio del conte Guido Pace di Romena, a sua volta nato da Aghinolfo I di Guido Guerra IV, e dalla buona Gualdrada (If XVI 37); perse il padre prima del 27 febbraio 1281, quando promise l'osservanza dei patti della pace promossa dal cardinale legato Latino tra i guelfi e i ghibellini di Firenze. Nello stesso anno fu condannato in contumacia negli averi, con i fratelli Alessandro e Guido, per aver indotto maestro Adamo a falsificare il fiorino d'oro, orgoglio e costante cura della repubblica fiorentina (If XXX 73-78).
Il 7 marzo 1286, con il fratello Alessandro e i consanguinei Guido Selvatico del ramo di Dovadola, Guido del ramo di Battifolle e Bonifacio, Guido e Aimerico del ramo di Porciano, concluse con il comune di Siena un trattato rivolto contro il ghibellino vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini.
Seguì in Romagna il fratello Ildebrandino quando vi andò come inviato pontificio nel 1291, fu ferito sotto le mura di Forlì e fatto prigioniero da Maghinardo Pagani da Susinana insieme con il figlio Oberto. Portato nella rocca di Faenza e poi nel carcere del cassero di Calamello, ne poté uscire di lì a qualche mese lasciando come ostaggi, oltre il già prigioniero Oberto, i figli Guido e Ruggero. In quel tempo, e precisamente il 14 luglio 1292, il comune di Bologna concesse ai tre fratelli G., figli di Aghinolfo, la cittadinanza bolognese. Aghinolfo non tornò poi nella prigione, ma nello stesso anno 1291 costrinse le schiere forlivesi che lo assediavano in Castrocaro a ritirarsi. L'accordo del 1294 lo lasciò libero e poté tornare col fratello Ildebrandino in Toscana dove ebbe da battagliare con le stirpi ghibelline dei Tarlati e degli Ubertini. Verso il 1305 mosse contro Firenze con milizie degli Uberti e dei fuorusciti fiorentini di Parte bianca tra cui sembra fosse lo stesso D., e la repubblica lo dichiarò ribelle. Fu fido seguace di Enrico VII nella sua avventura italiana, continuò quindi la sua lotta armata con Firenze fino all'accordo mediato dal conte Alberto di Mangona, del 10 ottobre 1318, per cui Aghinolfo rientrò nelle file guelfe. Continuò la sua attività di militante guerriero fino a che vecchissimo morì nel novembre 1338 nel castello di Montegranelli, dopo aver dettate le sue ultime volontà a ser Maffeo da Corzano. Sotto di lui il patrimonio del ramo dei conti di Romena si assottigliò e nel Casentino e nel Valdarno. Nell'anno 1300 vendé a Torrigiano dei Cerchi, che agiva col consenso del suo comune, il castello di Fostia in Mugello con tre ville. Il 3 febbraio 1316 vendé un certo numero di castelli ai Pazzi di Valdarno per 4000 fiorini; i Pazzi, a loro volta, col consenso dei G. li rivendettero ai Ricasoli che li tennero sino al 1777 con titolo baronale.
Si credette dal Troia e dal Fraticelli che esistessero contemporaneamente due conti di Romena di nome Aghinolfo, uno il falsario dei fiorini morto nel 1316, l'altro dabbene e virtuoso morto nel 1303; ma poi F. Torraca (A proposito di Aghinolfo da Romena, in " Bull. " XI [1904] 97-108) dimostrò con copia di documenti che tra il 1250 e il 1338 visse un solo conte di Romena di nome Aghinolfo.
Si è avanzata l'ipotesi che il capitano di Parte bianca indicato con la sola iniziale del nome, cioè A, nell'epistola di D. al cardinale Niccolò da Prato (Ep I) sia il conte Aghinolfo. Gli studiosi tuttavia non sono convinti di questa identificazione, che potrebbe anche adattarsi al fratello di Aghinolfo, Alessandro (v.).
Bibl. - L. Passerini, tavola XII delle 20 dedicate ai conti G., in P. Litta, Famiglie celebri d'Italia, XXV, Milano 1866-1867.