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affliggere

di Emilio Pasquini - Enciclopedia Dantesca (1970)
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affliggere

Emilio Pasquini

. Il testo critico di G. Petrocchi ha consentito di recuperare, sul tradizionale afiggon(o), " l'unico esempio del verbo che non sia al participio passato ", ci affliggono i disiri, cioè " ci colpiscono ", in Pg XXV 106: se ne conosceva prima soltanto l'uso in una delle rime spurie (pure, confluita nelle concordanze Sheldon-White attraverso Fraticelli e Moore), Amor m'affligge, ond'io prendo cordoglio, v. 11 del sonetto Se 'l bello aspetto non mi fosse tolto, che è invece di Giovanni Quirini (edizione del '21, p. 141).

Al tempo composto, è afflitto (Pg XXX 45) vale senza particolare rilievo " è addolorato, rattristato ". In funzione aggettivale, " sofferente ", " languente ", " abbattuto ", figura una sola volta, in Rime LXVIII 19 e de la doglia diverrò sì magro / de la persona, e 'l viso tanto afflitto.

Sostantivato, in If XXVII 10 l'afflitto, cioè " il reo martirizzato " (Sapegno) o più semplicemente " il suppliziato ", è Perillo, rinchiuso da Falaride nel toro di rame. Il verbo manca nella prosa: pare quindi che D. lo considerasse termine poetico.

Vocabolario
afflìggere
affliggere afflìggere (ant. afflìgere) v. tr. [dal lat. affligĕre, comp. di ad- e fligĕre «percuotere»] (io affliggo, tu affliggi, ecc.; pass. rem. afflissi, affliggésti, ecc.; part. pass. afflitto). – 1. Tormentare, angustiare (detto di...
afflittivo
afflittivo (ant. affliggitivo) agg. [der. di affliggere]. – Che reca afflizione. In diritto, pena a., che porta limitazioni alla libertà personale (contrapp. a pena pecuniaria).
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