MARI, Adriano
– Nacque a Firenze l’8 dic. 1813 da Alessandro, di origini livornesi, e da Orsola Laletta, dalmata. Compiuti i primi studi presso l’istituto Zuccagni-Orlandini, dove ebbe come compagno G. Giusti, cui restò legato da stretta amicizia, passò alle Scuole pie di Firenze e, nel 1829, alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa. Qui entrò in contatto con gli ambienti liberali che gravitavano intorno all’ateneo e nel 1831, dopo essersi adoperato per favorire la fuga in Toscana di alcuni patrioti coinvolti nei moti modenesi, fu arrestato e trattenuto per qualche giorno in carcere.
Ottenuta la laurea nel giugno 1834, si dedicò alla professione forense, nella quale acquisì ben presto notevole reputazione, e accantonò provvisoriamente gli interessi politici. Nel 1839 sposò Benita, figlia di F. Rodríguez y Laso, un nobile spagnolo domiciliato a Bologna, e della contessa Carlotta Zambeccari. Dal loro matrimonio nacquero sei figli: Fernando, Adele, Carlo, Virginia, Giulia e Alberto.
Nel marzo 1848 assunse la gestione dello studio legale dell’avvocato F. Andreucci, che era stato chiamato a far parte del Consiglio di Stato della Toscana, appena istituito. Ma di lì a poco anche per il M. tornò il tempo dell’impegno politico in prima persona: fu infatti eletto deputato al Parlamento toscano, che tenne la sua prima adunanza il 26 giugno 1848. Attestato su posizioni liberali moderate, vi svolse interpellanze per l’armamento dei volontari accorsi a combattere contro l’Austria, per lo scambio e il ritorno dei prigionieri e per potenziare l’esercito toscano. Nell’agosto 1848 fu nominato vicepresidente del Circolo politico di Firenze, nell’ambito del quale studiò la questione delle libertà civili e politiche, e nel settembre seguente si oppose vigorosamente a un disegno di legge restrittivo della libertà di riunione proposto dai ministri J. Mazzei e D. Sanminiatelli. Il M. avversò poi il governo democratico formato da G. Montanelli e da F.D. Guerrazzi nell’ottobre 1848. A maggior ragione, nel febbraio 1849 fu tra gli oppositori del governo provvisorio (G. Mazzoni, Montanelli e Guerrazzi) sorto dopo la fuga a Gaeta del granduca Leopoldo II. Nel marzo seguente risultò comunque fra i deputati eletti alla Costituente toscana, finché, dopo la restaurazione lorenese, si trasse in disparte dalla sfera pubblica e tornò a esercitare l’attività forense.
Nel decennio fra il 1849 e il 1859, nondimeno, il M. non abbandonò i suoi ideali liberali e patriottici, che ebbe modo di manifestare attraverso l’opera di difensore da lui svolta in importanti processi, i cui imputati erano accusati di reati politici o religiosi.
Il caso che gli procurò maggiore notorietà fu, nel 1853, la difesa di L. Romanelli, già ministro di Grazia e Giustizia nel governo provvisorio toscano, che era stato accusato di alto tradimento contro la sicurezza dello Stato e che il M. riuscì a far assolvere. Altre cause rilevanti furono quelle che lo videro difendere il conte P. Guicciardini, accusato di reati contro la religione, e G. Mariani, direttore del giornale Il Costituzionale, accusato anch’egli di aver offeso la religione per mezzo della stampa.
In quegli anni poté così consolidare la fama di giurista di fede liberale e di insigne avvocato, che, nel nuovo scenario politico apertosi dopo la caduta della dinastia lorenese, gli avrebbe consentito di svolgere un ruolo da protagonista. La prima occasione gli fu offerta il 1° maggio 1859, subito dopo la cacciata di Leopoldo II, quando il governo provvisorio toscano lo chiamò, insieme con G. Puccioni e G.B. Giorgini, a far parte di una commissione per la riforma del codice penale. Eletto deputato all’Assemblea toscana in rappresentanza del quarto collegio di Firenze, il M. fu tra i membri della commissione che il 16 ag. 1859 votò la relazione di F. Andreucci, in cui si sanciva l’incompatibilità della dinastia lorenese con l’ordine e la felicità della Toscana. Nel marzo 1860, dopo che i plebisciti ebbero confermato l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna, fu eletto deputato al Parlamento subalpino nel collegio di Legnaia con 225 preferenze su 252 votanti e nell’aprile dello stesso anno fu insignito da Vittorio Emanuele II della decorazione di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Confermato deputato il 3 febbr. 1861 nel collegio di Campi Bisenzio, dove prevalse sul conte C. Alli-Maccarani, alla Camera sedette a Destra e fu vicino a C. Cavour e a B. Ricasoli.
Fece parte di numerose commissioni, fra cui quella per l’esame del progetto di codice civile, quella per l’unificazione legislativa e quella per il riordino delle imposte, e fu relatore della legge che estendeva alla Toscana l’ordinamento giudiziario sabaudo e di quella per unificare l’imposta sui fabbricati. Membro del Consiglio comunale di Firenze fino al 1865 (carica che avrebbe di nuovo ricoperto dal 1879 fino alla morte), e fino al febbraio 1862 anche assessore, si batté con successo contro la proposta di abolizione della Corte di cassazione del capoluogo toscano avanzata dal ministro G. Vacca.
Consigliere dell’Associazione liberale di Firenze, presieduta da Ricasoli, nel 1865 il M. divenne azionista della Società dei successori Le Monnier, anch’essa guidata da Ricasoli, e insieme con due altri avvocati, E. Frullani e S. Disagni, andò a comporre la «commissione delle edizioni». Sempre nel 1865 fu nuovamente eletto deputato nel collegio di Campi Bisenzio, che gli avrebbe confermato la fiducia anche nelle elezioni politiche del marzo 1867. Il 6 dic. 1865 fu eletto presidente della Camera, al termine di un sofferto ballottaggio con A. Mordini, che si concluse al terzo scrutinio e lo vide prevalere con 141 voti contro i 132 del candidato della Sinistra moderata. Sebbene accusato da alcuni esponenti dell’opposizione di tenere un comportamento non sempre imparziale, che avvantaggiava la maggioranza e il governo, il 6 dic. 1866, quando si aprì la seconda sessione della legislatura, il M. fu confermato nell’incarico al primo scrutinio e con un più largo scarto di voti (156 su 253 votanti, contro i 68 andati a F. Crispi). Analogo risultato ottenne il 27 marzo 1867, all’apertura della X legislatura, quando ebbe la meglio ancora su Crispi con 195 suffragi contro 142.
Il M. presiedette la Camera dei deputati fino all’ottobre 1867, allorché divenne ministro di Grazia, Giustizia e Culti nel primo governo guidato da L.F. Menabrea e, in tale veste, firmò l’ordine di arresto contro G. Garibaldi che aveva invaso lo Stato pontificio. Ne seguì una fase di crisi politica, che nel dicembre 1867 portò alla caduta del ministero e indusse il M., da allora, a non accettare più alcun incarico governativo. Libero da impegni ministeriali, il 25 nov. 1868 poté così essere nuovamente eletto presidente della Camera con 185 voti contro i 93 espressi per Crispi. Ma fu questa l’ultima sua presidenza: all’inizio della seconda sessione, il 19 nov. 1869, presentato come candidato del governo, fu sconfitto al primo scrutinio da G. Lanza, l’esponente della Destra su cui l’opposizione di Sinistra fece convergere i suoi voti.
Nelle elezioni politiche del novembre 1870 nel collegio di Campi Bisenzio il M., che dal 1865 era membro anche del Consiglio provinciale di Firenze, di cui tenne la vicepresidenza nel triennio 1866-68, fu sconfitto da C. Alli-Maccarani. Gli fu allora offerto il quarto collegio di Firenze, rimasto vacante, e il M. vi fu eletto nelle votazioni suppletive del gennaio 1871 e poi ancora nelle tornate del 1874, 1876 e 1880, per la XII, XIII e XIV legislatura. Nell’attività parlamentare di quegli anni il M. si segnalò, in particolare, per gli interventi in due ambiti legislativi: la riforma dell’ordinamento giudiziario e le relazioni fra Stato e Chiesa.
Per quanto riguarda il primo, formulò ipotesi interessanti circa la riforma della Corte di cassazione e l’istituzione del cosiddetto sistema della terza istanza. In materia religiosa, si riconobbe pienamente nel quadro normativo dettato dalla legge delle Guarentigie e si dichiarò fiero avversario del potere temporale dei papi e contrario a ogni ipotesi di conciliazione fra Stato e Chiesa. Disposto a riconoscere la piena libertà dei vescovi e del clero nelle questioni ecclesiastiche, compresa quella dell’insegnamento religioso, rivendicò del pari l’assoluto diritto dello Stato a decidere in totale autonomia su temi quali la soppressione delle corporazioni religiose e l’alienazione dei beni ecclesiastici. Nella fattispecie, inserendosi nel solco della tradizione giurisdizionalistica toscana, offrì un contributo significativo al progetto per la liquidazione dei beni ecclesiastici in Roma che fu elaborato nel 1873 da una commissione parlamentare, di cui fu membro fra i più autorevoli.
Consigliere d’amministrazione della Società delle strade ferrate dell’Alta Italia dal 1873, il 26 ag. 1884 il M. fu nominato presidente del consiglio d’amministrazione della Società delle Strade ferrate romane. Sebbene fosse contrario, anche sulla base di questi privati interessi, all’idea di affidare allo Stato l’esercizio delle ferrovie, nel marzo 1876 non condivise affatto la decisione di una parte della deputazione toscana di votare contro il governo di M. Minghetti: decisione che portò alla caduta della Destra e all’avvento al potere della Sinistra. Non a caso, dal 1876 al 1880 il M. presiedette l’Associazione costituzionale toscana, che rappresentò l’articolazione locale di quel progetto di aggregazione degli esponenti della Destra italiana che si riconoscevano nella leadership di Minghetti e Q. Sella e che rifiutavano ogni combinazione con la Sinistra di A. Depretis.
Sul finire degli anni Settanta, comunque, la sua attenzione fu assorbita soprattutto dalla «questione di Firenze», ossia dal grave dissesto finanziario che aveva colpito l’amministrazione comunale della città toscana a seguito delle ingenti spese sostenute per il trasferimento della capitale e per la mancata esazione di crediti residuali vantati nei confronti del precedente governo lorenese. Nel 1878 il M. promosse una petizione attraverso l’Associazione costituzionale e si adoperò per l’istituzione di una commissione d’inchiesta alla Camera, che preparò il terreno per il varo di un disegno di legge con il quale, pur non recependo tutte le istanze del Municipio fiorentino, si provvide almeno in parte a sanarne i debiti.
Fu questa l’ultima importante battaglia combattuta dal M., il quale, dopo esser stato rieletto deputato nel 1880, due anni dopo, in un contesto politico profondamente modificato dalla nuova legge elettorale e dai prodromi del trasformismo, preferì non presentare la propria candidatura. Nominato senatore il 26 nov. 1884, non ebbe modo di frequentare l’aula con assiduità.
Il M. si ritirò progressivamente dalla vita pubblica e morì a Fiesole il 24 luglio 1887.
Opere: un elenco degli scritti del M., curato da E. Michel, si trova in [A. Gori], Leopoldo Galeotti, A. M., Giuseppe Montanelli. Commemorazione con una nota bibliografica, Firenze 1913, pp. 60-62; il quadro pressoché completo delle sue numerosissime memorie legali è in appendice a M. Mari, L’arresto di Garibaldi e il ministero Menabrea, con documenti inediti, Firenze 1913, pp. 124-181. Fra i suoi contributi più significativi si ricordano: Difesa di Leonardo Romanelli, Firenze 1853; Allegazione… sopra una questione insorta tra Felice Le Monnier e Alessandro Manzoni, ibid. 1861; Il barone B. Ricasoli e la Comunità di Firenze, ibid. 1871; Relazione al primo Congresso giuridico sopra l’ordinamento giudiziario, Roma 1872; La questione di Firenze, Firenze 1878; All’Associazione costituzionale toscana. Discorso all’adunanza del 27 genn. 1878, ibid. 1878; Agli elettori del 4° collegio di Firenze. Pensieri e dichiarazioni, ibid. 1879.
Fonti e Bibl.: A. Mari, Ricordi biografici…, a cura di M. Finzi, Firenze 1888; M. Minghetti, Copialettere, 1873-1876, a cura di M.P. Cuccoli, Roma 1978, ad ind.; F. Pera, Nuove biografie livornesi, Livorno 1895, pp. 86-93; A. Mari, Lettere, a cura di E. Michel, Massa 1912; Carteggi di Bettino Ricasoli, I-II, Bologna 1939-40; III-XXIX, Roma 1945-2001, ad indices; A. Salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente italiana (1859-1876), Firenze 1965, ad ind.; G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze 1971, pp. 26-29, 195; C. Ceccuti, Un editore del Risorgimento. Felice Le Monnier, Firenze 1974, pp. 136, 195, 428, 430; R.P. Coppini, L’opera politica di Cambray-Digny, sindaco di Firenze capitale e ministro delle Finanze, Roma 1975, ad ind.; Z. Ciuffoletti, I moderati toscani, la caduta della Destra e la questione di Firenze (1870-1879), in Rass. stor. toscana, XXIII (1977), 1, pp. 23-66; 2, pp. 229-272 passim; G. Spini - A. Casali, Firenze, Roma-Bari 1986, pp. 59 s., 68, 71, 73 s., 235, 419; S. Furlani, Dalla Camera subalpina al «nuovo regolamento», in I presidenti della Camera, Roma 1988, pp. 34, 37-39, 260; A.A. Mola, A. M., in Il Parlamento italiano, 1861-1988, IV, 1875-1876. Il declino della Destra da Minghetti a Depretis, Milano 1989, pp. 334 s.; F. Conti, I notabili e la macchina della politica. Politicizzazione e trasformismo fra Toscana e Romagna nell’età liberale, Manduria-Bari-Roma 1994, pp. 28-31, 47; Ubaldino Peruzzi, un protagonista di Firenze capitale, a cura di P. Bagnoli, Firenze 1994, pp. 19, 108, 112, 122, 231, 233, 235, 281 s.; La provincia di Firenze e i suoi amministratori dal 1860 ad oggi, a cura di S. Merendoni - G. Mugnaini, Firenze 1996, pp. 11-30; A. Berselli, Il governo della Destra: Italia legale e Italia reale dopo l’Unità, Bologna 1997, ad ind.; A. Chiavistelli, Dallo Stato alla nazione. Costituzione e sfera pubblica in Toscana dal 1814 al 1849, Roma 2006, pp. 283, 306; Diz. del Risorgimento nazionale, III, Le persone, pp. 485 s. (E. Michel); Enc. biografica e bibliografica «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori d’Italia dal 1848 al 1922, II, p. 157.