AFRODISIADE di Caria (᾿Αϕροδισιάς, Aphrodisias)
Città ai confini tra la Caria e la Frigia, sulle pendici O del Salbakos (Plin., Nat. hist., v, 109; Paus., i, 26, 5; Strabo, xii, 576; Appian., Bell. civ., i, 97); fiorente durante l'Impero, metropoli della Caria. Il luogo fu visitato da vari viaggiatori del XVIII sec., che ne descrissero le rovine. Alcune campagne di scavi vi condussero i Francesi e, nel 1937-38, una missione italiana (G. Jacopi e L. Crema).
Le mura hanno uno sviluppo di m 3400, ben conservate a N, all'angolo S-O e alla porta E, costruite a blocchi, ricavati da monumenti più antichi, disposti a filari di diversa altezza (spessore da m 2,50 a m 5,50) con cammino di ronda; il perimetro è irregolare, con torri distanti dai 40 ai 50 m appoggiate alla cortina; si riscontrano almeno sei porte e posterule; quella O, con arco di scarico, ha una dedica all'imperatore Costanzo, quindi le mura scendono alla metà del IV sec. d. C.; altre iscrizioni parlano di restauri più tardi. Incorporato nel tratto N delle mura è lo stadio (m 273,80 × 85 circa), che ha le due estremità semicircolari; l'arena, lunga m 227,70, è circondata da un podio a lastre di pietra; vi dovevano essere 30 file di sedili su terrapieno, con accesso da scale esterne, e due passaggi a vòlta alle estremità. Un muro ad arcate cieche chiude in alto l'ambulacro; un muro circolare in epoca tarda creò un piccolo anfiteatro alla estremità E dell'arena. Verso il centro della città era il tempio di Afrodite, trasformato in chiesa bizantina, in parte saggiato dal Mendel e dal Replat. Il tempio era dentro un tèmenos porticato, preceduto a E da una vasta piazzà con propilei di accesso. Il tèmenos aveva una porta a E (m 3 di larghezza) e un colonnato corinzio (18 × 32) aggettante dal muro, con nicchie, simile ai prospetti dei ninfei e dei teatri asiatici. Anche la piazza antistante, larga m 57 e lunga m 100, era porticata e i propilei erano costituiti da 4 colonne doppie, fronteggiate all'interno da 4 colonne e all'esterno da due file di altre 4, corinzie, con basi attiche, fusto a scanalature tortili. Il tempio fu in gran parte smontato per essere trasformato in basilica (m 32,50 per 62) a tre navate, di tipo anatolico, con due narteci a forma di forcipe e abside. Il tempio era octastilo con 13 colonne sui lati lunghi (circa m 19,60 per 32), celle senza opistodomo. Le colonne ioniche hanno basi attiche e alcune recano targhe sul fusto con il nome del donatore (alte m 8,63, diam. m 1,o8). Il fregio è ornato da festoni retti da amorini e figure femminili. Il tempio si può datare nella seconda metà del II sec. d. C., la basilica al IV sec. A S del tèmenos è un odeon (diam. m 50 circa) con scena sul limite N di una piazza (m 205 per 120) con doppio colonnato ionico, con fregio a festoni retti da amorini; lungo il lato N, forse senza portico, passava una strada fra la piazza e la scena.
Questa agorà è forse uno sviluppo, attuato nel II sec. d. C., di quella più antica dell'epoca di Tiberio, scavata più a S dallo Jacopi, ai piedi dell'acropoli. Questa misura m 210 × 70, è circondata da tre lati da un portico ionico con epistilio, fregio e cornice in marmo locale; il fregio è decorato di festoni sorretti da protomi scolpite, di cui ne sono state recuperate 177 dei tipi più diversi: divinità maggiori e minori, semidei, geni, mostri, ninfe, Amazzoni, eroti, menadi, Muse, fauni, satiri, sileni, etc.: vasto repertorio tipologico di uno stile un po' convenzionale ma di effetto decorativo, anche con riecheggiamento di celebri modelli di Fidia, Skopas, Prassitele; vi si son voluti riconoscere anche ritratti di Augusto e Tiberio. Sull'architrave è stata ritrovata l'iscrizione dedicatoria ad Afrodite e a Cesare Augusto Giove Patrio, a Tiberio, a Giulia Augusta, cioè Livia, e al popolo, fatta da due Diogeni e databile tra il 14 e il 29 d. C. Il Ferri pensò di riconoscere in questa corte porticata il ginnasio diogeniano, ricordato in una iscrizione, mentre lo Iacopi la ritiene un'agorà, essendovi stato ritrovato anche un frammento dell'Edictum de pretiis di Diocleziano, che doveva esservi esposto.
Questa piazza fu poi collegata, con un porticato intermedio, a un grande edificio termale adrianeo sul lato O, scavato dai Francesi. Un triplice fornice e due porte centrali mettevano nel cortile (m 68,5o per 24,40), situato 1 m più in alto. Di contro, una grande esedra con due piloni e arcone decorato come un arco trionfale, con colonnato che girava intorno al cortile, a colonne corinzie doppie sui lati corti, con trabeazione riccamente decorata. I pilastri dell'arco erano decorati a spirali d'acanto con amorini e animali, nel fregio, tra i capitelli, figure della Tyche di A. e forse del fiume Meandro con corona turrita e cornucopia. Grandi mensole decorate semplici e doppie, oggi nei musei di Smirne e di Istanbul, erano sulle pareti e reggevano il soffitto del colonnato. Questo cortile doveva costituire la palestra delle terme, composte da quattro sale che immettono in altre cinque grandiose, di cui la centrale, probabilmente il calidarium (m 29,50 per 14), ha nicchie semicircolari. Si sono trovate varie statue di imperatori e magistrati fino al V sec. d. C., e quindi le terme furono in uso fino a tale epoca. Sulle pendici E dell'acropoli era un teatro, con galleria anulare e ambulacro superiore (diam. più di m 100); la cavea poggiava su sostruzioni con vomitoria, il teatro era collegato con il portico dell'agorà e deve datarsi nella prima metà del I sec. d. C. Si hanno, a S, rovine di un edificio con sala rotonda a 4 nicchie, un'altra rettangolare con nicchie e vari ambienti. Nei pressi sono i resti, forse di un ginnasio, scavati dai Francesi. Un altro piccolo teatro era fuori delle mura. Dell'età bizantina, oltre alla basilica, rimangono rovine di una chiesa ai piedi dell'acropoli e di un edificio circolare ad O. La città, in terreno pianeggiante con la piccola altura dell'acropoli, presentava uno schema regolare, con strade incrociantesi ad angolo retto secondo gli assi dell'agorà, con edifici e piazze a schema rettangolare organico.
Scuola di A. - La vicinanza delle ricche cave di marmo, le fioride condizioni della città e il sorgere di tanti monumenti, crearono una serie di officine di marmorari e di scultori, che si tramandarono l'arte di padre in figlio e molti dei quali emigrarono nei vari centri dell'impero romano. Sappiamo anche che si celebravano, nelle feste Lisimachee Taziane, concorsi di scultura. Mentre ad A. abbiamo una sola firma di artista e le molte opere rinvenute non sono firmate, conosciamo 35 firme, di cui una ventina sono state rinvenute a Roma e dintorni; le altre a Pesaro, a Sorrento, a Calvi, a Siracusa, ad Olimpia, a Corinto, a Paro, a Lyttos, a Cirene e una è di provenienza incerta; ciò dimostra che la capitale dell'impero rappresentò il maggior centro di attrazione. (Si vedano le voci sotto il nome dei singoli artisti). La più antica firma è quella di M. Cossutius, del periodo augusteo, rinvenuta a Paro; segue quella di Cornelius (Olimpia) e quella di Koblanos (Sorrento); forse la prima espansione a Roma avvenne sotto i Flavî, poiché alcuni artisti hanno il gentilizio Flavius. Le prime opere trovate a Roma sono della fine del sec. d. C., e traianei sono Zenon di Attinas, Zenas di Alessandro e, forse, Zenon di Alessandro, ma il maggior numero di scultori risale al periodo adrianeo, in cui lavoravano Antonianos, autore del bel rilievo di Antinoo Silvano, Zenas di Zenas, Aristeas e Papias autori dei Centauri del Museo Capitolino, Zenion di Zenion e Licinius Priscus. Al periodo antoniniano appartengono Flavius Zenon, che ci ha lasciato il maggior numero di firme, e anche Flavius Chryseros e Flavius Andronikos. Incerta la cronologia di Menestheus di Menestheus, di Zenon di Dionisios, di Polyneikes scultore di tabulae Iliacae. Nel II sec. d. C. si può porre Lucius Atinias Syneros. Tutti questi firmano sempre in greco, ma l'ultima firma che abbiamo, quella di Atticianus del IV-V sec., è ormai in latino. Alcuni sono copisti, con accenti virtuosistici nella lavorazione del marmo, altri sono ritrattisti, altri creatori di opere di un eclettismo classicheggiante. Ma accanto a queste sculture firmate sono da attribuire a questi artisti una vasta serie sia di altre opere non firmate trovate ad A., fra cui le belle statue di magistrati del V sec., oggi nel museo di Istanbul, sia di sculture decorative architettoniche: fregi, mensole, pilastri dei monumenti di A. stessa, soprattutto dalle terme e dall'agorà, di uno stile fastoso, esuberante, ricco di chiaroscuri, con sbrigliata fantasia ornamentale, che unisce motivi vegetali, animali e figurati, stile che si riscontra anche in altre decorazioni architettoniche di altri centri, dove dobbiamo ammettere un'attività di questi scultori, come a Léptis Magna nei pilastri della Basilica Severiana e nell'arco dei Severi. Seppero così fondere in queste sculture decorative la tradizione tecnica e stilistica dell'ellenismo con la monumentalità dell'architettura romana, non senza quel carattere fastoso e barocco tipicamente asiatico.
Bibl: R. Pococke, Beschreibung des Morgenlandes, III, Lipsia 1755, p. 102 ss.; id., Antiquities of Jonia, III, c. 2; L. Laborde, Voyage de l'Asie Mineure, Parigi 1838, p. 95 ss.; W. Hamilton, Researches in Asia Minor, Pontus and Armenia, I, Londra 1842, p. 529; Ch. Texier, Description de l'Asie Mineure, III, Parigi 1849, p. 149 ss., tav. 150 ss.; Ch. Texier-R. P. Pullan, The Principal Ruins of Asia Minor, Londra 1865, p. 47 ss., tav. 26 ss.; Ch. Fellows, Travels and Researches in Asia Minor, Londra 1852, p. 251 ss.; P. Tremaux, Esploration archéologique en Asie Mineure, Parigi, s.d., tavv. 1-7; M. Collignon, Les fouilles d'Aphrodisias, in Revue de l'Art Anc. et Mod., XIX, 1906, p. 40 ss.; G. Mendel, in Comptes rendus de l'Acad. d. Inscr. et B.L., 1906, p. 159 ss.; A. Boulanger, in Comptes rendus de l'Acad. d. Inscr. et B.L., 1914, p. 46 ss.; E. Will, Les ruines d'Aphrodisias en Carie, in Revue Arch., XII, 1938, p. 228 ss.; G. Jacopi, Gli scavi della Missione Arch. It. ad A. nel 1937, e L. Crema, I monumenti architettonici afrodiensi, in Mon. Ant., XXXVIII, 1939, cc. 73-312, tav. V, I-XLIX.
Scuola di A.: Th. Reinach, Inscriptions d'Aphrodisias, in Rev. Ét. Gr., XIX, 1906, p. 79 ss.; J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School. A Chapter in the History of Greek Art, Cambridge 1934, p. xxv ss.; M. Squarciapino, La Scuola di A., Roma 1943.