AFRICA (I, p. 730; App. I, p. 57; II, 1, p. 67; III, 1, p. 39)
Sviluppo delle conoscenze. - Venuto meno l'interesse per le esplorazioni a largo raggio, si sono intensificati gli studi su aree ristrette ai quali partecipano, accanto a ricercatori europei, indigeni che hanno compiuti i loro studi in università europee. Non manca già qualche contributo da parte di università africane (come Dakar, Abidjan, Ibadan, Nairobi, oltre ad Algeri, Il Cairo, Città del Capo, ecc.).
Nell'impossibilità di dar notizie sui progressi delle conoscenze nei singoli stati (per i quali si rimanda alle voci relative) si fa cenno delle principali imprese che riguardano tutto il continente. Un contributo notevole ha recato soprattutto l'UNESCO, cui si deve il volume A review of the natural resources of the African Continent (Parigi 1963), a cura di più autori; da vedere soprattutto A. Rumeau per le conoscenze topografiche (pp. 19-49), con carta delle levate alle diverse scale, F. Diney per la geologia e le risorse minerarie (pp. 51-100, con carta), J. Rodier per l'idrologia (pp. 179-220, con ampia bibliografia). Spetta all'UNESCO anche il merito di aver pubblicato alcune carte alla scala 1:5 milioni in 9 fogli relative alla geologia (1964), alla tettonica (1968) e alla vegetazione (1975); quest'ultima distingue 60 associazioni vegetali diverse. Per il clima merita di esser ricordato per la copia di dati messi ora per la prima volta a disposizione degli studiosi il volume di J.F. Griffiths, Climates of Africa (Amsterdam 1972), che costituisce il vol. 10° del World Survey of Climatology. Si sono intanto iniziati i lavori sul terreno e la raccolta di materiali, sotto l'egida della Deutsche Forschungsgemeinschaft, per la pubblicazione di un grande atlante tematico africano. Tra le opere recenti che mirano a dare una visione geografica d'insieme del continente africano emerge quella di P. Gourou (L'Afrique, Parigi 1970), noto per le sue ricerche nei paesi tropicali. Per altre opere d'insieme è da vedere la bibliografia in fondo alla voce.
Modificazioni dell'ambiente fisico. - Poiché il continente africano ha una rete idrografica dalla quale si calcola potersi ricavare il 40% dell'energia idrica di tutta la Terra, è proseguita l'utilizzazione dei principali fiumi costruendo nuovi sbarramenti, che servono in pari tempo a trattenere le acque per estendere le aree irrigue. E poiché i confini tagliano spesso i bacini fluviali, sono in corso delle intese per addivenire di comune accordo allo sfruttamento, com'è il caso del Kagera (progetto di sistemazione del bacino da parte dell'ONU), del Senegal e del bacino del Ciad.
L'A. possiede ora alcuni dei laghi artificiali più estesi, come quello del Volta nel Ghana (km2 8730), ottenuto mediante la diga di Akosombo (1965), che ha permesso di regolare le portate del fiume, che variano a seconda dei venti dominanti, ottenendo gran copia di energia, in parte utilizzata nella fabbrica di alluminio di Tema: la creazione del lago ha reso necessario lo spostamento di 80.000 persone; sulle rive settentrionali del lago, presso Yapei, è stato creato un approdo (Tamale Port). Di grande portata è anche la costruzione (ultimata nel 1966) della diga Hendrik Verwoerd sull'Orange nella Repubblica Sudafricana, che s'inquadra nell'Orange River Project; la costruzione di una galleria di 13 km attraverso la catena dei Bosberg e altri lavori mirano a trasferire le acque dalla parte orientale della Provincia del Capo (bacini dei fiumi Fish e Sundays) a quella occidentale, allo scopo di estendere le aree irrigue; sono in corso lavori che prevedono la costruzione di altri serbatoi e di canali di diversione (per 82,5 km). Un'altra diga di grandi dimensioni, in corso di costruzione, è quella di Cabora Bassa nel Mozambico, che sbarra lo Zambesi a valle della diga di Kariba, in corrispondenza alla stretta di Quebrabassa. Nel novembre 1972 è stato poi inaugurato lo sbarramento di Inga nel basso Congo.
Accanto a questi sbarramenti ne sono stati costruiti di recente molti altri di minori dimensioni in numero complessivo di 449 (di cui 272 nel Sudafrica e 49 in Rhodesia). Ricordiamo la diga di Mecra (1964) e quella di Foum Rhiout (1968) sul basso Moulouya nel Marocco; la diga di Cheffia (1965) sull'uadi Bou Namoussa, 50 km SE di Annaba in Algeria; la diga di Buri (1962) sul Volta Nero nel Ghana presso il confine con la Costa d'Avorio; la diga di Bossou (450 km NO di Abidjan) nella Costa d'Avorio, sul fiume Bandama, di cui si è iniziata la costruzione nel 1970; la diga di Kainji sul Niger in Nigeria (ultimata nel 1969). E poi ancora lo sbarramento sull'Atbara nel Sudan, non lontano dal confine etiopico, che ha dato luogo al trasferimento degli abitanti nella nuova città di Khashm el-Girba (1964), e la diga di Roseires (1966) sul Nilo Azzurro a monte di Sennaar. Nel marzo 1962 è stata ultimata la diga di Eldoret nel distretto di vashin Gishu nel Kenya. Nel 1964 le dighe di Butondo presso Mufulira nella Zambia e quella di Nyumba ya Munga sul fiume Pangani nella Tanzania. Nel Malawi è stato costruito lo sbarramento di Liwonde (1965) sul fiume Shire e nella Rhodesia le dighe di Bangala (1963), di Odzani (1965) e di Chiredzi (1966). Nell'A. meridionale sono di recente costruzione la diga di Harpad (1962) sul fiume Fish presso Mariental nell'A. di sud-ovest; la diga di Nuane presso Lobatsi nella Botswana (1962); la diga di sebaboleng (1968) presso Maseru nel Lesotho e quella di Lubisi sul fiume Indwe (1967) nel Traskei (Repubblica Sudafricana).
In alcuni casi le sistemazioni idriche mirano a combattere l'erosione del suolo, fenomeno abbastanza frequente nell'A. tropicale, specie là dove il contrasto tra stagione umida e arida è più marcato, dove il pascolo eccessivo da parte del bestiame che calpesta il terreno durante la stagione delle piogge può causare una degradazione irreversibile della vegetazione, fino a giungere a una denudazione completa del suolo. Altrove l'agricoltura itinerante facilita il processo di laterizzazione, estendendo i terreni dotati di limitata fertilità.
Le aree irrigue si sono andate e si vanno di continuo estendendo; un calcolo (dovuto al Fels) le valutava (nell'anno 1965) intorno a 63 mila km2 (di cui 24.800 nell'Egitto, 7600 nel Sudan, 6200 nella Repubblica Sudafricana, 6100 nel Madagascar, 3000 nel Mali e altrettanti in Guinea, ecc.). Soltanto l'estensione delle pratiche irrigue potrà limitare i danni delle prolungate siccità, come quella che ha imperversato negli anni 1972 e 1973 nel Sahel, in una fascia che va dalla Mauritania all'Etiopia, causando la morte di 3,5 milioni di capi di bestiame. Di contro talvolta le piogge risultano troppo copiose e arrecano improvvise inondazioni, come quelle che nell'ottobre 1969 hanno causato in Tunisia oltre 500 vittime umane.
Il nuovo quadro politico. - Ai 22 stati che avevano già ottenuto l'indipendenza dopo la seconda guerra mondiale (1950-60), se ne sono aggiunti nell'ultimo quindicennio più d'altrettanti (v. oltre, Storia).
L'evoluzione politica dell'A. si è dunque svolta in modo rapidissimo e qualche riscontro si può trovare soltanto con quanto è avvenuto nella prima metà del secolo scorso nell'America Centrale e Meridionale, quando un gruppo di una ventina di stati si è svincolato dalla dipendenza dal governo spagnolo.
Gli stati africani che hanno acquistato l'indipendenza ricalcano per la massima parte i confini delle antiche colonie e dei territori nei quali erano divisi. Così dall'A. Occidentale francese sono derivati otto stati distinti, dall'A. Equatoriale francese quattro stati, dagli antichi mandati tedeschi tre stati, dai possedimenti del Belgio tre stati, dalle colonie e protettorati inglesi una quindicina di stati e così via.
Non è mancata a ogni modo qualche rettifica. Così la Repubblica Somala comprende ora sia la Somalia italiana, sia quella britannica; il Marocco si è ingrandito della parte settentrionale e di una parte di quella meridionale e inoltre di Ifni, che appartenevano alla Spagna, come pure di Tangeri, città sotto regime internazionale, e più recentemente di una parte del Sahara spagnolo; l'Etiopia ha inglobato l'Eritrea, ottenendo così uno sbocco al mare (coi porti di Massaua e di Assab); parte del Camerun (quello sotto amministrazione fiduciaria britannica) è passato alla Nigeria, mentre la porzione del Togo sotto amministrazione fiduciaria inglese è stata inglobata nel Ghana. Malgrado queste rettifiche (e altre di minor conto) i confini dei nuovi stati risultano spesso arbitrari dato che, soprattutto nelle regioni interne e periferiche, si tratta di regioni poco note per cui non mancano le contese, che si sono già verificate tra Etiopia e Somalia per il possesso dell'Ogaden e dell'Haud, tra Somalia e Kenya, tra Algeria e Marocco e tra Marocco e Mauritania per le regioni sahariane.
Il sorgere di un numero così grande di stati ha creato problemi del tutto particolari, fomite di attriti. Il Sudan, che si estende nel bacino medio e superiore del Nilo, confina con otto stati, lo Zaire ha per vicini ben nove stati, il Sahara risulta ripartito tra dieci stati diversi, il bacino del Niger (a somiglianza del Danubio in Europa) tra otto stati. Frequente è il caso di stati che mandano dei cunei nei territori dei vicini; così il Mali ha la figura di un arco, la Rhodesia divide quasi in due parti il Mozambico, il Camerun si spinge con un corridoio fino al Lago Ciad, lo Zaire si apre l'accesso all'Atlantico soltanto con uno stretto corridoio. Anche delle vicende storiche non è stato possibile tener conto; così l'antico Impero Songhai, che nella prima metà del sec. 16° aveva riunito sotto un unico sovrano gran parte dall'A. Occidentale, è ora ripartito tra nove stati diversi.
Nella loro distribuzione attuale gli stati africani rispecchiano alcuni caratteri fisici del continente, che risulta massiccio e nel complesso ostile al popolamento per la vastità degli spazi occupati dal deserto e dalla foresta pluviale. Sul lato occidentale, dalla parte del- l'Atlantico, e sul lato orientale, rivolto al Mar Rosso-Oceano Indiano si affacciano due serie di stati, dal Marocco alla Repubblica Sudafricana a occidente e dall'Egitto alla stessa repubblica a oriente; la Repubblica Sudafricana, nella parte più stretta del continente, ha potuto estendersi sui due oceani, mentre a nord Marocco ed Egitto traggono vantaggi dall'affacciarsi sul Mediterraneo.
La parte interna dell'A. risulta occupata da vaste estensioni prive di acque correnti (areiche) o costituite da bacini interni che non hanno collegamento col mare (zone endoreiche). Di riflesso esiste anche un tal quale endoreismo politico, rispecchiato dall'esistenza di ben otto stati interni, alcuni dei quali di grandi dimensioni, come il Mali, il Niger, il Ciad. La Libia e la Mauritania corrispondono per la massima parte a plaghe areiche, desertiche. Condizioni più favorevoli caratterizzano gli stati dell'A. Occidentale, dato che dal mare verso l'interno si succedono fasce diverse di vegetazione (foresta equatoriale, savana, steppa) con prodotti che s'integrano a vicenda.
La grandezza degli stati varia molto sia per superficie che per popolazione. L'isola di Mauritius si estende su appena 2045 km2, mentre il Sudan, che è lo stato più vasto, comprende un territorio di 2,5 milioni di km2 (un quarto dell'Europa). La Guinea Equatoriale conta appena 289.000 abitanti, mentre la Nigeria coi suoi 67 milioni di abitanti è 230 volte più popolata. Accanto a stati molto vasti, ma poco popolati, come la Libia, la Mauritania e la Botswana con appena un abitante per km2, vi sono stati di piccole dimensioni ben popolati, come il Burundi e il Rwanda, e ancor più Mauritius, con densità superiori a 100 abitanti per km2.
Cambiamento di nomi. - Il desiderio di metter da parte il ricordo della colonizzazione europea ha indotto alcuni stati africani, una volta ottenuta l'indipendenza, a mutare il proprio nome, come pure quello di alcune città.
Così Basutoland è diventato Lesotho; Bechuanaland = Botswana; Congo Belga = Zaire; Congo Francese = Congo; Guinea Portoghese - Guinea Bissau; Guinea Spagnola = Guinea Equatoriale; inoltre il Rio Muni si chiama Mbini, Fernando Poo Macías Nguema e la capitale (Santa Isabel) Malabo. E poi ancora Nyasaland = Malawi; Rhodesia Settentrionale = Zambia; Rhodesia Meridionale = Rhodesia; Somalia Francese = Territorio Francese degli Afar e degli Issa (prima della conquistata indipendenza, 1977); Swaziland = Ngwane; Dahomey = Benin.
In Algeria Bona si chiama ora Annaba, Bougie è Bejaia, Orléansville = el-Assam, Philippeville = Skikda. In Mauritania Port-Ètienne si chiama ora Nouadhibou e Fort Gouraud F' Dérik. Nella Gambia Bathurst ha cambiato nome con quello di Banjul.
Nel Malawi Blantyre è ora Kapeni. Nel Marocco Casablanca ha ripreso il nome arabo di Dar el-Beida e Kenitra viene ora chiamata Mina Hassan Tani. Nel Ciad Fort Lamy è ora N'Djamena e Fort Archambault = Sarh. Nello Zaire il Katanga ha preso il nome di Shaba; il Lago Alberto = Mobuto Seso; il Lago Edoardo = Amin Dada; lo Stanley Pool = Pool Malebo; il Parco Alberto = Parco Virunga. E tra le città, Baudouinville = Moba; Elisabethville = Lubumbashi; Jadotville = Likasi; Léopoldville = Kinshasa; Stanleyville = Kisangani. Nella Zambia Abercorn viene chiamata ora Mbale, Broken Hill è Kabwe; Fort Jameson = Chipata; Livingstone = Maramba. Infine Namibia è dal 1970 il nome usato dalle Nazioni Unite per designare l'Africa di sud-ovest (fino all'ottobre 1966 sotto amministrazione fiduciaria della Repubblica Sudafricana). Dal febbraio 1976 Lourenço Marques si-chiama Maputo.
Mutamenti nella circoscrizione amministrativa e nuove capitali. - Il Camerun, che aveva acquistato l'indipendenza il 1° gennaio 1960, si era unito il 1° ottobre 1961 col territorio rimasto sotto amministrazione fiduciaria inglese (Camerun Britannico = Sardauna), formando la Repubblica Federale del Camerun. Ma dal 1972 è diventato repubblica unitaria. La Libia è stata ripartita nell'aprile 1963 in dieci province. In Egitto è stato istituito (1966) un nuovo governatorato, quello di al-Tahrir (della liberazione). Nel Sudan nel marzo 1972 le tre province di Bahr el-Gazal, Equatoria e Alto Nilo (popolate in prevalenza da popolazioni negre, non musulmane) sono state riunite per formare una regione autonoma. L'Eritrea, che godeva di una larga autonomia, nel 1963 è stata inglobata nell'Etiopia. Il possedimento spagnolo di Ifni nel dicembre 1968 è entrato a far parte del Marocco. Nella Nigeria la Federazione constava di quattro regioni, in seguito all'aggiunta di quella di Mid-West, ma dal maggio 1967 è stata ripartita in dodici stati. Nello Zaire le province sono state ridotte a otto (dicembre 1966), mentre nello Swaziland i distretti sono passati da sei a dieci (dicembre 1963) e nella Gambia le divisioni da quattro a sette (1966); nel Kenya dal marzo 1963 è entrata in vigore una nuova ripartizione in otto province; nuove ripartizioni sono state istituite pure nell'Uganda (9 province) e nella Tanzania.
È da ricordare anche il mutamento di alcune capitali. La Mauritania ha dal 1963 per capitale Nouakchott. Beida è dall'aprile 1963 la capitale amministrativa della Libia. Medina Do Boe è dal settembre 1974 capitale della Guinea Bissau. Gaberone ha sostituito (marzo 1965) Mafeking (la quale aveva l'inconveniente di trovarsi fuori del nuovo stato) come capitale del Botswana. Lilongwe è diventata dal 1° gennaio 1975 capitale del Malawi.
Effetti della decolonizzazione. - Un tratto comune dell'evoluzione dei nuovi stati africani, pur con notevoli differenze, è l'esistenza d'un piccolo numero di persone evolute, tra cui sono stati scelti o hanno più spesso preso il potere con la forza i dirigenti politici attuali - classe che ha coscienza della propria civiltà e accetta e comprende gli apporti di altre colture - e la grande maggioranza della popolazione, che conduce un livello di vita molto basso. L'analfabetismo è tra essa ancora diffusissimo, mentre scarso è lo stimolo al lavoro. Si nota poi spesso un dannoso squilibrio tra la popolazione che vive nelle grandi città e quella che è rimasta nei villaggi. Attratti dal miraggio di una vita migliore numerosi indigeni, soli o con le loro famiglie, hanno abbandonato le loro tribù, dove erano soggetti a diversi obblighi ma godevano pure di vari privilegi, e sono venuti a ingrossare le grandi città, vivendo alla meglio alla periferia, dove sono andati formando dei quartieri precari di baracche, privi di strade asfaltate, di fogne, di acqua potabile, con scarsa illuminazione e rari mezzi di trasporto pubblico. Casablanca ha superato il milione di abitanti ed è la maggiore città dell'A. Minore (il Maghreb degli Arabi); Johannesburg emerge demograficamente tra le città sudafricane; Kinshasa si estende sempre più lungo le rive del Congo, ben al di là dei confini dell'antica Léopoldville. Il rifornimento di queste città, a meno che non possano ricevere i prodotti alimentari da paesi d'oltremare, risulta difficile e costoso. Di contro a queste masse detribalizzate, frequenti soprattutto nell'A. negra, esiste un gruppo, spesso troppo numeroso, di funzionari e di uomini politici, mentre manca per lo più (se si esclude il caso di Lagos e di poche altre città) una borghesia di commercianti e di artigiani, come pure di operai addetti alle industrie, data la mancanza d'iniziativa e di capitali. Qualche città che agisca da focolaio economico, politico e intellettuale a ogni modo non manca, come Dakar nel Senegal, Nairobi nel Kenya, Abidjan nella Costa d'Avorio. Per rialzare il tono di vita degl'indigeni occorre evitare che si formi (com'è accaduto nell'America meridionale, con la quale si hanno molti tratti comuni), una casta privilegiata che risiede nelle grandi città, di contro a una massa miserabile di contadini, che soltanto di nome ha acquistato la libertà. I nuovi stati africani hanno bisogno di un'amministrazione corretta, che sarà possibile soltanto se coloro che governano potranno acquisire una buona conoscenza del paese e riusciranno ad avere rapporti continui e diretti con tutta la popolazione, anche quella raggruppata in tribù periferiche.
I rapporti con gli stati europei (se si prescinde dalla Repubblica Sudafricana e dalla Rhodesia), d'altra parte, si sono andati rapidamente evolvendo. Se ancora fino a qualche anno fa il rapporto economico tra l'Europa e l'A. tendeva in linea di massima a conservare le antiche strutture dell'economia coloniale, che pure era necessaria per stati ancora privi di autonomia economica, oggi tale rapporto appare capovolto, e l'Europa ha decisamente intrapreso una politica di collaborazione con l'A., i cui principali strumenti sono l'assistenza tecnica, gl'investimenti economici, le infrastrutture e il commercio preferenziale.
Raggruppamenti politici. - La difficoltà, specie per gli stati più piccoli e per quelli situati in regioni interne, di far fronte ai problemi internazionali ed economici con le proprie forze, ha spinto i nuovi stati a stringere fra di loro e con le potenze europee da cui in passato dipendevano, dei rapporti politici ed economici che presentano caratteri diversi.
La maggior parte dei possedimenti britannici (se si prescinde dalla Repubblica Sudafricana e dalla Rhodesia) è entrata a far parte del Commonwealth, ma solo Mauritius riconosce ancora come capo dello stato la regina d'Inghilterra, mentre gli altri territori (se si prescinde dal Lesotho e dallo Swaziland, retti a forma monarchica da sovrani locali) hanno preferito costituire delle repubbliche. La Francia aveva cercato d'istituire una comunità analoga, ma non vi è riuscita; tuttavia in alcuni casi continua a mantenere rapporti abbastanza stretti con alcuni stati d'expression française. Intanto cinque stati che facevano parte delle sue dipendenze coloniali (Costa d'Avorio, Alto Volta, Dahomey, Niger e Togo) dal maggio 1959 si sono riuniti e formano il Consiglio dell'intesa (Conseil de l'Éntente), alleanza di carattere politico ed economico, resa efficiente attraverso l'unione doganale e l'istituzione d'un comune fondo di solidarietà. Carattere più spiccatamente economico ha la CEAO (Communauté Èconomique de l'Afrique de l'Ouest), creata nel 1970, con sede a Ouagadougou, di cui fanno parte Mauritania, Senegal, Costa d'Avorio, Dahomey, Niger, Alto Volta. Esiste pure l'OCAM (Organisation Commune Africaine et Mauricienne), fondata nel 1965 a Nouakchott, che comprende dieci stati. Intenti analoghi ha la Comunità dell'Africa Orientale, che dal 1967 rafforza e disciplina le relazioni tra Kenya, Uganda e Tanzania. Qualche tentativo, che però si è dimostrato prematuro, si è avuto per unificare la Libia con l'Egitto. Ma di gran lunga maggior portata ha l'Organizzazione per l'Unità Africana (OUA), fondata ad Addis Abeba nel maggio 1963 per rafforzare l'unità politica e la cooperazione degli stati africani, allo scopo di accelerare il loro sviluppo nel campo sociale, economico e culturale. Di essa fanno parte tutti gli stati africani, salvo la Repubblica Sudafricana e la Rhodesia. Organo principale è la Conferenza dei capi di stato e di governo che si riunisce ogni anno in uno degli stati membri. La sua attività - volta soprattutto al consolidamento dell'indipendenza e alla liberazione politica di tutta l'A. ponendo fine al colonialismo e alla soggezione razziale - è coordinata da un segretariato permanente, che ha sede ad Addis Abeba. Sul piano economico l'OUA procura di favorire quelle iniziative che mirano allo sviluppo dell'A. non più in funzione degl'interessi europei, ma degli stati africani e cerca d'istituire rapporti di cooperazione economica anche con gli altri paesi del Terzo Mondo. Un ambito più ristretto ha l'ECA (Economic Commission for Africa), con sede ad Addis Abeba, fondata nel 1958, per dare impulso al commercio e alle attività economiche. Ma esiste pur sempre un'estrema frammentarietà dell'A. sul piano politico e una certa instabilità, come risulta dalle lotte avvenute nello Zaire (1960-64), dalle crisi del Biafra nella Nigeria (1967-70), dalle contese per la spartizione del Sahara Spagnolo (1975-76) e dai frequenti colpi di stato che hanno portato a regimi militari, di cui il primo fu quello del Togo nel 1963.
Di notevole portata è stata l'adesione (24 ottobre 1962) di buon numero di stati africani alla Comunità economica europea, che associa in tal modo paesi progrediti con paesi in fase di sviluppo; i reciproci rapporti (che escludono considerazioni politiche o ideologiche), riguardano gli scambi commerciali, l'assistenza tecnica e il rafforzamento economico. La collaborazione si è rafforzata attraverso gli accordi stipulati a Yaoundé e ribaditi nella convenzione di Lomé (28 febbraio 1975), alla quale hanno partecipato e aderito 46 stati (europei, africani, e anche dei Caribi e del Pacifico).
La popolazione: struttura demografica ed etnica. - La popolazione africana supera ora i 400 milioni di abitanti. Secondo i dati raccolti dall'ufficio statistico delle Nazioni Unite e i calcoli di K. Witthauer, l'incremento, a partire dal 1960, è quello risultante dalla tab. 1.
Non per tutti i paesi si posseggono dati attendibili sul movimento demografico, che presenta notevoli differenze da parte a parte. Così la natalità nel 1970 mentre è stata del 23,6‰ tra la popolazione bianca della Repubblica Sudafricana sale al 36,2‰ in Tunisia ed è ancor più alta nel Camerun (43,1‰ negli anni 1965-70). Rispettivamente in questi tre paesi la mortalità è stata del 9,2, del 16 e del 23‰. Anche la mortalità infantile è molto diversa. Si contano infatti nella Repubblica Sudafricana 21,6 decessi di bambini di meno di un anno su 1000 nati vivi (1973) tra i bianchi e 132,6 decessi nella popolazione di colore. Per il decennio 1963-72 il tasso di accrescimento annuo per tutta l'A. è circa del 2,6% (di contro al 2% di tutta la Terra): ogni anno la popolazione africana aumenta perciò di 10 milioni di abitanti.
Valori di densità più alti della media (14 ab. per km2) si riscontrano nell'A. Occidentale, più bassi nell'A. Centrale. Cifre superiori a 50 ab. compaiono soltanto nell'Egitto (88 ab., se si esclude la zona desertica), la Nigeria (74), le isole di Capo Verde (70), Mauritius (416), Burundi (122), Ruanda (148), Comore (126), Réunion (185), mentre non raggiungono la densità di 5 ab. per km2 la Libia (1,4), il già Sahara Spagnolo (meno di 1), Mauritania (1), Mali (4), Niger (3), Somalia (4), Territorio degli Afar e Issa (4), Botswana (1), Namibia (1), Rep. Centroafricana (4), Ciad (3), Gabon (2), Congo (3), Angola (4). Forte si fa sentire l'attrazione esercitata dalle città costiere, dai centri amministrativi e dai distretti minerari, verso i quali si verificano ingenti spostamenti degl'indigeni. Basterà ricordare gli esempi di Casablanca (1971: 1.506.373 ab.), Dakar (1969: 581.000), Lagos (1971: 1.476.837 ab. nell'agglomerazione urbana), Johannesburg (1970: 1.407.963), Kinshasa (1970: 1.323.039). Lo sviluppo rapidissimo di queste città (che contano gran numero di disoccupati) crea problemi del tutto particolari per quanto riguarda la viabilità, le fognature, l'illuminazione, i trasporti in comune, il rifornimento di generi alimentari. Grave è anche il problema sanitario, dato che gl'indigeni nei loro spostamenti trasportano con sé anche malattie da un paese all'altro; notevole diffusione ha tuttora la malaria.
La struttura etnica dei nuovi stati africani risulta in molti casi eterogenea. Nel Sudan all'elemento arabo, che costituisce la maggioranza, si oppone l'elemento negro e per di più anche la religione è diversa, musulmana nel primo, cristiana o pagana nel secondo; in Etiopia gli Amhara sono in minoranza rispetto alle popolazioni delle regioni periferiche (Galla, Sidamo, Dancali, ecc.); nella Nigeria agli Haussa e ai Fulani delle regioni settentrionali, che per di più sono musulmani, si contrappongono nelle regioni meridionali gli Yoruba (cristiani) e gli Ibo (pagani): invano questi ultimi hanno tentato di rendersi autonomi costituendo uno stato a parte, il Biafra; nel Burundi diíIicile è risultata la coesistenza di classi diverse di abitanti; la Somalia rivendica tre territori che si trovano fuori delle frontiere. Ma più grave risulta la situazione della Repubblica Sudafricana, dove l'elemento europeo (costituito in prevalenza da Boeri, che parlano l'afrikaans, un olandese arcaico, e da Inglesi), pur formando poco meno di un quinto degli abitanti, pratica verso la maggioranza, costituita da negri abbastanza evoluti (Cafri, Zulù, ecc.), una politica razziale piena di discriminazioni. La Repubblica Sudafricana, che dal 1961 non fa più parte del Commonwealth dato che la sua politica non era condivisa dagli altri componenti di questo organismo, ritiene di poter superare i contrasti etnici (aggravati dal fatto che esiste anche una minoranza di Indiani, soprattutto nel Natal) dando una tal quale autonomia agl'indigeni, raggruppandoli in territori riservati esclusivamente ad essi (Bantustans = Territori autonomi Bantu), come il Transkei (cap. Umtata), che ha accolto gl'indigeni del gruppo Xhosa. Più vasto (un po' più della Sicilia) e ben popolato (oltre 2 milioni di ab.) è il territorio autonomo di Kwazulu. Supera il milione di abitanti anche il Lebowa, mentre gli altri territori bantu finora creati sono meno popolati. Anche nella Rhodesia, proclamatasi indipendente nel novembre 1965, esiste una situazione analoga e 267.000 europei (per la massima parte Inglesi) hanno messo da parte 5 milioni e mezzo di indigeni e reggono il paese, di cui posseggono i terreni migliori, adatti a colture redditizie.
Durante il periodo coloniale gli europei avevano diffuso le lingue della madrepatria e sia l'inglese che il francese erano diventate lingue d'uso nei possedimenti della Francia e del Regno Unito. Questo si spiega col fatto che in A. non esistono nazionalismi linguistici, ma prevale un tribalismo tale che l'esistenza di molteplici lingue tribali (se ne contano 62 nel Kenya e 37 in Uganda) rende difficile la formazione di nazionalità linguistiche di tipo europeo. Ora però le due lingue europee perdono terreno e si prevede che in un futuro non lontano saranno sostituite da linguaggi indigeni. Nel mondo mediterraneo l'arabo ha già il sopravvento, nella Tanzania lingua ufficiale è il kisuaheli (un linguaggio bantu con influenze arabe che nel 1970 è stato introdotto anche nel Kenya, a parità con l'inglese), nella Somalia dall'ottobre 1972 lingua ufficiale è il somalo (lingua cuscitica, scritta in caratteri latini), nel Congo viene diffuso il lingala e così via.
Aspetti economici. - Per comprendere i problemi economici dei nuovi stati africani occorre tener presente che la maggior parte di essi ha avuto fino a pochi anni fa rapporti di dipendenza da unità statali europee e che tutta la vita economica era orientata in questo senso: coltivazioni, miniere, attività industriali, commercio, vie di comunicazione. Valga come esempio la situazione del Senegal, uno degli otto territori che formavano l'A. Occidentale francese. La coltura di gran lunga prevalente, diffusa dai coloni francesi, era quella dell'arachide, che aveva sostituito la vegetazione spontanea rappresentata dalla savana e si era estesa dapprima lungo la linea ferroviaria Dakar-Saint-Louis, poi anche lungo il corso del fiume Saloum e la ferrovia Thiès-Kayes. L'arachide costituiva l'85% delle esportazioni del Senegal e risultava di gran lunga la coltura dominante, che influiva favorevolmente anche sul commercio (effettuato per buona parte attraverso Kaolack, "porto delle arachidi"), sui trasporti e sulle industrie (raffinerie di olio di arachidi, sviluppatesi soprattutto a Dakar, capitale del Senegal). Vigeva perciò una tal quale monocoltura, a servizio della madrepatria, esercitata dagl'indigeni per volere della Francia, a scapito delle tradizionali colture cerealicole di sussistenza (soprattutto miglio e sorgo). E poiché il terreno coltivato continuativamente ad arachidi si esaurisce presto, ne è nata un'economia devastatrice, deficitaria sul piano alimentare, che ha posto i dirigenti del nuovo stato nella necessità di operare sollecitamente una riconversione, rivolta a far fronte ai reali bisogni del paese. La Guinea e la Somalia si erano invece specializzate nella produzione delle banane, l'Uganda e l'Egitto nel cotone, il Ghana nel cacao, lo Zaire (specie il Katanga) e lo Zambia nell'attività mineraria. Naturalmente anche le comunicazioni erano in funzione delle esportazioni e le ferrovie, come pure le strade principali, asfaltate, mettevano capo ai porti d'imbarco delle materie prime, alcuni dei quali aperti in epoca recente oppure notevolmente migliorati per agevolare queste funzioni. Invece le comunicazioni interne, rivolte a collegare le varie parti del paese e a sviluppare le regioni più lontane dal mare togliendole dal loro isolamento, erano rimaste quasi sempre trascurate.
Per adeguarsi alle nuove condizioni e far fronte alle esigenze delle popolazioni locali, il compito dei nuovi stati è immenso e non sarà possibile, in molti casi, raggiungere risultati tangibili senza la collaborazione degli stati più evoluti. In alcuni campi qualche cosa è stato fatto, per es. nel settore che riguarda l'utilizzazione delle ricchezze idriche (di cui si è già fatto cenno). Le enormi risorse idroelettriche non escludono la possibilità di un certo sviluppo industriale, in campi particolarmente adatti, come l'industria pesante elettro-metallurgica ed elettrochimica (per la metallurgia del rame, dello zinco e dell'alluminio e per la produzione di concimi azotati), mentre una maggiore diffusione delle irrigazioni lascia prevedere che le colture intensive potranno venire maggiormente estese, una volta che la popolazione sia fissata al suolo e scompaia l'agricoltura itinerante.
Per ora le industrie hanno potuto affermarsi, data la presenza di capitali, di materie prime e di una manodopera più evoluta, soprattutto nella Repubblica Sudafricana, che possiede i due quinti degl'impianti, rivolti soprattutto alle industrie alimentari (50%), alla fabbricazione di tessuti e di abiti (15%), alle industrie chimiche (10%) e del legno (5%). Anche i paesi del Nordafrica sono abbastanza ben dotati di industrie (30% del totale), soprattutto nel settore tessile e alimentare, mentre il resto dell'A. dal punto di vista industriale, anche se qua e là qualche impianto non manca, risulta ancora sottosviluppato e bisognoso di acquistare prodotti industriali. Si nota già un promettente risveglio. Cementifici sono sorti di recente in Libia (Homs), Nigeria (Calabar), Zambia (Ndola), Uganda, Malawi (Zomba). Nel Marocco è sorto a Safi un complesso chimico (1965). In Egitto è stata costruita una fabbrica, di grandi dimensioni, di prodotti farmaceutici (1964), cui si aggiungeva nel 1971 una fabbrica di concimi chimici (Helwan). Nel Sudan (Khartum Nord) ha iniziato la produzione un grande impianto tessile (1962). Nel 1967 sono entrate in funzione la fabbrica di alluminio di Tema (Ghana) e nel giugno 1969 le acciaierie di el-Hadjar (Algeria). Ma questi nuovi impianti e altri minori non sono in grado di far fronte ai bisogni di oltre 400 milioni di abitanti. La popolazione dei nuovi stati africani dovrà perciò continuare a dipendere per i prodotti lavorati da paesi industriali, ai quali potrà dare in cambio materie prime di cui ha esuberanza, sia prodotti del sottosuolo (petrolio, rame, ferro, fosfati, ecc.), sia prodotti agricoli che non possono essere coltivati nei paesi industriali della zona temperata (come caffè, cacao, cotone, banane, e altri prodotti).
Da parte dell'ONU si è provveduto, mediante un fondo speciale, a finanziare diversi progetti, rivolti a migliorare le condizioni economiche dei paesi africani più bisognosi (come la Somalia, il Togo, ecc.). Dal 1965 esiste un'apposita commissione (UNDP = United Nations Development Programme) che ha recato assistenza tecnica in diversi rami (utilizzazione delle acque, valutazione delle risorse forestali, sviluppo dell'agricoltura intensiva, miglioramento dell'istruzione tecnica, ecc.).
L'agricoltura. - Mentre nell'A. settentrionale e in quella meridionale l'agricoltura presenta aspetti per molti riguardi simili a quelli dei paesi mediterranei e temperati, problemi diversi si pongono all'agricoltura nell'A. popolata dai negri. L'asserita fertilità dei terreni della zona tropicale merita di essere infatti ridimensionata. In molti luoghi infatti, specie ai due lati dell'equatore, il terreno risulta inadatto alle colture e prevalgono terreni lateritici poco fertili per mancanza di elementi assimilabili da parte delle piante (calcio, azoto, potassio) e prevalenza di sostanze sterili (idrossido di ferro, che dà al suolo ma tinta rossastra). Gli elementi solubili nelle zone caldoumide sono portati via dalle acque d'infiltrazione e il terreno è povero di humus. Gl'indigeni perciò raramente sono legati al suolo da più generazioni, come nei nostri paesi, e praticano di preferenza un'agricoltura itinerante che li spinge a spostarsi in terreni nuovi, conquistati alla foresta, quando la produttività si abbassa. I concimi, date le elevate spese di trasporto, si possono usare soltanto nelle zone costiere, mentre altrove i rendimenti sono mediocri. I progressi compiuti sono stati per ora modesti. Secondo i dati statistici delle Nazioni Unite la produzione complessiva dell'agricoltura africana è passata come volume da 100 nel 1963 a 126 nel 1972. Ora l'A. partecipa col 64% alla produzione mondiale di olio di palma, 33% delle arachidi, 73% del cacao, 29% del caffè, 10% del cotone, 12% delle banane, 10% del tè, 5% del tabacco. Ma appena il 3% delle terre dell'A. nera viene posto a coltura. Indubbiamente bisogna che la terra renda di più, sia per poter sfamare un maggior numero di bocche, sia per poter rifornire di materie prime le industrie e aumentare le esportazioni. Non occorre per questo una grande copia di investimenti e un impiego eccessivo di macchine: bisogna invece attirare gl'indigeni, e specialmente i giovani, al lavoro dei campi, evitare i continui spostamenti, associare al lavoro agricolo l'allevamento del bestiame, che in molti casi (per es. nella Tanzania, Somalia, ecc.) appartiene a tribù pastorali, spesso in antagonismo con quelle agricole. Per progredire l'agricoltura inoltre ha bisogno di persone competenti che insegnino alle donne (sono esse che praticano il lavoro dei campi nell'A. negra) le norme elementari del ciclo produttivo, a liberare la terra dalle radici, a praticare, quando occorra e nelle modalità più opportune, l'irrigazione, senza che sia necessario per questo far impiego di operazioni troppo costose. Ma, a parte le manchevolezze tecniche, occorre poi che il lavoro dei campi sia meglio rimunerato e che la produzione dei generi che non servono alla sussistenza possa giungere ai mercati senza passare per troppi intermediari. I tecnici consigliano d'intensificare l'agricoltura con un piano graduale, senza distruggere la struttura sociale attuale, tenendo conto del peso non indifferente che ha la tradizione. Nella foresta pluviale sarà possibile diffondere piante alimentari (come la manioca, tubero molto nutriente, che dà una farina di cui l'A. produce il 44% del totale mondiale) e in pari tempo piantagioni di cacao, di palma da olio, di banani, di hevèa da caucciù. La zona della savana si presta invece ad esser coltivata a riso, cotone, arachidi, miglio, agave da sisal, valendosi di concimi e di piccoli lavori irrigui, avendo come ausiliari il bue e l'asino, che sono invece esclusi dalla foresta pluviale. Dell'allevamento basterà dire che - se si prescinde dalla Repubblica Sudafricana dove esistono vasti pascoli adatti agli ovini, simili a quelli dell'Australia, che permettono un'ingente esportazione di lana - occorre provvedere a far sì che non costituisca un'attività autonoma, ma sia associato all'agricoltura in modo da alleviare al contadino il lavoro dei campi (là dove ciò è possibile, cioè nei paesi tropicali) e dare al terreno quel concime animale di cui ha bisogno. In pari tempo potrà esser migliorata la dieta degl'indigeni, ora esclusivamente vegetale. Ma per far questo sarà necessario non solo combattere le malattie, ma anche superare molti pregiudizi sociali nel campo dell'allevamento bovino specie tra quei popoli dell'A. orientale tra i quali è in uso quella forma sentimentale di allevamento che fa del bestiame un patrimonio intangibile, piuttosto che un capitale che rende e si rinnova di continuo. Ma è soprattutto il bestiame minuto e gli animali da cortile che possono giovare a integrare il reddito familiare e a migliorare la dieta, in genere deficitaria, dei negri.
Le ricchezze minerarie. - Prospettive migliori che per il passato si hanno nel campo delle ricchezze del sottosuolo. Infatti accanto alle miniere d'oro, di diamanti (da ornamento) e di cobalto, note da più tempo e per le quali la Repubblica Sudafricana è alla testa nel mondo, all'estrazione del rame della Zambia e del Katanga (Zaire), che accanto a quelle della Repubblica Sudafricana e di altri paesi (Rhodesia, Namibia, Uganda) danno una produzione pari al quinto del totale mondiale, ai fosfati del Nordafrica (Marocco e Tunisia, cui si è aggiunta la produzione della Repubblica Sudafricana e del Senegal: 26% della produzione mondiale), alla grafite del Madagascar, recente è il rinvenimento di ingenti quantitativi di petrolio e di minerali di ferro.
Per il petrolio la produzione africana (1961: 700.000 t; 1974: 270 milioni) resta poco al di sotto dell'11% del totale mondiale e accanto alla Libia (75,2 milioni nel 1974, ma 161,7 milioni nel 1970) e all'Algeria (48 milioni), annovera tra i principali produttori la Nigeria (112,9 milioni), dove il petrolio si estrae nel delta del Niger con pozzi in parte nel mare; l'Egitto (7,3 milioni), che possiede diversi giacimenti lungo il Mar Rosso; l'Angola (8,7 milioni); il Gabon (9,2 milioni); la Tunisia (4,1 milioni). Una serie di oleodotti agevola il trasporto del grezzo ai porti d'imbarco, dove sono sorte anche numerose raffinerie, mentre altri oleodotti (Beira-Umtali in Rhodesia; Durban-Johannesburg; Dar es-Salaam-Ndola, ecc.) provvedono a rifornire di petrolio regioni interne. Un oleodotto 330 km) collega anche il Golfo di Suez col Mediterraneo (dove sbocca presso Alessandria). Sono stati effettuati nuovi ritrovamenti anche di gas naturale. Nel settembre 1964 è entrato in funzione il primo impianto per la liquefazione a Port Arzew (Algeria).
Per il minerale di ferro, passate in secondo piano le miniere del Nordafrica, che non si prestano a uno sfruttamento su vasta scala, hanno acquistato importanza per il rifornimento delle acciaierie europee (specialmente quelle costiere di Taranto, Dunkerque, ecc.) i giacimenti della Mauritania (7,8 milioni di tonn. nel 1974), della Repubblica Sudafricana (6,3 milioni), dell'Angola (dal 1966 esportazione dal giacimento di Cassinga, imbarcato a Moçamedes: 3,4 milioni) e soprattutto della Liberia (24,5 milioni), che hanno attirato manodopera in zone disabitate, fatto costruire lunghe linee ferroviarie e aprire nuovi porti. Ora l'A. partecipa al 10% della produzione mondiale di minerale di ferro.
Per il platino ha acquistato importanza la Repubblica Sudafricana (miniere di Rustenburg nel Transvaal). Diversi paesi partecipano alla produzione di stagno (9% del totale mondiale); alla Nigeria e allo Zaire seguono Repubblica Sudafricana, Ruanda, Namibia e Rhodesia. Per il manganese, accanto alla produzione della Repubblica Sudafricana (1,3 milioni di tonn nel 1974) è andata aumentando la partecipazione del Gabon (987.000 t: miniere di Moanda, presso Franceville, aperte nel 1962) e del Ghana (313.000), che porta la produzione africana a un terzo di quella mondiale. Alla produzione di bauxite (5% della produzione mondiale) partecipano Guinea (giacimento di Boké, dal 1965), Ghana e Sierra Leone (distretto di Moyamba, dal 1963). Un giacimento di rutilo, di cui finora era maggior fornitrice l'Australia, è stato trovato nella Sierra Leone (nella fascia costiera a SE di Freetown). Wollastonite esiste in quantità nel Kenya (80 km a S di Nairobi).
Vie di comunicazione. - I nuovi stati africani hanno considerato come uno dei loro compiti principali quello di migliorare le vie di co municazione in modo conforme alle esigenze delle nuove condizioni, cercando di mettere la capitale in rapporto con le regioni interne e con gli stati confinanti. La rete stradale è stata perciò ristrutturata estendendo le strade asfaltate, che possono essere percorse coi mezzi meccanici in ogni stagione. Di pari passo il numero complessivo delle automobili è andato aumentando (da 3,5 milioni nel 1976 a 5,9 milioni nel 1974).
Le ferrovie in alcuni casi (per es. in Libia e in parte nella Sierra Leone) sono state sostituite con strade asfaltate percorse da automezzi pubblici, mentre invece altrove sono state costruite delle nuove linee.
Tale è il caso dei tronchi che convogliano ai porti d'imbarco minerali di ferro, come la Buchanan-Monte Nimba (km 266) in Liberia, aperta nel 1963, e la Port-Ètienne (Nouadhibou)-Kédia (km 675) in Mauritania (1963). Carattere minerario ha pure la Port Kamsar-Boké-Sangaredi (km 219) in Guinea e il tronco, aperto nell'ottobre 1972, che collega la stazione di Dolisie sulla Brazzaville-Pointe Noire con M'Binda (km 275), dove mette capo la teleferica che trasporta il manganese dalle miniere del Gabon (Moanda). Ferrovia mineraria è pure quella, aperta nel settembre 1964, che nel Mozambico mette in rapporto le miniere di ferro di Ngwenya (nello Swaziland, presso il confine col Transvaal) con Goba (km 223). In Egitto l'oasi di Bahariya (che ha depositi di minerali di ferro) è stata collegata con la rete del delta (1963). Nell'Angola un tronco di 65 km mette in rapporto le miniere di Cuina con la stazione di Robert Williams sulla linea del Benguela. Altre linee già esistenti sono state prolungate verso l'interno. In Nigeria la ferrovia ha raggiunto nel 1961 Bauchi nel Bornu e nel 1964 Maiduguri. Nell'Angola la linea di Moçamedes è stata prolungata (1961) fino a Serpa Pinto (754 km dalla costa atlantica). Nel Sudan la ferrovia meridionale arriva fino a Wau (1962). Nel Camerun nel 1971 è stata completata la linea Yaoundé-Belabo, iniziata nel gennaio 1964. Nella Tanzania esiste (dal 1963) un collegamento (km 187) tra la ferrovia centrale e la linea di Tanga, mentre nel 1964 il porto di Mtwara è stato congiunto a Nachingwea. Dal maggio 1970 Mpimbi nel Malawi è collegata a Nova Freixo nel Mozambico. Tronchi minori sono stati costruiti nel Ghana (1964) tra Tema e la diga di Akosombo, nella Repubblica Sudafricana (1965) tra Delmas e Hawkerlip, come pure tra le linee già esistenti (che formano una rete di 22.155 km), e alcune nuove miniere. Intanto nell'ottobre 1970 è stata iniziata la costruzione della Tan-Zam (km 1800), per collegare il porto di Dār es-Salām nella Tanzania con Kapiri Mposhi nella Zambia, in modo di svincolare questo paese, per l'esportazione del rame, dal passaggio per la Rhodesia e il Mozambico. Finanziata da capitali cinesi, questa importante linea di penetrazione è stata inaugurata il 23 ottobre 1975.
Ad agevolare le comunicazioni sono stati costruiti anche molti nuovi ponti, alcuni dei quali di grandi dimensioni, come quelli sul Niger tra Asaba e Onitsha (gennaio 1966), sul Nilo tra Khartūm e Omdurman, sul Nilo Alberto a Pakwach in Uganda; inoltre l'isoletta su cui si trova la città di Mozambico è stata collegata alla terraferma (giugno 1967).
Nuovi porti sono stati aperti a Tema nel Ghana (30 km da Accra) nel gennaio 1962; a Mtwara nella Tanzania (in sostituzione di Lindi) nel settembre 1962; a Marsa el-Hariga presso Tobruk in Libia (febbraio 1967), che si aggiunge ai terminali petroliferi di Marsa Brega, es-Sidrah, Ras Lanuf, Zuetina. Altri porti petroliferi sono Arzew, Bejaïa e Skikda in Algeria, Cabinda-Malingo e Moçamedes nell'Angola, Bonny, Escravos e Forcados in Nigeria, La Skirra in Tunisia.
Del tutto fittizia è l'appartenenza a uno stato africano, la Liberia, della più grande flotta mercantile del mondo (103,7 milioni di t di stazza, di cui 66,1 milioni di petroliere al 30 giugno 1974), trattandosi di una "marina di comodo". Anche la Somalia, da qualche anno a questa parte, ha una flotta che rientra in questa categoria (2,8 milioni di t).
Commercio. - Se si esclude la Repubblica Sudafricana, il movimento commerciale con l'estero degli stati africani continua a presentare in modo marcato i caratteri di un regime coloniale con prevalenza nelle esportazioni di una ventina di prodotti, rappresentati da materie prime (in ordine di valore: petrolio, rame, caffè, cotone, cacao, legname, diamanti, arachidi, fosfati, ecc.); l'importazione comprende una vasta gamma di prodotti lavorati e semilavorati d'ogni genere. Questa caratteristica viene rispecchiata dal fatto che una decina di stati africani trae vantaggio in prevalenza dall'esportazione di un solo prodotto, come Libia (petrolio, 99%), Zambia (rame, 69%), Mauritius (zucchero, 88%), Mauritania (minerale di ferro, 80%), Nigeria (petrolio, 74%), Liberia (minerale di ferro, 70%), Zaire (rame, 67%), Algeria (petrolio, 66%), Ciad (cotone, 65%), Ghana (cacao, 64%), e un'altra decina di stati da due prodotti: Gambia (arachidi e olio di arachidi), Uganda (caffè e cotone), Sudan (cotone e olio di semi), Somalia (bestiame e banane), Sierra Leone (diamanti e minerali di ferro), ecc. L'adesione degli stati africani alla Comunità economica europea non ha recato, almeno per ora, modificazioni di rilievo.
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Storia. - La decolonizzazione. - Al 1960 è stato dato l'appellativo di "anno dell'Africa"; nel corso di esso infatti ben 17 paesi accedevano all'indipendenza, a conclusione di processi politico-costituzionali diversi, in taluni casi lungamente maturati con la responsabile partecipazione e la consapevole pressione delle popolazioni, o almeno delle élites locali; in altri casi affrettati per rispondere alle istanze anticolonialiste ormai dominanti, o venuti a compimento per l'applicazione di uno stesso iter a territori di differente sviluppo politico.
Rispettivamente il 1° gennaio e il 27 aprile fu proclamata l'indipendenza di due territori retti in amministrazione fiduciaria dalla Francia: il Camerun, che dal '57 godeva dell'autonomia interna, e il Togo, autonomo dal '56; il 30 giugno quella del Congo già belga, a conclusione di una evoluzione politico-costituzionale accelerata a partire dal '59; il 26 giugno diveniva indipendente la Somalia già britannica e il 1° luglio, con anticipo rispetto al previsto termine dell'amministrazione fiduciaria affidata dall'ONU all'Italia, quella già italiana (cui la prima si univa); la Nigeria nasceva il 1° ottobre, dopo un complesso travaglio costituzionale, quale stato federale. In varie date, fra il giugno e il novembre, in base alla possibilità aperta da una modifica della costituzione della Comunità francese (4 giugno) divennero indipendenti le Repubbliche già autonome in seno alla Comunità (Madagascar, Dahomey, Niger, Alto Volta, Costa d'Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon, Senegal, Mali, Mauritania).
Il processo di decolonizzazione andò ulteriormente maturando nel corso degli anni Sessanta: il 27 aprile 1961 per la Sierra Leone e il 9 dicembre per il Tanganica, già amministrazione fiduciaria della Gran Bretagna; dal territorio del Ruanda-Urundi, in amministrazione fiduciaria belga, nascevano il 1° luglio 1962 il Ruanda e il Burundi. La proclamazione dell'indipendenza dell'Algeria (3 luglio) segnava la vittoria politica di un movimento nazionalista che aveva scelto, dal novembre 1954, la via della lotta armata conquistando progressivamente un'estesa adesione popolare (nel settembre 1958 si era costituito il governo provvisorio della Repubblica Algerina). Sempre secondo lo schema di evoluzione politicocostituzionale propria dei territori dipendenti dalla Gran Bretagna, ma con maggiore travaglio per le particolari situazioni locali, giunsero alla indipendenza l'Uganda (9 ottobre 1962) e il Kenya (12 dicembre 1963, mentre il 10 dicembre era divenuta indipendente l'isola di Zanzibar). Ancor più difficile la decolonizzazione dei territori che dal 1953 costituivano la Federazione dell'A. centrale (concepita come strumento per il predominio della minoranza bianca, accentrata nella Rhodesia meridionale) e della quale perciò i leader africani chiedevano la dissoluzione. Il Nyasaland, ritiratosi dalla Federazione nel febbraio 1963, divenne indipendente il 6 luglio 1964 con il nome di Malawi; il 24 ottobre fu la volta della Rhodesia del Nord che assunse il nome di Zambia. Nella Rhodesia meridionale il governo locale rifiutò ogni concessione politica alla maggioranza negra, contrastando gli stessi orientamenti della madrepatria, sino a proclamare unilateralmente, l'11 novembre 1965, l'indipendenza, ovviamente non riconosciuta dalla comunità internazionale. Nei territori portoghesi i movimenti nazionalisti avevano frattanto iniziato la guerra armata (dal 1961 in Angola, dal 1962 in Guinea, dal 1964 nel Mozambico) il cui epilogo vittorioso si avrà ben più tardi, grazie anche alla svolta politica portoghese del 1974 (indipendenza della Guinea Bissau, proclamata unilateralmente il 24 settembre 1973 e riconosciuta il 10 settembre 1974; del Mozambico, 25 giugno 1975; delle isole del Capo verde, 5 luglio 1975; di São Tomé e Principe, 12 luglio 1975; dell'Angola, 11 novembre 1975). La decolonizzazione era proseguita negli anni Sessanta nei restanti territori britannici: la Gambia accedeva all'indipendenza il 18 febbraio 1965, il Botswana (già Bechuanaland) il 30 settembre 1966, il Lesotho (già Basutoland) il 4 ottobre, Maurizio il 12 marzo 1968, lo Swaziland (o Ngwane) il 6 settembre 1968; nello stesso anno conseguiva l'indipendenza la Guinea Equatoriale, già spagnuola (12 ottobre). Nel 1974-75 si è realizzata la decolonizzazione, già ricordata, dei territori portoghesi e quella delle isole Comore (6 luglio 1975). Le is. Seicelle hanno conseguito l'indipendenza il 28 giugno 1976. Nel 1975 la Spagna si è ritirata dal Sahara occidentale, favorendone la concordata spartizione fra il Marocco e la Mauritania; ma il 28 febbraio 1976 è stata proclamata la Repubblica araba sahariana democratica che, con l'appoggio dell'Algeria, cerca di difendere la propria indipendenza; a questa meta è giunto nel 1977 anche il Territorio degli Afar e Issa (già Costa francese dei Somali). Anche le questioni della Rhodesia e della Namibia (l'Africa del Sud Ovest amministrata dal Sudafrica) sono in evoluzione verso una prevedibile indipendenza; restano dipendenti, dunque, soltanto territori di minor rilievo, come i possedimenti spagnuoli nel Marocco settentrionale e alcune isole negli oceani Atlantico e Indiano.
Problemi ed evoluzione degli stati indipendenti. - Assunta, con l'indipendenza, la diretta e piena responsabilità del proprio destino, i paesi africani si sono trovati di fronte a molteplici problemi, alla cui base vi erano le loro condizioni di sottosviluppo (comuni a tutto il Terzo Mondo), derivate da un insieme di fattori essenzialmente connessi alla stessa vicenda della dominazione coloniale. Il sottosviluppo - che si evidenzia negl'indici, inferiori alla media mondiale, del reddito pro-capite e di taluni dati indicativi del livello di vita - è dato: dal prevalere della produzione primaria rispetto a quella industriale (estremamente ridotta e generalmente limitata a generi di prima necessità e alla lavorazione di prodotti agricoli); dal concentrarsi della produzione di ciascun paese su una o su poche voci che forniscono una proporzione elevata delle esportazioni (così che l'economia dipende più strettamente da determinati mercati di sbocco e risente delle variazioni dei mercati mondiali); dalle caratteristiche della situazione demografica (accentuato incremento e forte proporzione di giovani, eccezionale rapidità dello sviluppo urbano); dalla scarsità, per contro, di risorse umane qualificate, specialmente in campo tecnico-scientifico; dall'esistenza di valori culturali e di strutture sociali che frenano il progresso economico e tecnico secondo il modello europeo. Per le difficoltà dello sviluppo - che si sperava invece rapido dopo l'indipendenza - i paesi africani sono costretti a dipendere dall'aiuto finanziario e tecnico esterno (delle ex metropoli o di altri stati): aiuti che, inseriti in un sistema economico prioritariamente rispondente agli interessi dei paesi industrializzati, non sembra siano riusciti ad avviare un sostanziale progresso dell'A. Alla valutazione ottimistica della politica degli aiuti e, in generale, di tutto il rapporto fra i paesi ricchi e l'A. se ne contrappone dunque una critica, secondo la quale il sistema capitalista riesce ad esercitare, attraverso tutti i meccanismi dell'economia mondiale e in particolare gli aiuti, un'ingerenza e un controllo - il cosidetto neocolonialismo - sui paesi in via di sviluppo e specialmente su quelli africani.
Con le difficoltà esposte si intrecciano, a rendere più difficile lo sviluppo economico e la vita politico-sociale dei paesi africani, quelle connesse a tutta la tradizione, anche remota, del mondo africano e alle conseguenze del periodo coloniale. I nuovi stati dell'A. sono nati invero, in un determinato ambito territoriale e con un dato quadro giuridico-costituzionale, dal processo di decolonizzazione, senza rispondenza con un sentimento di identità nazionale diffuso nell'intera popolazione. La "costruzione della nazione", com'è stata definita, incontra molteplici ostacoli in quasi tutti gli stati: eterogeneità della composizione etnica e conseguenti rivalità tribali e regionali, contrapposizione fra popolazioni delle regioni costiere e quelle delle zone interne, diversità di religioni, molteplicità di lingue, ostacolo per la gestione delle comunicazioni sociali (che ha generalmente portato all'adozione come ufficiale della lingua dell'ex colonizzatore), presenza di minoranze non africane, asiatiche o europee. Di fronte a queste difficoltà il giuoco delle forze politiche e sociali si è svolto secondo linee e sviluppi in parte simili, in parte diversi nei vari paesi; nell'insieme, il corso degli eventi si può interpretare come la ricerca di soluzioni costituzionali più adatte alla realtà sociale e culturale dell'A., più idonee a rendere effettiva l'indipendenza e più efficaci a realizzare le speranze di progresso economico.
Dopo l'indipendenza inizia ben presto un processo di revisione costituzionale, anzitutto con l'adozione, nelle ex colonie britanniche, della forma repubblicana: nel Ghana nel 1960, insieme all'instaurarsi del presidenzialismo, nel Tanganica (1962), nell'Uganda (1963), nel Kenya (1964), nel Malawi (1966), nella Gambia (1970). Altra evoluzione costituzionale, comune in A., è stato il rafforzarsi del potere esecutivo presidenziale nei confronti degli altri organi, in particolare dell'assemblea legislativa, i cui poteri e competenze sono stati limitati (si è così parlato di un presidenzialismo "africano"). Si è avuto inoltre il passaggio, dopo più lunga maturazione, verso forme unitarie in quei paesi che all'indipendenza avevano assunto strutture federali: così la Libia nel 1963, l'Uganda con l'avvento alla presidenza di Milton Obote (1966), la Nigeria dopo il lungo travaglio della guerra civile (1966-1970), il Camerun nel 1972. Il potere centrale si è in genere rafforzato nei confronti del provincialismo centrifugo; così nello Zaire, con l'avvento nel 1965 del gen. Mobutu, e in Etiopia, almeno sino alla deposizione dell'imperatore Haylā Sellāsiè (1974). La realtà politico-costituzionale della maggior parte dei paesi africani è caratterizzata dall'esistenza di un partito unico, al quale si è di solito giunti attraverso una graduale evoluzione, dal sistema pluripartitico, ereditato al momento dell'indipendenza dal modello della metropoli, attraverso la fase del bipartitismo. I partiti unici in A. - nella maggior parte dei casi istituzionalizzati, nella Repubblica centrafricana dal 1962, nel Ghana dal 1964 e così via - tendono ad una struttura organizzativa molto ramificata alla base (comitati di villaggio e di quartiere) e piramidale, sino al vertice dell'Ufficio politico e del Segretario generale, capo del partito e insieme, per lo più, capo dello stato. Il partito unico - che in molti stati prevale di fatto sugli altri organi costituzionali - viene giustificato dai leader africani con la necessità di evitare l'espressione, attraverso più partiti, di tendenze centrifughe e particolaristiche, ostacolo alla integrazione nazionale e allo sviluppo economico-sociale, e di promuovere invece, appunto attraverso il partito, una più sentita adesione e più responsabile esecuzione, da parte delle masse, delle decisioni governative. Tale funzione appare assolta specialmente nei paesi che perseguono una linea più autenticamente rivoluzionaria - così in Guinea dal PDG e in Tanzania dalla TANU. - mentre in altri paesi il partito unico appare a molti critici come uno strumento di potere, a livello centrale e periferico, a vantaggio della élite politico-burocratica dominante. Come la giustificazione del partito unico, così più in generale le ideologie dei leader africani convergono nel sostenere la priorità della costruzione della nazione e dello sviluppo. Quasi tutti i leader professano il "socialismo africano" (o arabo) - di cui non è facile dare una chiara ed organica teoria - che non condivide comunque il materialismo storico e la concezione della lotta di classe del socialismo scientifico marxista, richiamandosi invece, in una dottrina molto composita, al senso religioso e ai valori di comunitarismo ed egalitarismo propri della società africana tradizionale. Questo richiamo ha invero condotto ad una certa mitizzazione della società tradizionale, mentre molti "socialismi" africani non hanno mostrato nella concreta azione politica alcuna volontà rivoluzionaria o progressista, ma soltanto una cauta intenzione riformista, quando non hanno persino coperto una linea conservatrice. Più autenticamente innovatrici ed originali le esperienze "socialiste" della Tanzania e della Guinea o quelle più recenti della Somalia e del Congo.
Nella vita politica dei paesi africani indipendenti il potere è gestito principalmente dalle élites di stampo europeo, formatesi e qualificatesi attraverso l'istruzione ottenuta, anche da giovani provenienti da ambienti tradizionali e di bassa condizione sociale, attraverso gli studi, nei paesi stessi o all'estero (mediante varie possibilità ad essi offerte). All'interno di tali élites moderne si è peraltro determinato, con il passare degli anni dopo l'indipendenza, un contrasto fra gli anziani - che si erano battuti contro il colonialismo ed avevano assunto il potere all'atto dell'indipendenza - e le giovani leve (sino agli stessi studenti universitari) che sono respinte dalla vita politica ed amministrativa e frustrate nelle loro capacità per il rifiuto degli anziani (di cui sono spesso meglio preparati) e per l'obiettiva mancanza di posti. L'élite politica e burocratica tende ad assumere una fisionomia di classe (borghesia di stato), cui si affiancano nuclei di borghesia compradora nei paesi (specialmente dell'A. occidentale) legati da più tempo e più intensamente da rapporti di scambio con i paesi industrializzati e in quelli più ricchi di risorse (come Zaire, Costa d'Avorio, Kenya) dove è stato avviato un processo di industrializzazione. Alla nascente borghesia si contrappone la massa della popolazione, sino al gradino più basso (sottoproletariato urbano e contadini al limite della sussistenza); una posizione privilegiata rispetto ai più hanno le categorie più alte dei salariati, la cosiddetta "aristocrazia del lavoro". L'esistenza o almeno l'avanzata formazione di classi nell'A. indipendente non è dunque più negabile. Accanto alle nuove forze politico-sociali mantengono un certo ruolo, nei paesi conservatori e riformisti, le autorità tradizionali (che avevano conservato anche nel periodo coloniale un certo potere, pur nella mutata situazione), mentre i governi di ispirazione più rivoluzionaria e innovatrice hanno cercato di limitarne o del tutto sopprimerne ogni funzione ed influenza. In pochi paesi africani ormai (fra questi la Guinea con Sékou Touré, il Kenya con J. Kenyatta, la Costa d'Avorio con Houphouët-Boigny, la Zambia con K. Kaunda) sono ancora al potere gli esponenti del periodo della decolonizzazione; negli altri si è avuto, una o più volte, un cambio di uomini e di regimi, attuato, salvo poche eccezioni, attraverso colpi di stato talvolta connessi a violenti rivolgimenti nel paese. Dall'assassinio del presidente del Togo nel gennaio 1963 la serie dei colpi di stato riusciti ha toccato una trentina di paesi; dal 1965 quasi dovunque ne sono stati autori i militari, per motivazioni e con intenti diversi nei vari paesi, ma nella maggior parte dei casi in funzione sostanzialmente conservatrice (non così, però, in Somalia e in Etiopia). Nell'insieme sembrano dunque prevalere in A. scelte riformiste e gradualiste ed in esse come in quelle rivoluzionarie e progressiste si afferma prioritaria l'esigenza di inserire nel processo di sviluppo moderno i valori e i modelli della cultura "tradizionale".
I rapporti inter-africani e internazionali. - L'ideale di solidarietà e di unità dell'A. - importante fattore ideologico nella lotta anticolonialista - non trovò invero, salvo pochi casi, concreta attuazione nel processo di decolonizzazione: l'indipendenza fu conseguita conservando il quadro della spartizione coloniale (da ogni singolo territorio nacque uno stato indipendente, nel quale si andarono creando un senso di identità nazionale ed una coscienza dei propri particolari interessi). L'aspirazione all'unità continuava ad essere affermata - e sussistevano invero a favore molteplici fattori e considerazioni - ma di fatto rimasero senza sviluppo le iniziative in tale direzione - come il progetto di Stati Uniti d'Africa, che dovevano derivare dall'unione fra il Ghana e la Guinea, sancita il 23 novembre 1958, cui aderì nel 1960 il Mali; altre iniziative per la creazione di entità federali ebbero parziale e non duratura realizzazione (così la Federazione del Mali, che, ritiratisi l'Alto Volta e il Dahomey, univa dal 1959 il Senegal e il Sudàn, si dissolse il 20 agosto 1960). Gli Stati africani, divisi da contrasti ideologici e politici, all'inizio degli anni Sessanta si contrapposero in due gruppi: quello di Casablanca (Marocco, Ghana, Guinea, Mali, Repubblica Araba Unita e Algeria) vigorosamente anticolonialista, polemico verso l'Occidente e progressista in politica interna; quello di Monrovia (o di Brazzaville) - che raccoglieva quasi tutti gli stati francofoni dell'A. a S del Sahara --, di atteggiamento moderato e filo-occidentale. La netta contrapposizione fra i due gruppi fu superata con la costituzione, a conclusione della conferenza degli stati indipendenti (Addis Abeba, maggio 1963), della Organizzazione dell'unità africana, nei cui principi prevaleva però in sostanza l'orientamento conservatore cioè del "rispetto per la sovranità, l'integrità territoriale e il diritto inalienabile all'indipendenza di ciascuno Stato" (art. 3). L'OUA, proponendosi di "coordinare ed intensificare la collaborazione" fra gli stati africani (art. 2) ha in effetti sancito la rinuncia all'unità politica ed economica del continente; nel luglio 1964 ha esplicitamente consacrato l'accettazione delle frontiere "coloniali" cioè dello status quo territoriale. L'organizzazione inter-africana ha d'altra parte efficacemente contribuito ad evitare se non l'insorgere almeno l'estendersi e l'aggravarsi delle vertenze fra gli stati africani e a comporne alcune. L'impegno maggiore e più concorde è stato peraltro nell'opposizione al colonialismo e al razzismo (principalmente dunque contro il Portogallo sino al 1974, il Sudafrica e la Rhodesia); nel 1963 fu costituito il Comitato di coordinamento per la liberazione dell'A., con sede a Dār es-Salām, con lo scopo precipuo di fornire aiuti ed agevolare l'azione dei movimenti di liberazione. L'azione anticolonialista dell'OUA è stata, fra l'altro, esplicata alle Nazioni Unite dei cui membri i paesi africani costituiscono quasi un terzo. La Commissione economica per l'A. (ECA), istituita dall'ONU nel 1958, opera dal 1969 di stretta intesa con l'OUA.
Mentre la tendenza all'unità continentale appare da tempo bloccata, ha avuto ed ha sviluppi la ricerca di forme di unificazione, di coordinamento e di cooperazione su scala regionale o nell'ambito dei paesi già dipendenti dalla Francia, che conservano caratteristiche ed orientamenti comuni; questi ultimi sin dal 1961 costituivano l'Organizzazione africana e malgascia di cooperazione economica (OAMCE) poi rafforzata politicamente (Unione Africana e Malgascia, UAM) quasi coincidente con il gruppo di Brazzaville; nel 1964, superati i blocchi politici, si tornava a un programma di cooperazione economica (UAMCE), mentre nel 1965 riproponeva un contenuto politico l'OCAM (Organizzazione Comune Africana e Malgascia, attualmente "e mauriziana") travagliata da alternarsi di adesioni e, più numerosi, ritiri. Una intesa in campo doganale ed economico è stata con difficoltà cercata dai paesi francofoni dell'A. occidentale; dall'UDAO (Unione Doganale degli stati dell'A. Occidentale) costituita nel 1959 si è passati nel 1966 alla UDEAO (Unione Doganale degli Stati dell'A. dell'Ovest) e nel 1972 alla CEAO (Comunità Economica dell'A. dell'Ovest); nel maggio 1975, infine, superando la discriminazione storico-linguistica dei paesi francofoni, si è costituita la CEDEAO (Comunità Economica degli Stati dell'A. Occidentale), cui aderiscono appunto anche Stati anglofoni. Altre intese di cooperazione, fra i Paesi dell'ex A. equatoriale francese - dalla UDE (Unione Doganale Equatoriale) del 1959 alla UDEAC (Unione Doganale ed Economica dell'A. Centrale) - e fra quelli dell'ex A. Orientale Britannica (uniti dal 1967 nella Comunità dell'A. Orientale, EAC). Altre intese regionali a carattere funzionale, cioè specificamente tecnico, hanno conseguito positivi risultati, salvo i casi in cui abbiano risentito di contrasti politici fra gli stati membri. Ricca di sviluppi e di realizzazioni la cooperazione fra i paesi del Maghreb, in particolare in alcuni settori economici (trasporti, telecomunicazioni, commercio estero) e nell'istruzione.
Nello schieramento politico mondiale i paesi africani hanno dichiarato la loro posizione di non allineamento (le conferenze dei paesi non allineati, dopo la prima, si sono svolte in A., rispettivamente al Cairo, a Lusaka e ad Algeri nel 1964, 1970 e 1973); detta posizione - che non ha escluso in pratica la maggiore propensione di alcuni paesi verso le posizioni occidentali e di altri verso quelle comuniste, sovietiche o cinesi - ha consentito ai paesi africani di stringere relazioni ed accordi con ambedue le parti e di riceverne aiuti senza prendere posizione per l'una o per l'altra (rifiutando anche di lasciarsi coinvolgere nella disputa cino-sovietica). Le due superpotenze e la stessa Cina, che pur si sono adoperate per assicurarsi appoggi ed influenza in A., hanno ormai accettato in via di principio la posizione neutrale dei paesi africani, rinunciando, almeno formalmente, ad ogni ingerenza nelle vicende interne e ad ogni condizionamento di carattere ideologico. Anche nei confronti delle ex metropoli (in particolare della Francia), cui all'atto della indipendenza restavano in genere in vario modo legati, i paesi già dipendenti hanno assunto una più reale indipendenza, pur quando mantengono rapporti economici e culturali intensi, bilanciati da aperture verso altri paesi.
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Lingue. - Per quanto riguarda i nuovi stati africani il problema dell'assetto sociolinguistico non è uno dei minori, né dei più facili a risolvere; è anzi tanto più grave in quanto era considerato virtualmente inesistente sotto il dominio coloniale. È impossibile accennare anche brevemente alla situazione linguistica attuale senza far riferimento all'atteggiamento dei vari governi coloniali nei riguardi delle lingue locali.
Nell'A. di dominazione inglese l'amministrazione ha sempre tenuto un atteggiamento favorevole alle lingue locali, incoraggiandone lo studio da parte dei residenti e la diffusione tra gli Africani, mentre vale esattamente il contrario per le arnministrazioni francese, belga e portoghese.
Una discriminante di grande importanza è l'educazione primaria. Il Segretariato di stato britannico per le colonie aveva stabilito già nel 1924 un comitato per l'educazione che come primo passo raccomandò, nel 1925, l'uso delle lingue locali nell'educazione primaria, sia pure accanto all'inglese. L'introduzione dell'insegnamento nelle lingue locali portò con sé la fissazione ortografica di molte lingue, la standardizzazione di altre e la produzione di materiale didattico come libri di lettura, testi elementari, dizionari. A questo atteggiamento corrispondeva quello delle missioni protestanti, che attribuivano particolare importanza all'evangelizzazione in lingua locale e attraverso le traduzioni della Bibbia. Si deve ricordare inoltre che per lungo tempo, e in parte ancora oggi, buona parte del peso dell'insegnamento primario ricade sulle scuole gestite dalle varie missioni. Del tutto diversamente, la Francia puntava sulla diffusione del francese come mezzo per annullare ogni differenza etnica e linguistica (per "cancellare - come diceva un'ordinanza del 1829 a proposito dell'insegnamento nel Senegal - attraverso un'educazione comune le differenze di costumi e di lingua"). Ciò significava l'assenza di ogni attività volta a consolidare lo status delle lingue locali, e quindi anche semplicemente la preparazione di un'ortografia razionale. Come risultato di questa sostanziale diversità di atteggiamento, al momento dell'indipendenza alcuni stati avevano già strutture funzionanti per l'insegnamento e la stampa in lingue locali, altri invece no. Il Ghana, per es., aveva già dagli anni Cinquanta un Bureau of Ghana Languages che curava la stampa di materiali vari (libri didattici ma anche narrativa) nelle nove lingue ufficialmente "protette" (e cioè twi asante, twi akuapem, nzema, kasem, dagbani, adangme, fante, eve, gã); inoltre queste lingue erano usate in giornali, anche quotidiani, nelle trasmissioni radiofoniche (alcune ora anche in quelle televisive) e nella struttura scolastica primaria. Nulla di tutto questo nella contigua Costa d'Avorio, dove il francese è l'unica lingua che goda di riconoscimento ufficiale.
Il problema fondamentale di tutti gli stati africani al momento dell'indipendenza era sostanzialmente questo. Da un lato il concetto stesso di stato nazionale sovrano, le pressioni interne e quelle panafricane spingevano all'adozione di una lingua africana come lingua nazionale e al rifiuto della lingua degli ex-colonizzatori. Dall'altro, nella maggior parte degli stati c'è un così avanzato multilinguismo (in alcuni stati il numero di lingue diverse è dell'ordine del centinaio) che la scelta di una lingua interna, anche di quella numericamente più diffusa, si sarebbe tradotta nell'imposizione di un gruppo a danno degli altri e sarebbe stata osteggiata violentemente. Inoltre era sentita profondamente la necessità di possedere una lingua di comunicazione internazionale, francese o inglese, che garantisse l'accesso all'informazione, alla stampa di ogni genere, agli organismi rappresentativi plurinazionali, ecc. Così ben pochi stati si sono decisi ad adottare ufficialmente una lingua interna: ciò è successo solo là dove la situazione già offriva una lingua veicolare parlata, come prima o almeno seconda lingua, dalla maggioranza degli abitanti (per es. lo swahili, adottato in Tanzania nel 1963 e in Kenya nel 1974) o in stati etnicamente omogenei (come il somalo, divenuto lingua ufficiale della Somalia dal 21 ottobre 1972); ma ciò non è avvenuto per lo stesso swahili in Uganda, e il processo di adozione dello hausa avviato nella Northern Region della Nigeria è stato fermato nel 1966, dopo un promettente inizio.
Tutti gli altri paesi conservano come lingua ufficiale la lingua europea - l'unico modo, in molti casi, per evitare secessioni interne anche irreparabili - incoraggiando alcuni in diverso grado l'uso di almeno un'altra lingua. Tuttavia la dizione "lingua ufficiale" o "lingua nazionale" non deve ingannare. Di fatto le lingue europee non sono usate nella comunicazione ordinaria se non da una minima percentuale della popolazione: da una recente indagine appare che il francese, lingua ufficiale e nazionale del Senegal, è parlato come prima lingua dallo 0,22% della popolazione, e come seconda forse dal 15%, rispetto al wolof parlato rispettivamente dal 37,55 e dal 45% (la seconda lingua nell'ordine è il fula, parlato dal 21,38% come prima lingua). Un problema effettivo, cui sono state dedicate molte ricerche, è già lo stesso insegnamento delle lingue europee fin dai primi anni di scuola. Solo un insegnamento allargato può infatti evitare la frattura netta tra l'élite cittadina, francofona o anglofona, più colta e con accesso all'informazione, ai posti direttivi, ecc., e la massa rurale, confinata all'uso della lingua materna ma esclusa dalla vita del paese.
Ultimo aspetto, in ordine d'importanza, è la standardizzazione e modernizzazione delle varie lingue africane, là dove sono state adottate. In questo i problemi non sono diversi da quelli dell'Asia per quanto concerne la creazione di nuove terminologie politiche, tecniche, ecc. In alcuni paesi esistono appositi comitati che preparano liste di nuovi vocaboli, traduzioni, ecc., come il Bureau ghanese citato o la Gaskiya Corporation per il solo hausa, ma nel complesso l'effettiva diffusione e circolazione di questo materiale è ancora molto limitata. Vedi tav. f. t.
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