AGAPETAE
. Trascrizione del greco αγαπητααί "amate, dilette" (nel senso cristiano di ἀγαπάω, ἀγάπη). Erano così chiamate le cristiane che convivevano con loro correligionarî; tutti vincolandosi ad osservare la castità. Nella Similitudine IX del Pastore di Erma, in cui la Chiesa è raffigurata come la Torre prossima al compimento, e le varie categorie di fedeli come le pietre, che il Pastore (angelo della penitenza) mette a prova, Erma viene ad un certo punto lasciato con un gruppo di vergini, che lo invitano a rimanere con loro la notte "da fratello, non già come sposo"; passano infatti la notte in preghiera (c. 11). L'allusione apologetica a questa istituzione, proposta da Hefele, è stata ripresa e fatta accettare da Achelis. La base scritturale si è voluta vedere nel diritto, affermato in I Corinzi, IX, 5, che gli apostoli avevano, di condurre seco "una donna sorella" (ἀδελϕὴν γυναῖκα). Gli abitanti di Antiochia diedero tuttavia, a queste vergini, specie se convivevano con ecclesiastici, il nomignolo di σινείσακτοι (subintroductae). E da S. Cipriano (Epist., IV) al concilio di Ancira del 314 (can. 19), da S. Girolamo (Ep., XXII, ad Eustochium) a S. Giovanni Crisostomo, che vi dedicò un trattatello (περὶ μὴ τὰς κανονικάς συνοικεῖν ἀνδρᾶσιν, "che le donne sottoposte a regola non coabitino con uomini"), la tradizione patristica è nettamente contraria ad un uso tanto pericoloso, e tale da generare sospetti.
Bibl.: H. Achelis, Virgines subintroductae, Lipsia 1902; Hefele e Leclercq, Histoire des Conciles, I, Parigi 1907, p. 201 n. 2, 236 n. 4, 536 segg.