AGESILAO ('Αγησίλαος, Agesilaūs)
1. Re di Sparta, della dinastia degli Agiadi, figlio di Dorisso. Secondo Apollodoro, regnò quando viveva Omero, tra il 920 e l'877 a. C. Pausania attribuisce ai suoi tempi la legislazione di Licurgo.
Cfr. Erodoto, VII, 204; Pausania, III, 2, 4; Clemente Aless., Strom., I, 141.
2. - Primo re spartano di tal nome nella dinastia degli Euripontidi: fratello minore - e solo per parte di padre - di Agide II, che aveva occupato Decelea dopo la sfortunata spedizione degli Ateniesi in Sicilia, nel 413. Alla morte di costui fu messa in dubbio la legittimità di Leotichida, omonimo del vincitore di Micale, ritenuto figlio dell'adulterio di Timea moglie di Agide con Alcibiade: e Agesilao, che era zoppo, volse in suo vantaggio l'interpretazione d'un oracolo che metteva in guardia Sparta contro un "principato zoppo". Lisandro infatti, suo fautore, patrocinò l'interpretazione che "principato zoppo" fosse quello tenuto da due re, di cui uno non fosse di sangue regio. Lisandro sperava di farsene un docile strumento, o confidando eccessivamente nella gratitudine di Agesilao per essergli debitore del trono, o ingannandosi sull'indole di lui, in cui non aveva forse scorta una forza di volontà e una coscienza chiara dei proprî propositi.
Salì al trono intorno al 400 a. C. Egli si affermò con l'attuazione del disegno di portare una guerra in grande stile contro la Persia, dopo le due spedizioni quasi inconcludenti di Tibrone e Dercilida, poiché, dopo la partecipazione manifesta di Sparta in favore di Ciro Minore, occorreva tentare una soluzione definitiva dell'antagonismo di Sparta con la Persia. Si atteggiava a nuovo Agamennone, volendo fare in Aulide i sacrifici augurali per la spedizione, ma ne fu impedito dai Beoti. A. si recò a Efeso con circa 8000 opliti, ma, trovandosi di contro un nemico fornito di cavalleria, non volle compromettere la situazione, e aderì di buon grado a Tissaferne, che gli propose di rinnovare l'armistizio concluso l'anno innanzi con Dercilida. Ma la guerra era inevitabile. A. simulò un'invasione verso la Caria, dove Tissaferne concentrò tutte le sue truppe: allora si rivolse verso la Frigia indifesa, e poté fare molta preda, ma fu costretto a ritornare verso il mare per evitare la battaglia con Farnabazo ben fornito di cavalleria. Nell'inverno del 396-5, Agesilao si rifornì, approntò la cavalleria e ottenne un buon successo contro le truppe di Tissaferne presso Sardi, onde Tissaferne fu messo a morte. Il successore Titrauste propose un componimento sulla base che A. abbandonasse l'Asia, le città greche fossero libere, e pagassero alla Persia un tributo. Frattanto fu concluso un armistizio di sei mesi, nei quali Titrauste pagò pel mantenimento dell'esercito di A. 30 talenti. A., che aveva avuto anche il comando della flotta, alla quale prepose il suo cognato Pisandro, si spinse nella satrapia di Farnabazo. Strinse alleanza con Oti, re dei Paflagoni, che aveva disertato il gran re, e ne ebbe considerevolmente rinforzato l'esercito. Ma, mentre macchinava nuovi disegni, gli giunse la notizia che si era formata una coalizione contro Sparta, da Corinto, Tebe, Atene, Argo e Megara, per opera del satellite del gran re Timocrate di Rodi. Onde dovette abbandonare la guerra con la Persia per combattere in Grecia i nemici di Sparta. Quando A., attraversando la Macedonia e la Tessaglia, fu tornato, trovò che Lisandro, già da lui rinviato in patria, spedito ora dagli efori contro la Beozia, era caduto ad Aliarto, e il suo collega Pausania era stato tratto davanti al tribunale per non averlo soccorso. A. il 14 agosto 394 era già ai confini della Beozia. Intanto gli Spartani avevano riportato una vittoria poco decisiva a Corinto, mentre per mare la flotta di Pisandro era stata annientata dalla flotta fenicia comandata da Conone. A. riportò una vittoria presso Coronea, comprata a caro prezzo e vi fu anche ferito. Dopo aver curato le sue ferite a Delfo, dove celebrò le Pitie, tornò a Sparta. La sua attività guerriera ricominciò nel 391, dopo che Ificrate, col suo nuovo ordinamento militare avendo dato con le lunghe aste efficienza alla fanteria leggiera, aveva riportato una vittoria completa, distruggendo una mora spartana. A. allora si limitò a devastare il territorio di Corinto, e si ritrasse a Sparta. Nel 389 irruppe in Acarnania, e la conseguenza fu che gli Acarnani accettarono l'alleanza di Sparta. Seguì (386) la pace cosiddetta di Antalcida e la rinunzia di Sparta a combattere i Persiani in Asia. Dopo il colpo di Febida, generale spartano sulla Cadmea, A. restaurò il governo oligarchico a Fliunte, espugnata dopo lungo assedio (381-379) e combatté anche con fortuna in Beozia contro Tebani e Ateniesi. Nelle trattative di pace del 371 negò che i Tebani rappresentassero tutta la Beozia, onde si ripresero le ostilità, che ebbero nella battaglia di Leuttra esito disastroso per Sparta. Egli fece assolvere dall'atimia gli Spartani fuggiaschi; ma non poté impedire che si sfasciasse in gran parte l'impero spartano. Tuttavia continuò tenacemente l'opera di difesa, impedendo che i Tebani traessero vantaggio dalla vittoria di Mantinea nel 362, in cui perì Epaminonda. Egli non riconobbe dopo questa battaglia la pace generale; e, per procurarsi i mezzi di continuare la guerra, si pose agli stipendî di Taco, che si era fatto proclamare re d'Egitto. Ma venuto in discordia con lui, si accostò a Nectanebo, suo nipote, che fu proclamato re in vece sua; e, dopo aver superato Taco, difese Nectanebo da un altro rivale; e Nectanebo lo compensò con la somma di 220 talenti. Ritornava in patria per riprendere la guerra, ma morì prima di giungere a Cirene, in età di 84 anni.
A. non è certo una figura di prim'ordine come Epaminonda, Alcibiade e lo stesso Lisandro; ma è certo molto interessante per l'azione spiegata nella sua patria per poco meno di un quarantennio, e specialmente per l'idealità nazionale, che (nel periodo della guerra contro la Persia) in lui si presenta con contorni ben definiti e salienti. La leggenda ci rappresenta il proposito di salpare, come Agamennone, da Aulide, quale effetto di una visione avuta in sogno, ma certo egli concepì il disegno d'inferire un colpo mortale al regno di Persia, se anche non poteva illudersi di distruggerlo, e l'atteggiamento a nuovo Agamennone, se anche un po' retorico, rivela il suo programma panellenico. Non fu nell'arte della guerra un innovatore come Ificrate ed Epaminonda; ma che talenti militari non gli mancassero, provano tutti i buoni successi avuti in Asia e in Europa. Il trattamento che A. usava coi popoli vinti, informato a durezza e violenza, non fu inaugurato da lui, ma era tradizionale nella politica spartana, specialmente dopo il crollo della potenza ateniese. Considerando tutta l'opera sua, si comprende quanto Lisandro si fosse illuso nella speranza che A. sarebbe per essere un docile strumento nelle sue mani: egli ebbe invece una volontà decisa e un'energia non comune nell'attuarla. L'essere andato più che vecchio a combattere in territorî tanto lontani per giovare alla sua patria, dimostra che, se il suo corpo era resistente, non meno vigorosa era la sua fibra morale. Inoltre egli possedeva la misura necessaria in certe occasioni, nelle quali l'intransigenza può riuscire pericolosa. Egli non ebbe l'ostinazione di un Acrotato, che si rifiutava di perdonare agli sbandati di Megalopoli; così assolse nella sua veste di nomoteta i fuggiaschi di Leuttra, perché condannare tutti era lo stesso che proclamare la viltà di tutti gli Spartani. Non si poteva pretendere dai soldati l'incondizionata abnegazione della quale avevano dato prova i re, come Leonida e Cleombroto; e certo quegli stessi fuggiaschi assolti non mancarono di riabilitarsi nella prosecuzione della guerra. Agesilao, dunque, sotto tutti gli aspetti, se non si può chiamare un genio, è stato uno dei re più significativi di Sparta, e, confrontato a Pompeo, al quale Plutarco lo paragona, se non ci guadagna, non ci perde nemmeno.
Fonti: Le Elleniche e l'Agesilao di Senofonte, le vite plutarchee di Agesilao, di Lisandro e di Pelopida, le vite di [Agesilao] e Conone, di Cornelio Nipote. Per la descrizione della campagna in Asia, vedi inoltre lo storico d'Ossirinco identificato con Cratippo o Teopompo o anche con Androzione, col. VII e segg.
Bibl.: Stern, Geschichte der spartan. und theban. Hegemonie, Dorpat 1884; Judeich, Kleinasiat. Studien, Marburgo 1892, p. 53 segg.; E. Meyer, Geschichte des Altertums, V, passim; Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., III, i, passim; II, pp. 125, 211-221.