Africa
Continente separato dall’Europa e dall’Asia dal Mar Mediterraneo; all’Asia era congiunto mediante l’istmo di Suez, mentre più a S ne è separato dal Mar Rosso; l’Oceano Indiano bagna il restante lato orientale, e l’Atlantico lambisce le coste occidentali. Il continente africano ospita una pluralità di biomi diversi – foresta pluviale, savana, deserto, steppa, macchia mediterranea ecc. – che si susseguono lungo le fasce climatiche dell’uno e dell’altro emisfero. In A. si è svolta la primordiale storia dell’evoluzione umana. I più antichi resti di ominide, databili intorno a 6-7 milioni di anni fa, sono stati ritrovati sulle rive del Lago Ciad. Varie specie di australopitechi sono vissute, tra 4 e 2,5 milioni di anni fa, nelle regioni meridionali e orientali. I primi reperti fossili del genere Homo, risalenti a 2,6 milioni di anni fa, sono venuti alla luce in Etiopia, Kenya e Tanzania. Africana è anche l’origine della specie di uomo a struttura anatomica moderna (Homo sapiens), la cui esistenza è documentata in Sudafrica ed Etiopia a partire da 195.000 anni fa. Durante il periodo neolitico, molteplici gruppi umani diffusi nel continente realizzarono la fondamentale transizione dalle primitive forme di ricerca del cibo – caccia, raccolta, pesca – a modalità di organizzazione economica basate sulla produzione di generi alimentari. Intorno al 5000 a.C., le popolazioni del Sudan, dell’area sahariana (sconvolta dall’incipiente cambiamento climatico che avrebbe portato alla desertificazione) e della savana subsahariana cominciarono a dedicarsi all’allevamento bovino. Nel millennio seguente la pastorizia si propagò anche all’A. orientale. Assai più tardiva, nelle regioni a S del Sahara, fu la diffusione dell’agricoltura, che iniziò a essere praticata in A. occidentale soltanto 3000 anni fa tra le popolazioni di lingua bantu, i cui ripetuti movimenti migratori, nei millenni successivi, produssero trasformazioni economiche (ed etnico-linguistiche) in vaste aree dell’A. centrorientale e meridionale, abitate da popoli di pastori nomadi e di cacciatori-raccoglitori. Nel Nord A., invece, l’agricoltura si radicò molto prima: fin dal 5200 a.C. ca. nel peculiarissimo ambiente della valle del Nilo, le cui fertili terre irrigue fornirono le solide basi materiali dello sviluppo della civiltà egizia e del dominio politico dei faraoni (3100-332 a.C.). Più a O, l’A. settentrionale era abitata da popolazioni berbere di allevatori-agricoltori, che durante il 1° millennio a.C. dovettero confrontarsi (e scontrarsi) con i colonizzatori provenienti dalle altre sponde del Mediterraneo: innanzitutto i fenici, fondatori di Cartagine (814 a.C.), poi i greci, che si insediarono in Cirenaica (630 a.C.), più tardi i romani, che, sconfitti i cartaginesi e fondata la nuova provincia di Africa (donde l’attuale denominazione del continente), conquistarono i regni berberi della Numidia e della Mauritania, giungendo successivamente a occupare tutta l’A. settentrionale, dal Mar Rosso all’Atlantico (42 d.C.). La dimensione mediterranea e la prossimità con il Vicino Oriente sono i fattori strutturali dell’eccezionale permeabilità di questa parte del continente agli influssi esterni. Una caratteristica confermata dalla penetrazione del cristianesimo e dell’islamismo.
La fede cristiana attecchì precocemente all’interno della comunità ebraica di Alessandria; poi dall’Egitto si irradiò verso O, nelle regioni dell’A. romana (secc. 2°-3°), e verso S, in Nubia e in Etiopia. I regni nubiani di Nobazia, Makurra e Alwa, fondati sulle ceneri del regno di Meroe (7° sec. a.C.-4° sec. d.C.) – storicamente importante per la diffusione della metallurgia – divennero cristiani nel 6° sec., aderendo alla Chiesa copta egiziana, il cui orientamento monofisita era avversato dalla Chiesa di Roma. Nel regno etiope di Axum il cristianesimo penetrò già nel 4° sec., in forza del proselitismo dei monaci monofisiti, rafforzando il suo radicamento in seguito alla conversione del re, tanto da sopravvivere al rovesciamento della dinastia assumita e rimanere un elemento caratterizzante della storia del regno d’Etiopia, nonostante l’isolamento religioso in cui questo venne a trovarsi dopo la caduta degli Stati nubiani (secc. 14° e 15°) e il trionfo africano dell’islam. L’impetuosa avanzata militare dei musulmani era iniziata molto prima, con la conquista araba dell’intera A. settentrionale, avvenuta tra il 640 e il 711. Nei secoli successivi, l’Egitto e i Paesi del Maghreb (termine arabo che significa «occidente») sarebbero stati pienamente coinvolti nella complessa storia politico-religiosa del mondo islamico, la cui potenza espansiva si riverberò ben presto anche sulle coste dell’A. orientale. Dopo l’8° sec., infatti, le città costiere a S dell’Etiopia si popolarono di immigrati musulmani che stabilirono profondi legami con la popolazione locale e diedero impulso ai traffici dell’antica rete commerciale esistente tra la Penisola Arabica, i porti africani e l’Oriente. La crescita economica produsse nuove forme di organizzazione politica sotto l’egemonia sociale e religiosa dei mercanti musulmani: nel 10° sec. nacquero le cosiddette città-Stato swaili (Mogadiscio, Mombasa, Kilva ecc.), che prosperarono col commercio dell’avorio, degli schiavi e dell’oro. Anche la penetrazione dell’islam nell’A. occidentale seguì la via dei traffici mercantili. La presenza araba lungo la fascia settentrionale del continente impresse un inedito dinamismo ai rapporti commerciali – tradizionalmente mediati dai nomadi berberi – con le regioni a S del Sahara. Proprio sulla base del controllo fiscale delle importazioni e delle esportazioni, si erano qui affermati, fin dall’inizio del 5° sec., i regni del Ghana e di Takrur, che nell’11° sec. furono attratti nell’orbita religiosa musulmana e più tardi vennero inglobati nel vasto impero del Mali (1200-1500), i cui sovrani, islamizzati, si servirono di funzionari di lingua araba, introducendo la scrittura nell’amministrazione dello Stato. Non ebbero invece rapporti determinanti col mondo musulmano le regioni dell’A. equatoriale e meridionale, in cui il passaggio all’Età del Ferro fu tardivo e le prime forme di organizzazione politica a carattere statale (come i regni del Congo e di Mutapa) apparvero solo nel 2° millennio d.C. Accanto, negli interstizi o ai margini dei sistemi sociali politicamente più complessi e strutturati, continuò a scorrere ovunque, nel continente, l’esistenza di comunità acefale e società senza Stato di cacciatori-raccoglitori, di agricoltori e di pastori, dalle caratteristiche diverse in ragione della diversità ecologica dei rispettivi ambienti di insediamento. Su queste popolazioni l’ingresso in A. degli europei ebbe l’impatto più distruttivo.
All’inizio del Quattrocento, allo scopo di inserirsi nel mercato dell’oro africano evitando la mediazione musulmana e di aprire una nuova via verso le Indie, il regno del Portogallo intraprese una politica di spedizioni navali lungo la costa atlantica del continente. I progressi furono tali da consentire a Bartolomeu Dias (1487-88) di oltrepassare il Capo di Buona Speranza e spingersi nell’Oceano Indiano. In meno di un secolo i portoghesi crearono un’estesa rete di avamposti commerciali e insediamenti militari, rivoluzionando le tradizionali rotte dei traffici intercontinentali. Nei secoli successivi il Portogallo subì l’agguerrita concorrenza delle altre potenze navali europee (in particolare dell’Olanda e dell’Inghilterra) che si avvicendarono nel primato sui mari. Intanto era mutata la composizione merceologica degli scambi con l’A.: i profitti maggiori non derivavano più dalla compravendita di oro e avorio, ma di uomini ridotti in schiavitù, destinati alle piantagioni americane e caraibiche. Tra il 16° e il 18° sec. le navi in transito lungo l’Atlantico trasportarono più di 12 milioni di africani. Nella maggioranza dei casi, si trattava di uomini e donne catturati in guerra o durante le razzie appositamente organizzate tra le popolazioni meno attrezzate alla difesa da parte degli Stati africani coinvolti nella tratta. Per questa tragica via l’A. nera entrò nell’economia-mondo creata dagli europei, subendone forti contraccolpi demografici, sociali e politici. Nelle regioni occidentali a S del Sahara, l’attività dei razziatori compromise l’esistenza delle comunità più vulnerabili e sul commercio di schiavi si affermarono gli Stati di Bornu (che inglobò il Kanem), di Benin, di Dahomey e di Asante. Nell’A. centroccidentale, l’incessante richiesta portoghese di manodopera schiavile portò allo spopolamento dell’Angola e al lento declino del regno del Congo. Quando all’inizio dell’Ottocento la tratta atlantica si interruppe, per effetto delle scelte politico-economiche della superpotenza inglese, non cessò il commercio di schiavi africani, che si spostò sulla costa orientale, con pesanti ricadute sulle popolazioni della valle dello Zambesi.
L’influenza degli Stati europei in A. cambiò dimensioni e natura nell’ultimo ventennio del 19° sec., quando la preponderanza economica si trasformò in dominio territoriale. La competizione geopolitica tra Inghilterra, Francia e Germania innescò un rapidissimo processo di colonizzazione, in cui si inserì da subito il re del Belgio Leopoldo II. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, in A. non sopravvivevano che due soli Stati indipendenti: la Liberia, fondata nel 1847, e il regno di Etiopia (successivamente conquistato dall’Italia fascista). L’imperialismo europeo ebbe diversi volti e molteplici effetti. Sul piano economico-sociale, rilevantissima per le sue durature conseguenze fu la trasformazione del paesaggio agrario, rimodellato dalle esigenze commerciali degli europei: la tradizionale agricoltura di sussistenza dovette lasciare spazio alle grandi piantagioni monocolturali. Sul piano politico, l’aspetto più visibile fu la creazione di «Stati artificiali», i cui confini seguivano le logiche spartitorie e gli equilibri egemonici dei colonizzatori: la miriade di entità politiche preesistenti, con le loro diversità organizzative e le loro ataviche peculiarità, furono ridotte a 40 «province» di una manciata di potenze imperiali. I laceranti problemi causati da questo assetto esplosero dopo la decolonizzazione. Il movimento per l’indipendenza politica degli africani cominciò a svilupparsi dopo la Prima guerra mondiale e prese consistenza durante la Seconda, dal cui esito emersero due superpotenze estranee al colonialismo europeo e la prospettiva di un nuovo ordine mondiale fondato sul principio di autodeterminazione dei popoli, consacrato dalla Carta delle Nazioni Unite. Il mutamento del quadro internazionale favorì le aspirazioni emancipazioniste maturate nel continente intorno agli ideali del panafricanismo, che trovarono espressione nella leadership rivoluzionaria del ghanese Nkrumah, del senegalese Senghor, del nigeriano Azikiwe e di altre importanti personalità politiche.
La prima ondata del processo di decolonizzazione si realizzò negli anni Cinquanta. Dopo l’indipendenza della Libia dall’Italia (1951), fu la volta dell’Egitto (1952), da settant’anni occupato dagli inglesi. Nel 1956 toccò al Sudan e ai protettorati francesi del Marocco e della Tunisia. L’ultimo paese del Maghreb a conquistare l’indipendenza fu l’Algeria (1963) dopo una lunga e sanguinosa guerra di liberazione. Intanto, dal 1960 (l’«anno dell’A.») si era andato dissolvendo il dominio coloniale inglese, belga, italiano e francese in quasi tutto il continente. L’ultimo impero, quello portoghese, sopravvisse fino alla metà degli anni Settanta, quando il processo di decolonizzazione giunse a compimento con la liberazione dell’Angola e del Mozambico. Quasi tutti i nuovi Stati indipendenti aderirono all’Organizzazione dell’unità africana (1963) che, nello scenario della guerra fredda, ancorò la sua azione internazionale al movimento dei non allineati e si adoperò nel contrasto alla politica razzista dell’apartheid praticata dal regime sudafricano sino alla fine degli anni Ottanta. Nonostante gli importanti traguardi raggiunti (per es. nella lotta contro la mortalità infantile e nella scolarizzazione), i progetti e le speranze dei padri dell’indipendenza non hanno trovato realizzazione nell’A. postcoloniale, afflitta da una pesante condizione di sottosviluppo economico, aggravata prima dall’esplosivo andamento demografico e poi dallo schiacciante indebitamento con l’estero. Negli ultimi decenni si è accentuato sensibilmente il divario tra i Paesi musulmani dell’A. mediterranea, ben inseriti nelle dinamiche internazionali, e i Paesi dell’A. subsahariana, passati dallo sfruttamento alla dipendenza. Le difficoltà economiche sono state esasperate dalla corruzione dei governi e dall’instabilità politica, degenerata in numerosissimi colpi di Stato (13 nei soli anni Novanta). La fragilità delle entità statali create in età coloniale si è manifestata drammaticamente nello scoppio di guerre civili e di conflitti interetnici e interreligiosi (dalla Nigeria degli anni Sessanta all’od. Darfur), alimentando i crescenti flussi di emigrazione, che hanno ulteriormente impoverito il continente. In questo scenario, a partire dagli anni Ottanta, è dilagata la devastante epidemia dell’AIDS, che ha contagiato milioni di africani, soprattutto nei paesi subequatoriali. Nell’ultimo decennio il rischio della marginalizzazione del continente dall’economia internazionale è stato ridotto dalle strategie politiche delle potenze emergenti (Cina, India e Brasile), interessate alla creazione di nuovi mercati e all’avviamento di vantaggiose politiche di cooperazione. Nel 2002, i Paesi africani hanno dato vita a una nuova organizzazione internazionale: l’Unione africana, che intende coniugare la promozione dello sviluppo economico con la difesa della pace e della sicurezza continentale, richiamandosi ai principi della democrazia e dello stato di diritto.