aggressivita - Le basi biologiche dell'aggressivita
Il comportamento aggressivo è un elemento comune alla biologia di ogni specie animale, compreso l’uomo. Gli studi comportamentali sull’aggressività hanno beneficiato principalmente delle ricerche in campo etologico e psicologico. La netta distinzione tra determinanti ereditari ed ambientali, che ha caratterizzato lo studio dell’aggressività nei passati decenni, attualmente è superata da una visione unificata. Le neuroscienze hanno il compito di comprendere come i processi biologici e psicologici interagiscono nello sviluppo del comportamento aggressivo e come determinanti genetici, sociali, ontogenetici possano contribuire allo sviluppo di forme patologiche dell’aggressività.
L’aggressività è un sistema comportamentale di cruciale importanza per la sopravvivenza e la riproduzione. Gli animali aggrediscono per ottenere risorse disponibili in quantità limitata, per difendere la propria integrità fisica o per imporre ad altri un comportamento altrimenti rifiutato. L’aggressione è un mezzo e non un fine, e in genere è un comportamento cui si ricorre in assenza di altre strategie di competizione meno rischiose. Una delle prime classificazioni proposte dei vari tipi di aggressività, individua varie forme (predatoria, in difesa della prole, territoriale, di competizione sessuale). Il fatto che l’aggressione raramente abbia conseguenze letali è semplicemente il risultato della necessità per i contendenti di limitare al minimo il rischio di subire danni. Se la risorsa contesa può essere ottenuta senza impegnarsi in un vero e proprio scontro fisico non è vantaggioso aggredire l‘antagonista con violenza, aumentando così la probabilità di una pericolosa reazione difensiva. Un buon esempio del funzionamento di questi meccanismi di regolazione dell’aggressività è la gerarchia di dominanza che caratterizza molte specie sociali, tra cui i primati non umani.
Gli studi (su animali di laboratorio) finalizzati all’individuazione delle aree cerebrali coinvolte nell’aggressività hanno utilizzato principalmente tre tecniche: le lesioni (elettriche o neurochimiche), le stimolazioni elettriche e le registrazioni dell’attività elettrica del cervello, nel suo complesso o nelle sue componenti (analisi dell’attività di gruppi di neuroni attraverso l’uso di microelettrodi). Le strutture cerebrali coinvolte nel controllo dell’aggressività sono l’amigdala, l’ipotalamo, la corteccia temporo-limbica, la corteccia prefrontale, l’ippocampo e la sostanza grigia periacqueduttale. L’amigdala è coinvolta nelle risposte di rabbia, paura e ansia, ed è connessa alle aree corticali temporali e frontali (ippocampo e ipotalamo). La rimozione chirurgica dell’amigdala elimina le risposte aggressive, mentre se essa viene stimolata si inducono risposte emozionali, e se viene modulata farmacologicamente con benzodiazepine od oppiacei si osserva un’attenuazione dell’emotività. L’amigdala riceve informazioni dall’esterno tramite una via talamica rapida e una via, più fine e lenta, dalla corteccia prefrontale. L’antagonismo funzionale di queste due connessioni sui neuroni dell’amigdala è alla base dello sviluppo dei comportamenti emotivi complessi, come quelli in ambito sociale. All’induzione di atti violenti e aggressivi stimolati dalle afferenze talamiche si contrappone il controllo delle reazioni aggressive e il contenimento delle espressioni emotive esercitato dalle aree corticali. Nell’uomo, studi clinici hanno dimostrato che lesioni del lobo temporale causano un aumento patologico del comportamento aggressivo.
Studi di neurobiologia hanno permesso di chiarire in parte i meccanismi neurochimici che mediano il comportamento aggressivo. La relazione tra neuromediatori e aggressività è estremamente complessa. L’acetilcolina, la noradrenalina, l’acido gamma-aminobutirrico (GABA) e la serotonina influenzano la soglia di reazione aggressiva. Studi recenti hanno evidenziato in partic. il ruolo della serotonina: la tendenza a commettere atti impulsivi violenti autodiretti o eterodiretti si associa a una ridotta funzionalità della trasmissione serotoninergica a livello cerebrale. Quest’alterazione neurochimica è stata documentata in differenti popolazioni psichiatriche, ma anche in omicidi che avevano commesso il crimine in modo passionale e non premeditato. La relazione tra ormoni e aggressività è altrettanto complessa, anche se il ruolo del testosterone nel favorire il comportamento aggressivo è stato dimostrato sia nell’uomo che in altri animali.
Diverse specie animali presentano ceppi di individui particolarmente aggressivi che spesso sono caratterizzati da specifiche modificazioni anatomiche e molecolari. Nell’uomo, diversi studi sui gemelli mono- e dizigoti e su individui affetti da alterazioni del genoma hanno dimostrato quanto l’espressione genica moduli i livelli di aggressività. Come accennato, la serotonina possiede un effetto inibitorio su una vasta gamma di comportamenti aggressivi. I pazienti affetti dalla sindrome di Lesch-Nyhan, una rara malattia ereditaria causata da un difetto dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi, che comporta l’accumulo di nucleotidi purinici e anche dei prodotti del loro catabolismo, mostrano alti livelli di aggressività ed autoaggressività. Il trattamento farmacologico di questi pazienti mirato all’aumento dei livelli cerebrali di serotonina riduce i comportamenti aggressivi. Individui con mutazioni puntiformi nel gene che codifica le monoaminossidasi (enzimi che inattivano alcuni neurotrasmettitori come noradrenalina, dopamina e serotonina) esprimono elevati livelli patologici di aggressività di tipo impulsivo.