Afgrunden
(Danimarca 1910, L'abisso, colorato, 42m a 16 fps); regia: Urban Gad; produzione: Kosmorama; sceneggiatura: Urban Gad; fotografia: Alfred Lind.
Magda, insegnante di pianoforte, incontra sull'autobus Knud e si innamora di lui. Dopo qualche tempo la donna fa conoscere il fidanzato ai genitori, che vivono in campagna. Proprio allora si imbatte in un cowboy da circo, Rudolph, che l'attrae irresistibilmente. I due fuggono insieme. Li ritroviamo, qualche tempo dopo, lavorare in coppia come ballerini. L'uomo comincia a tradirla; ma lei, nonostante la loro relazione sia ormai compromessa, lo ama ancora. Un giorno Knud incontra Marta in città, e la segue fino a una pensione per artisti. Sulle prime riesce a convincerla a tornare con lui; ma una volta giunto a riprenderla, gli basta poco per comprendere che tutti i maltrattamenti subiti a causa del cowboy non le impediscono di essere tuttora innamorata di lui. Più tardi la rivede mentre suona il pianoforte in un caffè, e ottiene da lei un appuntamento. L'incontro è notato da un cameriere, che riferisce tutto all'amante. Nello scontro che ne segue Magda uccide il cowboy. La polizia accorre sul posto e la porta via.
Quando appaiono sugli schermi di tutto il mondo le immagini torbide ed elettrizzanti di Afgrunden, il cinema ha solo quindici anni, ma si può certamente affermare che con questo film esce dall'adolescenza e diventa adulto. E non solo perché Afgrunden è il primo film di metraggio quasi triplo rispetto allo standard del 300 metri allora in uso, capace con il suo ampio sviluppo della narrazione di catturare profondamente l'attenzione dello spettatore, rendendolo emotivamente partecipe alla vicenda; e nemmeno perché l'intera storia presenta un erotismo fino ad allora inedito per lo schermo, con immagini dirette (l'incontro dei due protagonisti sul tram, i cui sobbalzi sembrano scandire i primi sussulti della passione; la danza con cui la sinuosa Magda, strisciando il suo corpo su quello del seduttore legato a un palo, mima la sua resa d'amore) che disvelano d'incanto il potenziale di presa sul pubblico dei contenuti dotati di qualche audacia sessuale.
Ma Afgrunden ha soprattutto il pregio di segnare il debutto cinematografico di Asta Nielsen, che con questo film riscatta un'opaca carriera teatrale iniziata quindici anni prima nei più sperduti paesetti scandinavi al seguito di una compagnia di teatranti, recitando su palcoscenici improvvisati e mangiando quando possibile, portandosi dietro una figlioletta avuta da un compagno d'arte di cui non volle mai fare il nome. Con Afgrunden Asta Nielsen diventa in assoluto la prima, vera attrice del cinema. Il suo astro è il primo ad accendersi nel firmamento cinematografico scandinavo, e la sua luce si riverbera anche negli Stati Uniti dove dal 1908 è presente la Great Northern Co., che distribuisce a piene mani tutta la produzione scandinava. Le ragioni dell'affermazione di questa diva primigenia non sono solo spiegabili con il fascino che emanava dal suo volto bianco cinto da una capigliatura corvina, dai grandi occhi angosciosi, dalla piega amara della bocca, dall'essenzialità della mimica facciale e dei gesti. E non è spiegazione sufficiente nemmeno quel sacro rispetto delle leggi della recitazione cinematografica (di cui si può considerare l'inventrice) acutamente analizzato dal teorico ungherese Béla Balász a fronte della tecnica di origine teatrale di altre attrici che si esagitavano in ogni espressione ‒ tecnica alla quale Nielsen contrappose un suo singolarissimo gioco ellittico, aspro e concentrato. La sua persona, la sua cifra d'interprete ne avrebbero fatto una grande artista, forse anche la 'Duse del Nord' come venne presto soprannominata, ma non una diva, se i suoi film, belli e brutti, non avessero messo alla portata di pubblici sempre più appassionati tutto il romanticismo nordico, la suggestione di un Ibsen, le storie dolorose narrate dagli scrittori e dai drammaturghi tedeschi e scandinavi della fine del secolo. In film come Afgrunden Asta Nielsen impose l'immagine di una donna intelligente, schiacciata e tuttavia reattiva al destino: nella severità del clima e della società nordica, l'attrice seppe proporre un impensabile riscatto di creature deboli e tormentate, una menzogna vivificatrice. E anche se alla fine del dramma l'eroina era costretta nella dura lex, contava il fatto che fino all'ultimo s'era battuta coraggiosamente contro le regole e gli schemi soffocanti di un sistema e di una morale che avevano fatto ormai il loro tempo. Nei film che caratterizzarono maggiormente la sua carriera, Asta Nielsen ebbe a disposizione una vasta gamma di occasioni (ebbe modo di distinguersi anche nella commedia). Donna versatile e di carattere imprevedibile, interpretò ruoli di ogni genere, di ragazzina e di vecchia, fino a impersonare Amleto in un film che sposava la singolare teoria che il principe di Danimarca fosse in realtà una donna travestita da uomo per assicurare la continuità dinastica. Il successo di pubblico di Afgrunden fu immenso in tutto il mondo, le recensioni generalmente positive, anche se non mancò un certo sconcerto di fronte al realismo con cui la storia era stata trattata.
Interpreti e personaggi: Asta Nielsen (Magda), Robert Dinesen (Knud Svane, il fidanzato), Poul Reumert (Rudolph, il cowboy del circo), Hans Neergaard (padre di Knud), Emilie Sannom (trapezista), Arne Weel, Oscar Stribolt.
E.M. Mungenast, Asta Nielsen, Stuttgart 1928.
E. Neergaard, Historien om dansk film, Copenhagen 1960.
R. Seydel, A. Hagedorff, Asta Nielsen, Berlin 1981.
M. Sopocy, Asta Nielsen e Waldemar Psilander. Tre film, in Schiave bianche allo specchio, a cura di P. Cherchi Usai, Pordenone 1986.
1911. La nascita del lungometraggio, a cura di R. Redi, Roma 1992.