BANCHIERI, Adriano
Nato a Bologna nel 1567, attese da giovinetto alle lettere e alla filosofia, e solo più tardi, vestito l'abito di monaco olivetano, si applicò alla teoria e alla pratica della musica, mettendosi sotto la disciplina del lucchese Giuseppe Guami. Nella chiesa di S. Michele in Bosco occupò per molti anni il posto di organista, e nell'attiguo convento aprì una scuola musicale assai frequentata per la perizia didattica che s'era acquistata. Di questa sono prova le sue opere teoriche, parecchie volte ristampate, che andavano per le mani di tutti gli amatori e professionisti del suo tempo. Da tale scuola forse il Banchieri ebbe idea di far sorgere, come era allora costumanza, un'accademia musicale, ch'egli chiamò dei Floridi, e che fu delle più antiche fra le accademie musicali sorte in Bologna. Essa, interrotta per "autorevoli accidenti", come egli stesso scrisse, fu trasferita e ricreata in casa di Girolamo Giacobbi, sotto il nome di Accademia dei Filomusi. Il B., invitato ad aggregarvisi, prese il nome di Accademico Dissonante e fu subito eletto principe. In questa sala appunto il B., nel 1627, indisse un solenne ricevimento in onore di un nuovo accademico forestiero, il cui nome e le cui opere andavano già allora celebratissime: Claudio Monteverdi, forse per un'implicita protesta contro G. M. Artusi, che nel suo Libro delle imperfettioni della moderna musica aveva violentemente attaccato il famoso assertore della Seconda Prattica. Nuova prova, codesta, di quello spirito di modernità in nome del quale il B. protesta spesso contro tutte le pedanterie scolastiche dei contemporanei.
Visse quasi sempre in patria o nelle vicinanze, breve dimora fece ad Imola neî primi anni del sec. XVII, e morì improvvisamente a Bologna in età di 67 anni. Sul suo sepolcro fu scritto: Fuit musicus clarus - Multa edidit.
Infatti, come tanti altri uomini eminenti di quell'età, il Banchieri esplicò la sua attività sotto multiformi aspetti, e nello scrivere e nel comporre fu di una sorprendente fecondità. Soltanto le sue opere musicali sommano a una cinquantina. Il numero dei suoi lavori lo costrinse spesso ad accatastare un po' alla rinfusa, o a trapiantare con poche modificazioni componimenti già editi; si direbbe ch'egli volesse sfruttare il più possibile la popolarità, che il suo nome aveva ormai acquistata, e il suo vario sapere.
Come letterato e amatore di poesia, scrisse commedie e, sotto pseudonimi, anche trattati, lettere, discorsi. In uno dei quali, fra l'altro, intendeva provare che "la favella naturale di Bologna precede ed eccede la toscana in prosa e in rima". In sostanza si tratta di un'operetta curiosa, di notizie cittadine, ma, scherzosa com'è nella forma e nel contenuto, la si potrebbe giudicare quasi un comico paradosso lanciato tra le dispute, allora ferventi, sulla questione della lingua. Dello stesso carattere e sapore è una specie di bestiario, intitolato La nobiltà dell'asino.
Più importanti, per chiarezza d'idee e per le notizie che contengono, sono i trattati musicali, alcuni di carattere esclusivamente elementare e didattico, come la Cartella musicale, tanto per il canto figurato quanto per il fermo, altri contenenti insegnamenti e ragguagli storici del più grande interesse, come le Conclusioni sul suono dell'organo e sull'organo suonarino. Il Banchieri non era (o almeno non aveva l'aria di esserlo) un erudito, un investigatore, ma in virtù della perizia tecnica che aveva su questo strumento e per le osservazioni che gli era occorso di fare nella sua costante pratica, riuscì a dare uno dei più ragguardevoli volumi d'organologia e d'arte organistica. Per organo il Banchieri compose, del resto, molte pagine che ancora oggi vengono studiate con profitto e interesse, come, per empio, quelle ristampate dal Torchi nel III volume de L'arte musicale in Italia, non meno di quelle corali ristampate dallo stesso Torchi e dal Vatielli.
Numerosissime le sue composizioni sacre: messe, mottetti, salmi, concerti ecclesiastici, sinfonie ecclesiastiche, ecc., opere queste ultime di grande interesse storico-musicale, per esservi stato adottato per le prime volte il basso numerato, del quale molti storici lo ritengono inventore. Finalmente ricordiamo una non esigua serie di musiche d'argomento profano, di cui la miglior parte è costituita da una decina di opere comprendenti madrigali drammatici o ai affini drammatici.
I suoi madrigali drammatici, tra i quali La pazzia senile (1598, ristampata dal Torchi nel IV volume della sua raccolta), La saviezza giovanile (1628), La barca di Venezia per Padova (1605), Il festino nella sera del giovedì grasso (1608), Il zabaione musicale (1603), offrono per noi il più grande interesse nella sua così varia produzione, e meglio rivelano la sua indole, l'efficacia caratteristica del suo ingegno, in quanto sono il prodotto più genuino della sua natura faceta e incline all'umorismo.
Codesta musica popolareggiante, facile, folleggiante, priva del troppo faticoso gioco d'ingegno polifonico (vanto e orgoglio dei maestri ciuquecenteschi) dovette sembrargli una menomazione della sua personalità, e un bel giorno credette bene ripudiarle pubblicamente.
Bibl.: L. Torri, A. B., in Il pianoforte, Torino 1921; F. Vatielli, Il Madrigale drammatico e A. B., in Arte e vita musicale a Bologna, 1927.