SASSERNO, Agathe Sophie
SASSERNÒ, Agathe Sophie. – Nacque il 3 ottobre 1810 a Nizza, all’epoca parte dell’Impero napoleonico, da Jean Louis, già capitano del I battaglione delle Alpi Marittime, quindi aiutante di campo del generale Andrea Massena (1799-1802), e Marie Sybille Chartroux.
La postdatazione dell’anno di nascita al 1814 (Toselli, 1860) è infondata e servì forse solo a far coincidere la venuta al mondo di Agathe Sophie con l’acquisita italianità di Nizza, che proprio in quell’anno veniva annessa al Regno di Sardegna. Il padre, uomo rigido e severo, già cinquantenne al momento della nascita della figlia, morì cieco nel 1829. La madre – come poi confessò l’autrice in una lettera del 1854 all’amica baronessa Olimpia Savio Rossi – aveva deciso fin dall’infanzia il destino da nubile della fanciulla.
In un clima domestico assai povero di slanci affettivi, e cagionevole di salute sin dall’infanzia, Agathe Sophie trovò nella poesia la prima vera ragione di vita. Pur non seguendo studi regolari, lesse Dante, Francesco Petrarca e Torquato Tasso. A quindici anni scoprì Corinne di Madame de Staël e le Méditations poétiques di Alphonse de Lamartine. Fu poi la volta dei romantici inglesi, fra cui Percy Bysshe Shelley e George Byron. Sedicenne, indirizzò una poesia Au général Lafayette, il quale accolse favorevolmente i suoi versi e la incoraggiò a dedicarsi alla scrittura.
Il primo volume di liriche – Les Sylphides. Chants d’une jeune fille, di gusto romantico già nel titolo, apparso nel 1838 per i tipi dell’editore nizzardo Suchet – riunì testi redatti per lo più nel triennio precedente. L’uso del francese, in cui compose tutte le sue liriche e redasse la sua corrispondenza, non assurgeva certo a dichiarazione di francofilia; l’autrice si sentì sempre italiana e politicamente filosabauda, come attesta già la dedica iniziale «à Sa Majesté le Roi Charles Albert», che era anche atto d’amore per la città di Torino, dove era stata tempo prima visitando il Palazzo Reale e il Museo Egizio.
La retorica celebrativa del «Prince généreux» nella prima poesia Au Roi si accompagnava alla glorificazione di Roma, «reine de temps passés» (nella poesia Industria), di Napoli («Naples») e dell’Italia tutta attraverso la schiera dei «forti» di foscoliana memoria (di cui Cristoforo Colombo era degno esponente nella poesia a lui dedicata), nonché al motivo prettamente patriottico (in Pietro Micca, con esergo foscoliano) e a quello dell’esilio (l’addio all’Italia di Adieu). Vi trovavano spazio anche taluni topoi cristallizzati (la metafora della vita come nacelle in cerca di un porto) e la riflessione elegiaca sul trascorrere del tempo e sulla morte (quella prematura di un fanciullo in Élégie sur la mort d’un petit enfant), la rievocazione dell’infanzia come âge charmant e, più in generale, certo sentimentalismo da romance tardoromantica (come in La pauvre fille).
Come dichiarato dall’autrice in una lettera a suo cugino, Les Sylphides ottenne un buon successo di pubblico: stampato in 1400 copie, il volume fu recensito positivamente in una quindicina di giornali. Diversi lettori italiani scrissero all’autrice per ringraziarla delle emozioni che la lettura aveva loro procurato.
Dedicò un carme di omaggio A Sa Majesté la Reine Marie Christine de Bourbon, per i tipi della Société tipographique di Nizza nel 1842, condito della medesima retorica encomiastica dei suoi versi albertini. Con un’epistola in francese del 25 settembre dell’anno successivo, Silvio Pellico si complimentò per i suoi successi letterari.
Nel 1844 vide la luce il poème lyrique dal titolo Haute-Combe, scritto per incarico della già omaggiata sovrana Maria Cristina, vòlto a glorificare il casato sabaudo (alcuni membri del quale sono sepolti presso l’Abbazia di Altacomba) e pubblicato per i tipi degli stabilimenti tipografici Fontana di Torino. Una recensione al poema, in cui si riconosceva l’altezza dell’argomento trattato e l’ingegno dell’autrice, comparve nella Gazzetta piemontese del 17 maggio 1845.
L’anno successivo fu la volta della silloge Ore meste. Chants sur l’Italie et poésies intimes et religieuses, ancora per i tipi torinesi di Fontana. Aperto da una dedica «à son excellence le compte D. Philibert Avogadro», protettore di letterati e artisti, il volume segnava la ripresa del genere lirico-elegiaco, con minore concessione alla retorica di Les Sylphides (di cui pure riproduceva alcuni testi) e un ampliamento tematico testimoniato dal cospicuo numero di poesie religiose (Hymne, l’invocazione alla Vergine di Une larme sur l’autel, le Stances chrétiennes, l’invito alla preghiera rivolto ai fanciulli in Le rosaire, la personale dossologia di Cantique, Hosanna, la Paraphrase dei Salmi 50 e 129, e via enumerando). Fra la rievocazione nostalgica de ma terre natale, demandata al fior di limone (Le fleur de citronnier), i numerosi souvenirs, gli accenti lacrimosi (come in Mélancolie e Amertume) e la consueta perorazione dei «forti» d’Italia (Dante come figura profetica e divina, Vittorio Alfieri tribun de l’Italie e avverso alla tirannide), spiccavano certo le liriche a Matilde Ioannini (Cimiès, Élégie, La poésie), segno di amicizia (testimoniata anche dall’adattamento italiano che la Ioannini aveva fatto della poesia La pauvre fille nei suoi Canti, 1845), a Diodata Saluzzo, al fratello Edouard, architetto (L’architecture) e A mon cousin le Chevalier Biscarra. Obbedendo alla mitografia del tempo, celebrò la figura di Tasso, assai cara al romanticismo italiano (Torquato Tasso à l’hôpital Sainte-Anne). Una recensione alla raccolta, corredata di un’ode in italiano indirizzata all’autrice, apparve nel Museo scientifico, letterario ed artistico del 1846 e recava la firma di Pier Antonio Borrè.
Alla morte della madre, nel 1847, si accinse a trasferirsi a Torino. In questo anno e nel successivo vinse il premio letterario della Société archéologique de Béziers con i poemetti Ange et Minla e Le festin de Balthasar. Nel capoluogo piemontese, introdotta a corte dal cugino pittore Giovanni Battista Biscarra, strinse amicizia con Massimo d’Azeglio, Alfonso La Marmora, Luigi Cibrario e l’avvocato Massimo Mautino, di cui si innamorò. Con alcuni di essi (soprattutto Cibrario) intraprese fitte corrispondenze epistolari nel decennio successivo.
Intensificò la scrittura poetica, lavorando alla raccolta Glorie e sventure. Chants sur la guerre de l’indépendance italienne et poésies nouvelles, che, già annunciata (ma con titolo differente) su un numero della Gazzetta piemontese del luglio 1848, apparve in due volumi per i tipi torinesi della Tipografia di Fory e Dalmazzo nel 1852.
Il primo volume, in particolare, era testimone di un ritorno di interesse per quel motivo storico-politico che aveva avuto un ruolo solo marginale in Ore meste. Al centro era ancora l’elogio della figura di Carlo Alberto, di cui si ricordavano gli editti del 29 ottobre 1847 e l’annuncio dello statuto l’8 febbraio 1848, seguito da un percorso lungo le tappe più significative della prima guerra d’indipendenza fino a La défaite de Novare, all’esilio di Oporto e alla morte del sovrano sabaudo, passando per Pastrengo, Santa Lucia, Calmasino, Curtatone, Peschiera, Goito, Rivoli, Custoza, e celebrando al tempo stesso anche le figure di Vincenzo Gioberti, dei tre martyrs (Goffredo Mameli, Anita Garibaldi e Ugo Bassi), e di Daniele Manin.
In una lettera a Cibrario (all’epoca ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna) del 21 dicembre 1853, chiese il finanziamento di un journal di impostazione monarchica e liberale, da redigersi in francese, che contribuisse a rinsaldare il legame fra Nizza e il Piemonte e si opponesse alle tendances séparatistes del neonato Avenir de Nice. Pochi mesi dopo realizzò il sogno di un’edizione parigina delle sue poesie, che uscirono nella Collection des premiers écrivains du XIXe siècle presso Charpentier. La raccolta, di carattere antologico, era intitolata Poésies françaises d’une italienne. Nel frattempo, per mantenersi, dava lezioni di lingua francese presso l’istituto femminile di Madame Elliot a Torino.
Divenuta socia corrispondente dell’Accademia imperiale di Lione nel 1855, lavorò, nonostante l’aggravarsi di una malattia polmonare, alla sua ultima silloge poetica, Pleurs et sourires. Étrenne poétique dédiée aux dames piémontaises, che fu stampata l’anno dopo per i tipi dell’Unione tipografico-editrice torinese, fondata da Giuseppe Pomba (la moglie del quale, dedicataria della raccolta, le aveva procurato un alloggio).
I toni più riflessivi (a partire dalla poesia d’apertura, Au tomber de la nuit, o in Désenchantement) e mesti (come in Abattement), che adombravano forse un’influenza di Giovanni Prati, si coniugavano, in questa nuova raccolta, a testi di carattere più descrittivo (Un bal à la campagne e Une matinée à la campagne).
Strinse rapporti d’amicizia con Francesco De Sanctis, il quale, tuttavia, non esitò a criticarne l’opera poetica in due articoli apparsi nel Piemonte del 1856 (poi ripresi nei Saggi critici).
In una lettera del gennaio 1857 a Cibrario (fino all’anno prima ministro degli Affari esteri del Regno di Sardegna), chiese di poter consultare gli archivi storici di corte per la stesura di un roman historique sulla figura di Carlo Emanuele III di Savoia, commissionatole da un imprecisato editore parigino. Nonostante la disponibilità di Cibrario, che nella sua risposta dichiarò di volerla indirizzare al senatore Carlo Baudi di Vesme, esperto di cose storiche, il testo non fu probabilmente mai scritto. Uscì però una sua ode dal titolo Les canons d’Alexandrie, canto di guerra che era anche veicolo dell’ennesima glorificazione del sovrano sabaudo («Roi sublime»), nell’Almanacco nazionale per il 1857 (VIII, Torino 1957).
Il peggioramento delle condizioni di salute la costrinse a rientrare subito dopo a Nizza, da dove non si spostò più se non saltuariamente. Qui morì in solitudine, il 6 giugno 1860. L’anno dopo Raffaello Garagnani la ricordò in un canto «in morte» in terzine dantesche.
Opere. Oltre alle citate, si ricorda l’edizione delle Poesie, a cura e con un saggio su la cultura femminile piemontese... di M.A. Prolo, Milano 1937.
Fonti e Bibl.: J.L. Toselli, Biographie niçoise..., II, Nice 1860, pp. 210-220; O. Savio Rossi, Alcuni cenni sulla vita troppo breve di A.S. S., in La donna e la famiglia, II (1863), 4, pp. 204-219; M.A. Prolo, A.S. S., in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, 1932-1933, vol. 68, t. 2, pp. 467-483; Ead., Carteggio inedito di A.S. S. con L. Cibrario, in FERT. Bollettino dell’Associazione oriundi savoiardi e nizzardi italiani, n.s., V (1933), 2, pp. 125-134; F. De Sanctis, Poesie di S. S., in Id., Saggi critici, I, Bari 1952, pp. 291-303; G.G. Amoretti, Una poetessa romantica tra Francia e Italia, in Versants. Revue suisse des littératures romanes, XXXI (1997), pp. 45-64.