SPANÒ, Agamennone
– Nacque secondogenito di quattro figli maschi a Reggio di Calabria, nel gennaio del 1755, dal gentiluomo Giacinto e da Lucrezia Monsolini. La famiglia paterna apparteneva al patriziato locale e aveva, lungo tutta l’epoca moderna, ricoperto con i propri esponenti numerosi incarichi nel governo cittadino.
Nel 1770 entrò nella Reale Accademia militare di Napoli e divenne cadetto nel reggimento di fanteria Messapia nel 1772. Aderì presto, assieme al fratello maggiore Diego, alla massoneria e benché nel 1775 giurasse davanti alle autorità militari di non far parte di alcuna loggia, sembra che continuasse nella propria attività latomica, frequentando circoli massonici nella capitale come a Reggio. Nel 1782, divenuto nel frattempo alfiere, sposò la nobildonna Anna Gatto, dalla quale ebbe quattro figli.
Inviato in missione nei territori colpiti dal terremoto di Calabria del 1783, venne poi destinato a Gaeta, dove fu promosso secondo tenente. Nel 1786 tornò di nuovo a Reggio, dove accolse, assieme al fratello Diego, autorevole esponente della massoneria locale, il pastore luterano Friedrich Münter in viaggio per il Mezzogiorno quale rappresentante della setta degli Illuminati. Nel 1793 prese parte, come primo tenente, alla spedizione di Tolone, da dove rientrò a Gaeta l’anno successivo con il grado di capitano.
Divenuto l’anno successivo secondo maggiore del reggimento Real Napoli, ottenne la promozione a primo maggiore nel 1798 e con quel grado, sul finire dell’anno, prese parte alle operazioni militari avviate dal re Ferdinando IV contro le truppe francesi di stanza nella Repubblica Romana. Alla rapida avanzata dei reggimenti napoletani tenne però dietro una precipitosa ritirata e inutili furono le dimostrazioni di valore di Spanò in occasione degli scontri presso San Germano.
Tornato a Napoli mentre il re aveva già abbandonato la capitale per fare vela alla volta della Sicilia, partecipò all’inutile resistenza del popolo della capitale all’invasione francese, tenendo con un drappello di uomini il forte del Carmine. Solo la nascita della Repubblica Napoletana, il 21 gennaio 1799, all’indomani dell’ingresso delle truppe d’Oltralpe, lo convinse ad accettare il nuovo ordine e a tagliarsi, come simbolo di adesione ai valori rivoluzionari, il codino che ancora portava. Le sue competenze militari vennero presto utili alla Repubblica e il 18 febbraio 1799 fu chiamato a far parte della commissione incaricata di giudicare tutti gli episodi di ribellione in armi, mentre una settimana dopo soltanto gli veniva assegnato il comando generale della guardia nazionale.
In quelle vesti tentò, con alterni risultati, di ordinare la sicurezza della città di Napoli e di tutta la Repubblica: a fronte delle insorgenze che presero presto a devastare le province, suggerì che la guardia nazionale divenisse un vero e proprio organo militare e si dotasse di un corpo di cavalleria nel quale potessero iscriversi quanti già disponevano dell’animale o potevano permettersi di pagarlo. Fu l’occasione perché Eleonora de Fonseca Pimentel prendesse posizione, dalle colonne del suo foglio, il Monitore napoletano, contro una proposta che le sembrava reintrodurre in modo surrettizio una distinzione di ceto nella difesa della patria. Facendo appello a quanto già accaduto nei giovani Stati Uniti d’America, dove la proposta di creare una Società dei Cincinnati aveva suscitato forti polemiche perché la militanza in quei ranghi sembrava adombrare la nascita di una nuova aristocrazia, la donna condannò la proposta, che passò solo con un compromesso, perché l’esecutivo stabilì che la cavalleria della guardia nazionale dovesse smobilitare non appena la Repubblica si fosse dotata di un corpo di linea. Nei giorni immediatamente successivi, la pronta radicalizzazione dell’esecutivo napoletano, intervenuta a seguito dei cambiamenti introdotti dal nuovo rappresentante francese a Napoli, André-Joseph Abrial, obbligò Spanò a rassegnare le dimissioni dal comando della guardia nazionale per passare subito alla diretta difesa della Repubblica con il grado di generale di brigata.
Assunto il comando della legione repubblicana Volturno, marciò alla volta di alcuni comuni del Salernitano in rivolta, dove gli riuscì di disperdere facilmente i ribelli; portatosi su Avellino, venne però presto alle prese con un’insorgenza molto più numerosa, contro la quale non gli fu possibile resistere a lungo: già sul finire di maggio, nella località di Boiano, venne sorpreso da un improvviso assalto degli insorti, che lo ferirono a una gamba e misero in rotta la sua forza.
Costretto a rientrare a Napoli, benché convalescente, prese parte all’ultima difesa della Repubblica. Presto ogni resistenza fu però vana e Spanò cercò riparo dalla repressione rifugiandosi nell’isola di Ischia, dove venne però scovato e tratto in arresto, condannato a morte e afforcato il 19 luglio 1799.
Gli sopravvissero il fratello maggiore Diego e il minore Giuseppe, ambedue a lungo incarcerati – il primo a Favignana e il secondo a Messina – con l’accusa di aver ordito a Reggio, sul finire del 1798, una congiura giacobina.
Fonti e Bibl.: C. Morisani, A. S., in Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, a cura di L. Accattatis, III, Cosenza 1869, pp. 293-295; M. D’Ayala, Vite degl’Italiani benemeriti della libertà e della Patria, Torino-Roma-Firenze 1883, pp. 541-544; F. Scandone, Cronache del giacobinismo irpino (1792-1805), in Atti della Società storica del Sannio, III (1925), pp. 81-84, VIII (1930), pp. 105-108; V. Mezzatesta, A. S., in Calabria sconosciuta, 1985, n. 31-32, pp. 85-88; Il Monitore napoletano, a cura di M. Battaglini, Napoli 1999, p. 475; Leggi, atti, proclami ed altri documenti della Repubblica napoletana, 1798-1799, a cura di M. Battaglini - A. Placanica, I, Cava de’ Tirreni 2000, pp. 595, 741-743; R. Di Castiglione, La massoneria nelle Due Sicilie e i fratelli meridionali, IV, Roma 2013, pp. 232 s.